L’occhio è un organo abitudinario.
Tu arrivi da due anni trascorsi fra i compostissimi studenti egiziani che indossano camicia, calzini e mocassini anche con 50 gradi, se sono maschi, e camicette accollate a gioco col foulard se sono femmine e – ancor prima di avere capito dove caspita sei e come farti passare il raffreddore che ti sei presa appena sbarcata – ti ritrovi a salire le scale di una scuola “dall’utenza difficile” attorniata da un centinaio di studenti che salgono assieme a te e si spingono, ti spingono, smadonnano e tu non te ne accorgi nemmeno perché sei lì, attonita, che gli contempli il culo.
Un muro di sederi, all’altezza dei tuoi occhi, che salgono le scale.
Cento ragazzi, e tutti e cento coi pantaloni calati.
E tu sei lì che guardi ‘ste mutande lise, usate, assottigliate dai troppi lavaggi e comunque di poco prezzo già in origine, supponi, (le “utenze difficili” tendono ad essere squattrinate) e osservi le linee dei culi che si intravedono dietro la stoffa rossa o nera o bianco-ingiallita, sotto l’elastico con sopra scritto Calvin Klein, e guardi le chiappette tonde, meno tonde, tondissime, e ne soppesi l’aspetto e pure il livello di igiene, visto che siamo in intimità.
E poi le facce serie che svettano sul pantalone calato, e tu senti l’angolo della bocca che ti trema e cerchi di controllarlo e fai una fatica da pazzi perché vorresti, letteralmente, rotolarti dal ridere, ché una scena più comica di questa non la vedevi da un pezzo e non puoi, ché i ragazzi vanno rispettati anche col pantalone calato e, comunque, non verresti capita perché qui sono abituati e, la scena che stai vedendo tu, gli altri non la vedono più da chissà quando.
Ti ci vorrebbe qualcuno appena sbarcato a sua volta dall’Egitto o giù di lì, per sentirti davvero capita, e ti immagini le facce dei tuoi studenti egiziani se capitassero in mezzo a questo tripudio di mutande e ti viene ancora più da ridere.
Esilaranti, ti appaiono.
E poi le facce chiodate, la distesa di bulloni nelle sopracciglia, lo spillo nel naso e nella lingua, il chiodo nel mento e il tappeto di tatuaggi che certo non vedo per la prima volta e – vorrei specificarlo – non è che mi scandalizzi, ché “sono stata punk prima di te”, come dice la canzone, ma questi non sono punk, hanno semplicemente dei bulloni in faccia, e comunque non venivo dall’Egitto quando ero piccolina e me li facevo pure io, i tatuaggi, snobbando le poco romantiche macchinette e dandomi al benedetto ago + inchiostro che imponeva limiti di grandezza al risultato finale.
Limiti per cui, quando ho smesso di avere 16 anni e ne ho avuti 26 e mi sono stufata di averli, i miei tre tatuaggi, sono felicemente potuta andare dal medico e me li sono fatti ritagliare via e adesso ho tre cicatrici e un pezzo superstite di runa elfica sulla caviglia, ché lì c’è poca pelle da ritagliare, ma vabbe’.
E questi che faranno, pensi, quando smetteranno di avere 16 anni e non si riconosceranno più nelle decorazioni di adesso? Si tireranno via un braccio? Si limeranno la schiena con l’acido? L’irreversibilità delle scelte fatte a 16 anni mi ha sempre molto colpito.
E sono lì che penso alle mutande, ai bulloni e ai graffiti corporei quando, già in corridoio, mi appiaiono le testoline di un paio di studentesse musulmane tutte composte e dignitosissime, col loro foulard in testa e lo sguardo serio e i libri sotto il braccio e, per un attimo, torno a sentirmi in un normale luogo di studio e poi mi accorgo che, no, c’è un errore.
Loro non sono la normalità.
Loro sono il problema.
Tra sederi all’aria, chiodi in faccia e tappezzerie colorate fatte di pelle umana, lo sguardo preoccupato degli adulti italiani è puntato sui fazzolettini in testa a quelle due.
Sono loro, quelle che dovrebbero correre a cambiarsi per tranquillizzarci tutti.
Tirate fuori i capelli e le mutande, ragazze, ché altrimenti le famiglie dei vostri compagni si turbano.
(I genitori di queste ragazze devono pensare che siamo completamente pazzi, noi adulti italiani.)
La soluzione è far immigrare più maori australiani
VogliadiTerra
Paese che vai, costumi che trovi (o no)
La reimmigrata expat sul confronto-scontro tra le culture: Tra sederi all’aria, chiodi in faccia e tappezzerie colorate fatte di pelle umana, lo sguardo preoccupato degli adulti italiani ? puntato sui fazzolettini in testa a quelle due. Visto che una d…
O far emigrare i nostri Maori in Nuova Zelanda
Presto si diffondera’ anche da noi la moda del “wedgie” (scherzetto made in USA, consistente nell’avvicinare la vittima da dietro, afferrare il bordo della mutanda e tirare decisamente verso l’alto). Non e’ una cosa positiva, ma c’e’ qualche probabilita’ che segni l’avvento di una nuova moda: quella dei pantaloni ascellari alla Fantozzi (i giovani, si sa, non amano le mezze misure e gli stilisti amano spingere verso cambiamenti radicali, che spingano all’obsolescenza di tutto il guardaroba precedente).
