Del quartiere Stadera conosco alcune storie.
So che un mucchio di case non avevano i bagni, per esempio. Forse adesso, con la ristrutturazione di alcuni palazzoni, li hanno.
Però io ricordo che c’erano le docce condominiali, prima. Con orari e tutto.
Così come nel mio vecchio condominio c’era un garage apposito per il lavaggio delle macchine, allo Stadera c’era lo spazio apposito per il lavaggio delle persone.
Quelli che avevano la doccia in casa, in genere, se l’erano fatta da soli.
I palazzoni dello Stadera avevano – hanno – enormi solai abitati dai piccioni.
Centinaia, migliaia di piccioni.
I ragazzi usavano questi solai per nasconderci droga o armi, i bambini ci andavano per giocare.
Sono come topi volanti, i piccioni di Milano.
Allo Stadera ci viveva quel grandissimo sciupafemmine di Bruno, napoletano come me e amante di Daria, a sua volta amante dei guai.
Di Bruno ricordo il fisicaccio asciutto, alto e bello, gli occhi che ridevano quando ti guardava, sfrontatissimo, e i baffi.
Aveva i baffi, già. Trent’anni e due baffoni sornioni, belli, insoliti.
Quel che si dice un bel tocco di maschio, il Bruno.
Trattandosi di uno spacciatore sano ed atletico, Bruno aveva fatto un bel po’ di soldi.
Con questi, aveva ritirato dal lavoro di entraineuse la sua bella piena di guai, le aveva fatto una casa con la doccia e l’aveva messa incinta di un figlio suo, ché di figli di altri lei ne aveva già.
E avevano anche comprato una casetta al mare, sull’Adriatico.
E la sua bella era felice, felice e fortunata: aveva messo quadretti della madonna e vedute di Sorrento, nella casa con la doccia, e centrini all’uncinetto e una grande TV a colori e si teneva sempre curata e vanitosa e bionda, col suo pancione che cresceva.
Una, un po’ di serenità se la merita pure.
Però Bruno era assai maschio, come dicevo, e assai infedele.
E c’era anche la snobissima Daria, nel suo caleidoscopio di femmine, e non ti dico i numeri.
Lei aveva il suo bravo marito milanese e rampante, privo di meches solo perché allora non si portavano, le meches maschili, e democratico e femminista e politicamente corretto e presentabile e invidiabile nonché padre del suo figlio unico.
E poi, una o due volte alla settimana, si lasciava brutalizzare dallo spacciatore napoletano.
Con grande discrezione ma con grandissimo entusiasmo.
E con uno stupore costante, allegro, trillante.
Ci si chiudeva in bagno e lei raccontava e andava di fondotinta per coprirsi i lividi, i segni.
Il marito, saggiamente, non se ne accorgeva.
So che Bruno era felice.
Che si faceva accompagnare da Daria a comprarsi i vestiti perché voleva essere elegante, ora che poteva.
Che le voleva molto bene, e ne sono certa.
Amava la sua donna, voleva un mucchio di bene a Daria, era stregato dalle sue altre amanti.
Ce ne sono, di uomini così. Generosi di sé.
Maestri di cose di letto, ché Bruno per Daria lo fu di certo, e però bambini perché golosi, perché felici, felicissimi di stare al mondo.
Non capirò mai per quale motivo una delle sue donne abbia deciso di romperlo, come si rompe un giocattolo, o un bambino intero.
Però lo fece e, dio sa come ci riuscì, lo iniziò alla droga che lui vendeva e lei comprava.
Chissà come ci riuscì, davvero. Forse perché era vanitoso, lui. Forse perché era molto torbida e fascinosa, lei, e lo dovette ipnotizzare.
O, forse, perché alcune persone non sono fatte per il lieto fine. Semplicemente.
Io credo che sia questo.
Credo che alcune persone abbiano un istinto di morte che si attiva nel momento esatto in cui raggiungono l’apice della felicità.
Come se sapessero di non essere in grado di conservarla, di mantenerla.
C’è qualcosa, nella mente di uno, che accende l’interruttore del suicidio proprio allora, in quel momento.
Nel momento in cui ce l’hai fatta.
