Parliamo di cose serie, ovvero di timballo.
Io vengo da una stirpe di donne incazzose che cucinano bene.
La cucina della mia casa paterna ha segnato l’immaginario di tutti noi e, da sempre, porto stampate nella mente le mani rugose della mia bisnonna che impugna il coltellino con cui affettava tutto rifiutando con sdegno le affettatrici elettriche, e il sapore della pasta frolla cruda, l’odore del ragù messo a cuocere la mattina presto, certe mele piccole e asprissime che mi facevano impazzire, la laboriosità instancabile delle donne di casa su cui regnava, inflessibile, mia nonna.
Della mia bisnonna, si mormorava che avesse assassinato il marito.
Lui era un gentiluomo di provincia amante dei vini e delle donne che andava in calesse a Roma e chissà come a Parigi, e si circondava di attrici. Lei ne era orgogliosissima: “Pensa come è bello, il mio Eugenio, che ha avuto per amante persino Josephine Baker!” esclamava, dolce e fiera.
Poi mia madre, che è di un’altra razza e non ha mai trovato motivo d’orgoglio nel sapere il proprio uomo tra le attrici, mi spiegò che il bisnonno si ammalò di fegato, a un certo punto. I medici gli prescrissero una severissima dieta e la bisnonna, soave e perfida, per tutta risposta intensificò la preparazione di manicaretti, sughi e strutti, conducendolo prematuramente alla tomba.
La cucina è un potere, mi è sempre stato chiarissimo.
Regnavano su molti uomini, le donne della mia casa paterna.
La cucina era il centro del potere, strutturato in modo rigidamente gerarchico al cui vertice c’era, semplicemente, quella che cucinava meglio.
La nonna appunto, che insegnava con parsimonia e solo a chi, secondo il suo insindacabile parere, se lo meritava.
Quando faceva il dolce al caffè, soprattutto, ci permetteva di rimanere in cucina fino al momento della tritatura delle nocciole. Poi dovevamo uscire e lasciarla sola. La ricetta completa l’avrebbe lasciata in eredità alla più meritevole tra le sue nipoti, diceva.
Non fui io, ahimé.
Essere la pecora nera di casa comporta i suoi svantaggi.
Gli uomini ronzavano attorno alla sala da pranzo, comparse di seconda fila rispetto al rito che si celebrava altrove.
Avevano tutti dei segreti, pensavo.
Degli errori di gioventù, alcune storie d’amore finite male con donne troppo romantiche, troppo piagnucolose, troppo diverse. Il prozio. Mio padre.
Ecco: essere romantiche o piagnucolose, a casa mia, era la quintessenza dell’orrore.
Era un clan silenzioso e ispido, il mio. Terrigno. Conservatore.
Le donne deboli erano solennemente disprezzate.
In nessun altro luogo come in quella sala da pranzo io ho sentito, insieme, l’orgoglio, la forza e il senso di oppressione che ti dà l’appartenere a qualcosa.
Ne ricordo la luce, le tovaglie bellissime, uguali a quelle che la nonna mi teneva da parte per quando mi sarei sposata, i bicchieri di cristallo, i fiori, e le due bonnes di mia nonna, con i grembiuli bianchi e le crestine inamidate, che sapevano uccidere in veranda gli animali da mangiare portati dai contadini in omaggio al nonno, e ridevano del mio orrore.
La credenza sotto cui mi andavo a rifugiare con un libro, e ci passavo serate intere.
La gioia della presenza di mio padre, che vedevo così poco, e il silenzio assoluto ma carico di disapprovazione che circondava l’esistenza di mia madre, assente, così diversa.
Un mucchio di silenzi su cui sorgeva, solidissima, la conversazione di casa, sempre ironica, sorniona, allegra, a volte un po’ crudele. Leggera.
E il piacere di quelle infinite portate, quei cibi uguali ad ogni festa, fatti secondo una tradizione perpetua e guai a sgarrare, guai a innovare. Non si poteva concepire peccato più grave del cambiamento arbitrario di una ricetta, nella mia casa paterna.
Sarebbe stato come rifiutare l’istituzione stessa della famiglia.
Noi ci siamo dispersi per mezzo mondo ma non siamo mai andati troppo lontano da quella sala da pranzo.
Ci siamo sempre tornati, anno dopo anno, o sennò l’abbiamo portata dentro.