Eh bhè. Sabato, prima lezione di corso di arabo alla moschea di Roma. Io e la mia amica, le uniche che anche in aula tengono su il velo (se siamo in moschea…) e non mostrano le tette. Ce n’era una, lo giuro su dio, con i jeans strappati sotto al culo. In tutta casa, tesoro, non avevi ago e filo? Come tante altre volte mi sono vergognata di far parte di un popolo che sbraita, impone, giudica e critica chi viene a vivere qua, ma quando si tratta di essere “cortesi ospiti” dimentica di botto quello che ha preteso.
One More Blog
Il problema sono loro
La situazione: L’insegnate sale le scale coi ragazzi e vede «Le facce chiodate, la distesa di bulloni nelle sopracciglia, lo spillo nel naso e nella lingua, il chiodo nel mento e il tappeto di tatuaggi». All’improvviso l’immagine fuori post…
Devo dire che la mia ragazza (insegnante di lingue peraltro, particolare trascurabile) forse ha avuto la soluzione giusta. Non sarebbe poi un cattiva idea tornare ai college inglesi, tutti con la stessa divisa, di modo che la mutanda Calvin Klein non si veda e soprattutto non diventi motivo di discriminazione? Per me l’idea è buona, ancora meglio sarebbe graffettare direttamente i pantaloni sulla pelle delle persone con chiodi roventi. E io dovrei insegnare matematica a gente così?
Beh sarà banale, ma da quando ti ho scoperta vengo qua ogni volta che voglio partirme de la risa….però non riesco nè a mandare commenti (è la terza volta che ci provo), nè a capire perchè il testo è bianco se ci passi il cursore sopra, poi diventa blu se lo sposti….è un haramlik leggermente psichedelico!
Vedo con molto piacere che non hai perso il tuo umorismo….mi fai contorcere dalle risate…Ciao
Lia sai che scritto nero su bianco fa effetto? Cosa, dirai tu? Ma l’assurdo di essere preoccupati di due ragazze col fazzoletto in testa mentre i 16-enni nostrani mostrano le mutande in giro.
Sia ben chiaro: io non ho nessun problema con le mutande messe in mostra. Però mi vanno bene anche i fazzoletti messi in mostra. E non penso che nessuno dei due indumenti sia più giusto di altri.
Ah che darei Prof Lia per vederti all’azione. Le mie prof sono sempre state così bacchettone, così pettinate alla Ombretta Fumagalli Carulli (è stata ministro!! è stata ministro!) e non certo ex-tatuate e con la lingua mente e la lingua taglienti come le tue! :-)
ammiro da sempre il tuo talento, la tua capacità di essere lineare e illuminante.
questo post dovrebbe essere pubblicato ovunque.
A proposito di malesseri evidenti o meno evidenti:
http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/cronaca/15ucci/15ucci/15ucci.html
ciao
Le ragazze con il velo non fanno paura a nessuno, caso mai sono i fratelli e i padri che le picchiano se vogliono toglierselo che fanno paura. Tra questi padri e i nostri troppo liberali che concedono ai figli di fare qualsiasi cosa, forse potrebbe esserci una via di mezzo ragionevole.
Non è vero.
Pensare che le ragazze musulmane mettono il velo perché costrette da padri e fratelli è un altro modo di considerarle decerebrate in quanto donne.
C’è una realtà intera a smentire questo radicatissimo pregiudizio benintenzionato (?).
Non ultima, la considerazione che non ci sarebbe bisogno di proibirlo, in questo caso: le ragazze lo toglierebbero volontariamente appena fuori dallo sguardo di padri e fratelli. In classe, appunto.
Che poi, in situazioni di fortissimo conflitto sociale, possa accadere ANCHE questo, è vero.
Ma non ha nulla a che fare con l’essenza del velo e con il libero e legittimo desiderio di portarlo che è proprio della stragrande maggioranza di chi lo indossa.
Che ci piaccia o no.
Vorrei mettere una webcam quando la figlia mussulmana torna a casa con i capelli sciolti e un nuovo taglio! Forse è un pregiudizio pensare che le donne mussulmane siano succubi degli uomini, ma essere succubi non significa essere “decerebrati”. Anche nella nostra società le donne erano, e molto spesso restano succubi di una mentalità maschilista. La mentalità arcaica è fatta così, io donna posso essere dieci volte più intelligente di te uomo, ma se mi fai ragionare a suon di sberle, si fa come dici tu.