Quando andammo a trovare Bruno dopo l’incidente, io e Daria, l’uomo che aprì la porta era sfigurato, con un occhio più piccolo dell’altro, e biascicava ed era zoppo, si trascinava la gamba.
“Un frontale terribile”, biascicò.
Erano passati mesi, dal frontale. Quella che avevamo davanti agli occhi era la versione definitiva del nuovo Bruno.
E la sua donna teneva la bimba di pochi mesi in braccio e ci preparava il caffè. Forse, in fondo, l’aveva sempre saputo anche lei che sarebbe finita così.
Poi, Daria mi ha raccontato.
Che Bruno si era venduto tutto e si trascinava la sua gamba zoppa per lo Stadera, alla ricerca della stessa roba che aveva creduto di dominare vendendola, nel suo momento di splendore.
E che poi lo avevano arrestato perché aveva rapinato un benzinaio.
Anzi, per essere precisi: era andato lì pensando di rapinarlo, di dirgli “Dammi i soldi o ti sparo!”
Solo che poi si era confuso o chissà che aveva fatto ma, insomma, gli aveva prima di tutto sparato e poi, guardandolo stupito, aveva biascicato: “Dammi i soldi o ti sparo.”
Daria andò a trovare la donna di lui, ancora una volta.
So che lei rifaceva il letto (il copriletto fatto all’uncinetto, la bimba nella culla, gli altri bimbi a dovere fare gli ometti, piccoli adulti) e piangeva, e che si abbracciarono giurandosi eterna amicizia e, la vita è così, mentendo.
Bruno, dal carcere di Opera, è uscito morto.
Di overdose, dicono.
Chissà come ha fatto.
Ci ho pensato, a volte. C’è quell’espressione, “uscirne con i piedi davanti”. E mi è parso di vederlo, su una barella lungo i corridoi, in una cassa verso il portone, quando guardavo il carcere dalla tangenziale.
Me lo ricordo nuovo e con le finestre rosse come quelle di Milano 2 e Milano 3, quel carcere.
Sempre pensato che fosse tutto dello stesso architetto.
Ora è tutto arrugginito, e le finestre non sono più dello stesso rosso.
Quando Bruno ci morì dentro, lo erano ancora.
Daria sta bene, ovviamente.
Si è separata qualche tempo fa e coltiva rapporti annoiati con uomini più o meno presentabili.
Credo che quel fondotinta delle nostre confidenze in bagno le manchi, ma queste cose mancano un po’ a tutte.
La foto di Bruno, sulla spiaggia dell’Adriatico con i suoi baffoni e il suo fisicaccio, che sorride sfrontato, l’ha messa nell’album di famiglia.
Non so se è finito a casa sua o a casa del marito, l’album di famiglia.
Ciao lia! O salve… mmm dico Ciao perchè in internet nn do del lei a nessuno! TI scrivo perchè adoro il tuo blog, è un po’ che lo leggo, e mi servirebbe il tuo aiuto.
Ho intenzione di scrivere un articolo per il giornale dela mia scuola, mi è venuto in mente: Integrazione razziale in italia. Mi è venuto in mente che tu lavori in una scuola, e ho letto di quella storia con le povere ispaniche.. e insomma, forse mi puoi dare una mano nn so, mi interessa molto sapere la situazione a livello scolastico. E’ che mi guardo intorno e noto che ci sono un sacco di stranieri, e che la gente è sempre più razzista per l’evidente problema dell’immigrazione.
Eccole: quando ancor sane e snelle solgono farsi “brutalizzare” in un cesso dal guappo tossico col baffo (ma il pitbull lo aveva?), a quarant’anni suonati si ritrovano in babydoll sulla barca di uno “basso e bruttino” che pergiunta le manda in bianco… e poi noi saremmo quelli strani e “imperscrutabili” magari perchè una volta l’anno vogliamo passare una serata con gli amici a guardare una finale di champion… mah!…
No, Jcm, è tutto il contrario: meno zoccoleggi in gioventù, più rischi la barca di Milly la volta che, alla buon’ora, ti decidi a farlo.
Più sviluppi l’abitudine di zoccoleggiare felice, invece, e più continui a farlo a vita (e ti mantieni sana e snella a 40, 50, 60 anni e più, ché non c’è nulla di più ingrassante della fedeltà).
Manuel: chiedi e ti risponderò.