Non so contare le volte che ho fatto improbabili struffoli in luoghi improbabili per improbabilissimi commensali che li guardavano con diffidenza.
E il mio orgoglio solitario, la consapevolezza segreta di averli fatti a regola d’arte. Sono ricette che non sbaglio, quelle.
Pochi, in casa mia, mi assocerebbero a quei miracoli culinari che hanno saputo legare intere generazioni intorno a una sala da pranzo.
Da noi pecore nere ci si aspettano abilità di altro tipo.
Sta di fatto che questo Natale, finalmente, è toccato a me cucinare per il mio patriarca.
E sapevo esattamente cosa voleva.
Il giorno prima prepari il ragù.
Il ragù non è la salsa alla bolognese.
Si fa mettendo un grosso pezzo di carne di maiale a rosolare in un letto di cipolle, olio, burro e uno spicchio d’aglio. Nella carne di maiale avrai fatto dei buchi profondi, prima, che vanno riempiti con uva passa, pinoli, aglio, prezzemolo, pecorino e pepe.
Quando la carne è rosolata, sfumi col vino e poi ci aggiungi i pelati.
Tantissimi.
Devi farne un mucchio, di ragù. Di più. Più che puoi, ché è sempre troppo poco.
A un certo punto ci aggiungerai le salsicce. E il basilico.
Poi ne aggiungerai altro, di basilico. Dopo un po’.
E, a fuoco lentissimo e semicoperto, lo lascerai cuocere per ore. Non ti so dire fino a quando. Lo capisci dal colore e dalla consistenza, quando è pronto. Tre ore, se va bene. Anche di più.
Il giorno dopo, in una scodella grande, mischi la ricotta con due mestoli di sugo e un po’ di parmigiano.
Poi prendi della carne trita di maiale e fai l’impasto per le polpette. Con pazienza infinita, formi delle polpettine non più grandi di una biglia. Piccolissime.
Le fai bollire un nanosecondo in acqua poi le butti nel ragù, da cui avrai già tolto il braciolone e le salsicce e le fai andare un po’.
Cuoci al dente le lasagne (possibilmente quelle De Cecco arricciate ai bordi) e le stendi tutte belline su un canovaccio.
Attorno, prepari una serie di piattini contenenti: mozzarella a tocchetti. Salame piccante napoletano a tocchetti. Salsicce del ragù a tocchetti. Uova sode a fette. Parmigiano grattuggiato.
Base di ragù in fondo alla teglia.
Poi prendi le lasagne, una a una, e le passi nella ricotta col sugo.
La farcitura deve cominciare solo dal secondo strato, sennò è troppa.
Lasagne passate nella ricotta. Mozzarella, salame, uova sode etc. Sugo con polpettine. Parmigiano. Ancora lasagne con ricotta. Eccetera.
Finisci con lasagne, ragù e parmigiano e inforni.
Paradisiache.
Sarà stato il dovere morale nei confronti del mio patriarca, ma non mi erano mai venute bene come quest’anno.
Mio padre le ha assaggiate con un’espressione assolutamente normale e, un attimo dopo, gli si è dipinto un profondo rispetto negli occhi: “Sono perfette. Sono loro. Quelle.”
Idem per gli struffoli: “Li fai secondo tradizione! Come la nonna!”
Sì.
E ne sono molto fiera.
So di avere fatto una cosa bella e di avere riportato, per un attimo, quella sala da pranzo dove doveva essere, tra le persone che avevano voglia di riassaggiarne i sapori.
E di avere anche rassicurato qualcuno, ché certe cose non spariscono.
Rimangono vive, persino nelle mani da cui meno te lo aspetteresti.
La vita è sorprendente.
Ed io, dopo tutto, per li rami discendo, e non mi dispiace affatto.
Dopo tutto.
(Mia figlia ha preparato un’infinità di palline, questo Natale: palline di carne trita, palline di struffoli, non ne poteva più: “Mamma, ma non è possibile stressarsi tanto per un piatto! Io non lo farò mai, te lo assicuro!” Chissà. Ci avrei giurato anch’io, tempo fa.)
old
Spellare e sbriciolare la salsiccia. Tritare il prosciutto crudo. Passare i pelati al passaverdura. Preparare del brodo vegetale.
