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Niente sesso, spiacente.

Il titolo si riferisce a un’altra categoria di informazioni materne, ovvero al “come non deturparsi a vita nell’intento di farsi belle”.
Lo sappiamo tutte, credo: ce lo spiegano quando siamo figlie e poi, ligie al dovere, lo spieghiamo a nostra volta quando diventiamo madri.
“Non strapparti le sopracciglia come se stessi tosando l’erba, ché a volte fanno lo scherzo di non ricrescere più e rimani con l’aria perplessa a vita. Non esagerare a tagliar le pellicine, dalla manicure, ché con gli anni le unghie ti diventano arpioni. Perché hai la faccia ustionata? Cribbio, la cera bollente. Se ti ribecco che ti passi il rasoio sulle braccia ti faccio un faccione che te lo ricordi.” Queste cose qui, insomma. A me le diceva la mamma, io le ho dette a Pupina e lei, pur non avendomi dato ascolto nemmeno per un attimo in tutta la sua esistenza, prima o poi le dirà a sua figlia, quando ne avrà una.
Funziona così, giusto?
Bene.

Solo che i consigli che ci si tramanda rispondono a circostanze storiche, oltre che geografiche, e questo fa sì che io mi ritrovi spesso alle prese con difficoltà che forse erano familiari alla mia bisnonna ma che nessuno ha mai ritenuto di dovere illustrare a me, causa estinzione della difficoltà stessa all’epoca della mia nascita, suppongo.
Imparo per tentativi ed errori, quindi, e mi sono testimoni le croste di sangue rappreso che campeggiano sulle mie palpebre mentre scrivo.

Certe cose si intuiscono senza difficoltà: che i ferri incandescenti per arricciare i capelli non debbano fare benissimo, per esempio, è conclusione a cui si giunge nell’attimo stesso in cui si eleva una colonna di fumo dalla capigliatura della signora che stanno pettinando accanto a te. Difendersene non è un problema.

Diverso è il caso del pedicure, per quanto mi riguarda, forse perché è una pratica a cui non mi dedicavo spessissimo, in Italia.
Qui c’è poco da fare: chiedi una manicure dal parrucchiere e loro ti afferrano i piedi e te li mettono in una bacinella e poi, mentre il parrucchiere ti pettina, te li strofinano, te li limano, ti fanno cose mai viste prima e poi te li restituiscono perfetti e levigati e dopo, solo dopo, procedono con le zampe superiori.
Una ci prende anche gusto, devo dire la verità, e va a finire che senza pedicure settimanale non vive più, ché l’essere umano è sensibile alle mollezze o, almeno, io un po’ lo sono. Specie da quando vivo qui.

Senonchè i miei piedi cominciavano ad essere soggetti ad uno strano fenomeno, da un po’ di tempo a questa parte: se per un po’ mi scordavo di portarli a infiocchettare, invece dei piedi normali che ho sempre avuto mi ritrovavo con delle zampacce consunte e callose più adatte a un pescatore da paranza che a un’onesta prof.
Il mistero mi è stato svelato in questi giorni: la colpa è del pelapatate.
Perché qua usano una specie di pelapatate con cui, appunto, ti sbucciano i piedi, in quella che deve essere la versione pulp di un peeling. Ed è un aggeggio che sono certa di avere visto anche in Italia ma, giuro, a nessuno era mai venuto in mente di adoperarlo per sbucciare me. Chissà a cosa serve, da noi. Sta di fatto che è un coso verso cui i piedi sviluppano assuefazione e la fanciulla che me l’ha detto era sbalordita: “Ma non bisogna usarlo, lo sanno tutti! Bisogna rifiutare, quando le estetiste provano ad adoperarlo! Non fartelo fare più!”
E che ne sapevo, io.
(Pupina, ora lo sai anche tu: nel caso qualcuno cercasse di sbucciarti i talloni con un pelapatate, opponiti, ché altrimenti finisce che ti ritrovi con dei talloni da yeti.)

Oppure la pulizia del viso: da noi, se decidono di toglierti un brufolo, lo fanno schiacciandolo con le dita. Io credevo che si facesse così in tutto il mondo.
Errore: qui esiste un ferretto fatto apposta che è circolare e ha un buco in mezzo: si piazza il brufolo nel buco e si preme – fortissimo – il ferretto sulla faccia. Ed anche questo ferretto, io sono sicura di averlo visto da qualche parte, credo all’epoca della mia infanzia. E magari pecco un po’ di eurocentrismo – sì, può capitare – ma ho deciso che, se da noi è caduto in disuso, qualche motivo ci sarà pure. E comunque la mia faccia ha sicuramente seguito l’evoluzione della pratica estetica italiana, quindi magari è un ferretto che dà ottimi risultati alle signore di qui ma io, sono pronta a scommetterci qualsiasi cifra, se lo uso mi ritrovo sfigurata.
Una deve anche dare retta al proprio istinto, dai.

E poi il filo, infine: quello, da noi non c’è mai stato e quindi ho fatto più fatica a capirne effetti e contrindicazioni.
Si tratta, per chi non avesse seguito le precedenti puntate del mio rapporto con le estetiste in Egitto, di un filo di cotone che l’estetista ti passa sulla faccia mentre con i denti ne mantiene le estremità. Lei sposta la testa avanti e indietro mostrandoti i denti e il filo, intanto, ti scivola sulla faccia come una piccola falciatrice, trascinando via con sé peli che non avresti mai creduto di avere.
Be’: ho deciso che non fa bene, e comunque io non ho nulla contro i peli che non so di avere.
Prendi le palpebre, per esempio: dimmi tu se una si deve depilare le palpebre con una specie di corda vibrante che ti fa un male dell’accidenti quando non basterebbe nemmeno un microscopio, per vedere quali accidenti di peli ti stiano strappando.
Non è sensato.
E poi quella pelle lì è delicata – e sarà anche suo diritto, dico io – e ritrovarmela come ce l’ho adesso, tutta pesta e piena di crosticine che potrebbero pure trasformarsi in cicatrici, se mi coglie un attacco di sfiga, è motivo più che sufficiente per mettere una croce perpetua sul filo falciatore.
La prossima volta che cercano di depilarmi le palpebre passano sul mio cadavere, piuttosto.

Una, insomma, al momento ha questi problemi qua.
Ha anche il blog con i caratteri ubriachi, a dire il vero, e pare che la sbronza abbia coinvolto anche i feed e oggi il webmaster ha cercato di venirne a capo ma poi, a un certo punto, se ne è andato a dormire ed era di pessimo umore. E’ pù complicato di quanto pensassimo, il mistero dei caratteri ostrogoti.

Sarà per questo, o forse perché sono schiacciata da una traduzione di 100 pagine mentre fuori ci sono 100 gradi (no, 41 ma sembrano 100) oppure perché sono svaporata di mio e non mi ripiglio, ma per leggere cose serie, qua, bisogna spostarsi altrove.
Io lo faccio, e chiedo scusa se stavolta non metto link ma la colonnina qui a destra è sempre valida, e per citare blog che scrivono cose più serie delle mie finirei col metterne cento, quindi tanto vale passare direttamente al blogroll.