Ma si Lia, hai ragione! Ché poi il mondo è pieno anche di segretarie venticinquenni senza problemi… e vissero tutti felici, snelli e contenti! ;)
Jcm, fatti capire: cos’è che ti contraria?
Non essere ermetico, non fare l’acido e spiegati normalmente.
Ermetico? Ahahah! Ve le immaginate Lia, Daria e Milly insieme a chiedersi cosa avrà mai voluto dire l'”ermetico” jcm? Probabilmente non arriverebbero ad una conclusione, poi ognuna tornerebbe alla propria vita: una in Iran perchè lì si che abbondano le sedie e gli uomini non si fanno le meches, un’altra a coprire i lividi col fondotinta e l’altra ancora in babydoll che tira croccantini ad un cagnetto che non ha nessuna colpa, ovviamente tutte e tre sospirando e lamentandosi di noi che non diciamo mai “per sempre”…
P.S. Nessuna acidità, garantito, prendila come un simpatico e tipico match “maschi contro femmine” intorno a una pizza.
No jcm non c’è nulla di chiedersi! è chiaro che ti devono venire!
Ah, ho capito chi sei!
Quello che commenta da OMB e che la storia degli uomini con le meches se l’è legata al dito dalla prima volta che ne ho scritto, a settembre.
Posso avere una foto dei tuoi capelli, per favore? ;)
Guarda: a me i tipici match “maschi contro femmine” trasmettono un fastidio assoluto. Non sono solita partecipare. Li trovo un po’ impiegatizi, nel senso deleterio del termine.
Soprattutto, i maschi mi stanno simpatici da sempre, mi hanno globalmente trattato più che bene e non ho mozioni sindacali o lagnanze particolari da muovergli.
Ho, al massimo, alcune cose da farmi perdonare.
Poi, se si decide di procedere per sociotipi, è vero che ci sono differenze: di genere, ma anche locali o di classe social/culturale.
Per esempio: è difficile, direi impossibile, che la vita mi porti accanto a chi, nel suo immaginario, ospita segretarie 25enni o finali di champion. Non mi succedeva nemmeno a 25 anni, semplicemente perché sono associazioni mentali che corrispondono a settori professionali con cui ho avuto poche frequentazioni. Non ne ho esperienza e, quindi, non ho storielle da raccontare in proposito.
Altro esempio: Milly è un sociotipo squisitamente milanese. Raccontassi di donne in Sicilia, donne a Napoli, donne al Cairo, dubito fortemente che mi verrebbe fuori la barca di Milly. Magari mi verrebbe fuori roba più truculenta, ma quella barca proprio no.
Nei racconti di donne a Milano, invece, queste malinconie solitarie sono una costante, mi pare.
Fossi un uomo, racconterei di uomini. Con le loro malinconie solitarie, mechate o no. Ché non mancano, sai?
Altro esempio: Daria è un classico generazionale, non locale.
Non tanto per le sue fantasie, ché quelle sono assolutamente di genere e assolutamente universali.
Per la lucidità con cui se le gioca: mantenere distinti (e distanti) il compagno civilissimo da presentare e l’amante brutalone che, nella vita “reale”, la penalizzerebbe, richiede una capacità di controllo che avrebbe fatto molto comodo a secoli di pasticcionissime signore Bovary.
Credo che sia una capacità di controllo a cui la mia generazione ha attribuito molto valore.
Pagando qualche prezzo in termini di capacità di amare, ma tutto non si può avere, e poi le generazioni sperimentano, che altro dovrebbero fare?
Però, Jcm caro: si può raccontare, e commentare, senza astio, senza cercare vincitori e sconfitti, senza darsi alla competizione ad ogni costo, senza stare sempre a voler definire cosa è “meglio” e cosa è “peggio”.
La vita ha un muccho di possibilità e di forme: tu sembri volerla chiudere in schemi che poi non hai nemmeno il coraggio di esplicitare.
E ti si nota indispettito ma non si capisce perché.
Perché hai le meches?
Perché ti identifichi col marito di Daria?
Perché ti stanno sulle balle le donne infedeli?
Ma a che serve?
Rilassati, non fare il dispettoso.
Io ho voglia di raccontare, ma se il livello dei commenti deve essere questo, è ovvio che lascio perdere e passo ad altro.