Preparare un trito con cipolle, carote, sedano e pancetta. Versarlo in una casseruola insieme a 2 cucchiai di olio e 30 g di burro. Farlo soffriggere qualche minuto e poi aggiungere la salsiccia, il prosciutto e la carne. Far rosolare il tutto per pochi minuti su fiamma viva, aggiungere il vino rosso e farlo evaporare sempre su fiamma viva. A questo punto aggiungere i pelati, il brodo, abbassare molto la fiamma, regolare di sale e pepe, e proseguire la cottura a pentola semicoperta per circa 3 ore, mescolando di tanto in tanto. Bagnare con altro brodo, se necessario.
Nel frattempo cuocere la pasta a meno che non si scelga la qualità secca che non necessita di cottura prima di essere infornata. In questo caso stabilire la giusta quantità in base alle indicazioni sulla confezione. Cuocere pochi rettangoli alla volta in abbondante acqua salata con 2 cucchiai di olio. L’aggiunta di olio garantisce che i rettangoli di pasta non si incollino fra di loro. Prelevare la pasta con palette forate, immergerla subito in acqua fredda per fermare la cottura e stenderla su un canovaccio per farla asciugarePreriscaldare il forno a 180°C. Imburrare una teglia rettangolare profonda. Foderare il fondo con della pasta, coprire con qualche cucchiaio di besciamella, distribuire un po’ di ragù e spolverizzare con il Parmigiano. Coprire il tutto con altra pasta e continuare così fino ad esaurire tutti gli ingredienti. Terminare con uno strato sottile di besciamella mescolata a del ragù, spolverizzare con altro Parmigiano e qualche fiocchetto di burro. Infornare per circa 30 minuti o fino a quando la superficie delle lasagne non forma una crosticina dorata.
Togliere dal forno, aspettare 5-10 minuti e servire direttamente nella teglia.
Chiamiamo anche questo “confronto di opinioni”?
la carampana intrepida
Io ho fatto il budino fior di latte della nonna, ma a me non è servito a molto. Nonostante tutto l’amore che ci ho messo il giorno di Natale mia sorella ha fatto una scenata dicendo che la famiglia è uno sfascio. Va be’, è un po’ matta. Intanto vi passo la ricetta, magari a voi serve meglio. Fai bollire 2 litri di latte con 150 grammi di zucchero e una stecca di vaniglia (rigorosamente naturale, la vanillina è una bestemmia) finché non si riduce a circa 1/2 o 3/4 di litro. Raffredda. Il giorno dopo prepara lo zucchero caramellato e rivesti lo stampo (questa è la parte più difficile, mi sono anche bruciata malamente un dito per vedere se lo zucchero era pronto e quindi “faceva il filo”). Raffredda. Sbatti 6 uova con altri 150 grammi di zucchero poi aggiungi il latte. Versa nello stampo e fa cuocere in forno basso, a bagno maria, per due ore o più finché tutta la superfice non si rassoda. Era assolutamente squisito
bioro76
Mi sono ritrovata nella tua descrizione della casa matriarcale, dello scettro del potere alla donna che cucinava meglio… Da me era l’Armida, mia nonna. Contadina toscana. Le sue zuppe… mai più assaggiate zuppe così. E poi mia madre, la regina dei piatti tradizionali… che se le chiedi di andare fuori dal suo seminato va nel panico, ma sulle cose classiche è imbattibile. Tra le nipoti si vocifera che l’unica che potrebbe raccogliere lo scettro dell’Armida sia io, vista la propensione a preparare minestrine e minestroni che mi vengono bene. Non come i suoi, certo… ma mi dò ancora una decina d’anni per arrivarci…
fierara
Post stupendo. Mi e’ anche venuta fame e sono le 9.36…
alessio
Sono sempre convinto che spesso qualcosa di una persona si veda anche da come (non) cucina. Questo post, ma anche amici che si vantano di piatti pronti in dieci minuti. Penso alla mia ex incapace di preparare un piatto per la tavola quotidiana, ma che stupiva con preparazioni tradizionali da due giorni in cucina, però una volta ogni paio d’anni. Penso alla mia fila di libri di cucina e di cultura gastronomica, alla dispensa vuota e alla presenza troppo assidua al banco surgelati.
