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Ho preso un taxi per attraversare la strada.
A Midan Sphinx, ovvero piazza Sfinge.
Io ero là e dall’altra parte della piazza c’era la mia meta, la Vodafone. Io ero là, dicevo, e là sono rimasta. Non c’era verso di attraversare.

Un po’ deve essere stata Bolzano.
Lì succedeva che il webmaster camminava per strada tenendomi per mano e poi, sempre in possesso della mia mano, imboccava con decisione le strisce pedonali anche se arrivavano macchine, facendomi prendere dei coccoloni indicibili ché io, venendo da questo covo di pazzi in cui vivo, avevo completamento cancellato dalla mia mente la possibilità che le strisce avessero il potere di fermare le macchine.
Se non mi ha fatto prendere 13 infarti tutti i primi giorni a Bolzano, il suddetto webmaster, vuol dire che sono resistente.
Poi mi sono (ri) abituata, dopo un po’, anche se ‘sto fatto di attraversare vedendo le macchine che si fermavano mi ha divertito fino all’ultimo giorno che sono rimasta.
Secondo me gli egiziani che sbarcano in Italia si divertono moltissimo con questa cosa, almeno i primi tempi: non mi stupirebbe se attraversassero avanti e indietri come matti giusto per godere dell’effetto. Anzi: se vedete un egiziano che attraversa dieci volte di fila con la faccia sorridente non stupitevi. Ha i suoi motivi.

Com’è come non è, insomma, Midan Sphinx non mi è sembrata attraversabile, oggi. Non che non ci abbia provato: mezz’ora, sono stata lì, a fare due passi avanti e un salto indietro e maledicendo i taxisti che ti rallentano davanti giusto quando avevi appena calcolato la distanza, facendoti perdere l’attimo irripetibile.
Quelli che accelerano quando ti vedono non li maledico neanche più, ormai: dovrei maledire la città intera.
Conservo invece un buon numero di maledizioni per quelli che, addirittura, deviano dalla loro rotta per puntare dritto verso di te e dissuaderti, se capiscono ciò che stai cercando di fare. A quelli gli sparerei, se fossi armata come si diceva più sotto.

Alla fine mi sono arresa. “Non tira aria”, mi sono detta. “Se mi incaponisco oltre finisce che mi stirano e chiudo i miei giorni a Midan Sphinx. A volte bisogna sapersi ritirare.” E ho fermato un taxi.

“Là. Voglio andare là, dall’altra parte della piazza” gli ho detto.
E lui tranquillo, come se gli avessi dato il più normale degli indirizzi. Allora, col mio arabo, stentato, gli ho spiegato che ero stata lì mezz’ora cercando di attraversare e che era stato impossibile, una roba da matti. Volevo che borbottassimo insieme, scuotendo la testa all’unisono, uniti contro il malfunzionamento del mondo. E’ una pratica che dà delle soddisfazioni, dico io.
Lui ha fatto la faccia triste, invece, e chinando la testa mi ha detto in inglese: “I am sorry, madame.”