Questo è un blog, non una cena aziendale in pizzeria.
P.S. Io, a proseguire la mia vita in Iran, mi ci vedo decisamente bene, devo dire.
E’ una delle mete che ho in mente, in effetti.
E, no, non ci rinuncerei per un uomo. Nemmeno per uno che rinuncia (ommadonna) alla finale di champion con gli amici. Dio del cielo.
(Ma tu guarda che mi tocca scrivere.)
OMB? Mah! E poi io ho sempre commentato qui mi pare con questo nick, anche quando c’era da fronteggiare la storica “invasione dei neoconi”, tzè!
Comunque non ho le meches, se la cosa può importare, e non me le farei mai. Poi ti ripeto che non c’è nessun astio da parte mia, addirittura il mio primo commento voleva essere una battuta, non certo un’analisi sociologica, dovessi aver causato “fastidio assoluto” ad uno qualsiasi dei sociotipi lettori di questo blog (abbia esso le meches oppure i buchi sulle braccia, sia esso fedele o “zoccoleggiante”, col cagnolino o coi lividi) me ne scuso profondamente.
:-) (incredibile Lia)
Beh sai Lia, è la disperazione di ogni uomo sapere che la propria donna ti tiene come bamboccio mentre si fa brutalizzare da un altro
Che meraviglia quest post…
Lo capisco, Bruno (ups, omonimia!).
C’è anche da dire che, a volte, la signora si fa brutalizzare da un altro perché, altrimenti, non la brutalizza nessuno.
(Mi donnaletizio ogni momento di più.)
Che poi uno torna a casa e comincia a monitorare il consumo di fondotinta…
Boh, sembra a posto. Ci sarebbero altri espedienti dissimulanti?
:-)
“Più sviluppi l’abitudine di zoccoleggiare felice, invece, e più continui a farlo a vita”
Torno giustappunto da una zoccoleggiata e sono un po´ perplessa. Penso che ogni cosa dopo un po´ stufa e il troppo “zoccoleggiare” a lungo andare mi sembra quasi deleterio… perche´ dopo aver provato l´intimita´ con una persona che ti conosce bennissimo (e anche quello a lungo andare doventa noioso…) cambiare spesso partner (e avere anche delle brutte sorprese a volte) non ti da modo di conoscere meglio quella persona e condividere un´altra intimita´.
senza contare che ti potresti anche beccare delle malattie e magari rimanere bella ma non piu´ sana…:)
Forse è che le due cose andrebbero integrate, Elisa.
E poi, certo, la modalità di zoccoleggiamento deve per forza cambiare, con il tempo: andare a letto con sconosciuti che tali rimangono il giorno dopo ha il suo incanto a 20 anni ma già a 30 rompe le scatole.
A 40, l’unica scusante è quella di avere bevuto un mucchio. Ma proprio tanto.
Cosa, peraltro, non necessariamente negativa, ogni tanto.
Io, comunque, tendo a pensare che il plurirapporto sia il migliore amico di una donna.
Se faccio bilanci, quando l’ho praticato è quando mi sono trovata meglio. Ho vissuto una sola stagione di inconsulta fedeltà, pluriennale, ed è l’unico tempo della mia vita che rimpiango.
Perché poi una si deve anche accettare, credo: se sei di natura monogama, va benissimo. Sii monogama, senza se e senza ma. Consapevole delle controindicazioni, ma ci sono controindicazioni anche ad avere i capelli rossi, che ci vogliamo fare.
Ma se sei di natura zoccoleggiante, farsi tentare dalle sirene un po’ perverse della monogamia è una cazzata e, come tutto ciò che fa violenza alla nostra natura, in qualche modo si sconta.
cristo quanto mi piace ‘sto post.
propongo presentabilità&brutalizzazione insieme.
i lividi e i fiori.
indumenti lacerati e cioccolatini.
le doghe sconnesse e la spesa al supermercato.
Questo è “saper proporre”, Rotafi’.
Qualcosa mi dice che hai successo con le femmine. ;)
così tanto successo che me ne sono nate due, limortè…
uh che successo. forse era meglio essere un pupazzo impagliato, che ora c’ho le streghette in casa. (amori miei)
siete pronti per la massa oceanica del 17 dicembre?
roma sale in forze