Claudio
BASTAAAAAAA !!!!!!! ^__^
uffa ho la gastrite e per natale ho mangiato filettino alla griglia con patate lesse, non potete farmi questo !!!!!
quand’è che le rifai le tue lasagne cara Lia ?? mica la gastrite mi durerà in eterno… e poi a Milano ci sarò spesso (la mia “fidanzata” abita in zona !!)
ne approfitto per farti immensi auguri per un 2006 sereno (estesi a tutti i tuoi fedeli lettori)
Claudio
Polpette
Tutto meravigliosamente raccontato… Mi hai fatto venir voglia di andare a casa a cucinare. Un solo, piccolissimo appunto. LE LASAGNE DE CECCO????? Stonano in questo quadretto. Si fanno anche quelle in casa… su… non ci vuole molto tempo ;)
ErMejo
Certi post dovrebbere essere vietati, o almeno contenere un’avviso all’inizio.
“Post da leggere solo dopo abbondante e qualitativamente ottimo pranzo.”
Io son qui che lo leggo alle 11 di mattina e la mia salivazione e’ diventata copiosa! :)
restodelmondo
Ammiratissima.
Confermo la faccenda della cucina passata di madre in figlia. Io non ho ancora osato avventurarmi in zona tortelli (mamma) e canederli (nonna paterna). Ma non so come so fare la polenta – ma la so fare (la polenta *vera*, paiolo di rame e tutto quanto).
arituro
tu si pe me come na ddroga
ogni giorno che so in tera
devo sniffarme 4 righe
de li tuoi pensieri
che almeno so che Uno è vivo
in mezzo a sti morti
che non smettono di respirare
(i termini sono puramente inventati essendo il sottoscritto uomo del nord)
e buone feste in quel cacchio di cittÃ
charlie
Il timballo fa di più e di meglio delle pilloline di Cassano. Non parliamo del rosso con il quale innaffiarlo (quale, a proposito?)! :-)
Scherzi a parte, ritengo fondamentale la preservazione di un tale patrimonio, che non è solo gastronomico, né si può genericamente definire culturale. E’ qualcosa di intimo ma aggregante, un punto di ritrovo ma anche di ripartenza, cristallizzato nelle procedure preparatorie eppure fecondo di accalorate e mai definite diatribe.
Questo e molto di più.
Nano
Sei riuscita anche a farci vedere tua nonna e farci cogliere l’atmosfera di quella casa.
Old non sono questi ” confronti di opinioni”, sono veri e propri discorsi tra “rezdore”, che a volte non bisogna neanche prendere troppo alla lettera.
Io, ad esempio, scherzo sempre con mia madre, accusandola di tenersi sempre, per ogni ricetta che mi passa, un suo personale “segretino” .
Un cucchiaino d’olio, un pizzico di sale, una goccia d’aceto, dove non immagineresti mai di doverli mettere, a volte non si tratta neppure di ingredienti, ma piccoli accorgimenti che assomigliano, più che altro, a riti propiziatori.
Insomma leggeri omissis ad arte, forse proprio per difendere il primato della preparazione di quel piatto nella versione d.o.c.
Come capisco Pupi!!! Mi sono disinteressata alla cucina, suscitando il biasimo di genitori e parenti, sino all’età di 34 anni. Poi qualcosa è cambiato nella mia vita e improvvisamente ho voluto sapere tutto.
Due anni fa ero a casa dei miei e, qualche giorno prima di Natale, ho preparato io, sotto la supervisione di mia madre, era la prima volta e mi sarebbe servita proprio come lezione, gli “agnolini”. Proprio tutto, dalla sfoglia all'”agnolino” finito.
Mio padre era gravemente malato, non camminava più, e, giorno dopo giorno, anche la capacità di parlare lo stava inesorabilmente abbandonando. Quella sera era in cucina, sulla sedia a rotelle, assieme a me e mia madre, e mi guardava con occhi pieni di meraviglia, sentivo che avrebbe voluto dire qualcosa.
Mi sono avvicinata a lui e gli ho chiesto perché mi guardasse in quel modo, e lui con un sospiro:
“Eh …per me è una novità !”
La ricorderò sempre quella mia prima sfoglia, ogni striscia di agnolini che preparavo, correvo a stampare un bacio in fronte a mio padre.
Apprendere e sentire propria una tradizione di famiglia, ho imparato, anche questo è un gesto d’amore.
A proposito io le Vs. ricette me le stampo e incollo nel mio personale quaderno. Segretini?
miic
commozione per me, orgoglio per te. auguri!
paolo27
Sono disposto a pagare, molto, per assaggiare il tuo timballo, sappilo.
E poi ci vorrebbe di fare un film su una famiglia come la tua, ovviamente scritto da te.
;-)
melusinach
ammirata, e decisa a conservare post e commenti nel mio personale quaderno di cucina.
In casa mia le ricette sono della Valtellina: oltre ai pizzocheri, polenta taragna che sono i più conosciuti, mia madre tenta di insegnare a me e a mio figlio (Che cucina meglio di me) a fare gnocchi di pane, panettone valtellinese e tarozz (e il monte bianco di castagne)
Ho un sacco di roba da imparare insomma :-)
paola
ho guardato per ora le mani della mia nonna tritare, affettare, impastare, stendere la foglia. Quel donnino alto 1,40 aveva un mattarello sottile sottile e più alto di lei. Sfollata da Ferrara per la guerra, in campagna dalla suocera, aveva il compito di stendere la sfoglia che proprio la suocera impastava. Ed era sempre troppo dura. Doveva salre in piedi su uno sgabellino per tirare la sfoglia. Ed arrotolarla sul mattarello. Tutta. Magari anche 12 uova quando era festa. Una sfoglia unica. Stesa ed arrotolata sul mattarello, per poi essere distesa di nuovo in senso perpendicolare. E poi ancora. Ed ancora. Fin quasi a renderla trasparente. Con il tempo si era convertita a quella macchinetta che la Clerici chiama «nonna papera» ed il mattarello non so più dovè finito. E quando è mancata non aveva più voglia di fare. Ma avevo già imparato quasi tutto.
Mi manca, ed è stata l’unica che mi ha chiamato proprio azdora. E per chi non se lo ricordasse, è la Massaia, In Emilia.
_moreno_
Slurp, ottimo. Anch’io voglio lasciare il mio contributo:
Ingredienti: 1 uovo – 1 tegamino – olio e sale
Preparazione: Versare l’olio nel tegamino; rompere l’uovo sul bordo del tegamino e versare dentro il contenuto; togliere i pezzettini di guscio che immancabilmente rimangono tra il tuorlo e l’albume; cuocere per due o tre minuti.
Et voilà … mi rammenterete.
dud
“Il ragù non è la salsa alla bolognese”
sembra una velata critica, la perdono considerando tutto ciò che mi hai donato in passato nel tuo blog. :-)
la “salsa alla bolognese” non esiste, o per lo meno esiste solo all’estero o lontano da bologna. il ragoût, e l’uso del termine, è improprio se si segue la gastronomia classica e se lo si associa ad una pasta.
il guazzabuglio nasce da una importante distinzione tra cucine diverse e dall’abitudine ad usare un termine francese.
la cucina francese e la cucina italiana. la prima è una cucina codificata, dove le ricette erano scritte da grandi cuochi, che le codificavano per renderle proprie e per prepararle alle corti francesi. insomma una cucina che veniva dall’alto.
la seconda, la cucina italiana, non ha questa origine, al contrario viene dal basso. ogni famiglia aveva la propria ricetta per il piatto tipico, e ognuna di queste infinite ricette hanno dignità . il ripieno dei tortellini, come la salsa del timballo, sono tradizioni che nel tempo hanno dovuto subire le mediazioni delle possibilità e del caso, oltre che l’estro delle cuoche. non sempre c’era il filetto o la carne di prima, troppo spesso si doveva finire quel pezzo lì prima che andasse a male, che i frigoriferi sono di la da venire. e così via. insomma la cucina italiana è una cucina familiare, destrutturata, che segue l’umore dei tempi. ma che si riconosce per la tipicità del genere.
in ogni regione, ma anzi, in ogni paese o adirittura quartiere, differenze sullo stesso piatto esistono e possono essere sostanziali.
per uscire da questa empasse rimane una sola strada: il giudizio supremo: mi piace/non mi piace. il resto non conta.
old
Splendida notizia su repubblica di oggi.
Tra l’ironico ed il serio si propone qualcosa di legale per tutelare le “sfogline”..che sarebbero quegli splendidi personaggi che avete descritto voi dediti alla cucina.
Tutelarle perchè questa occupazione sta per essere invasa da uomini.
Che me frega uomini o donne se la pasta è buona.
Però avremo le apprendiste sfogline di oggi tutelate un domani…eh Lia?
Beh,però,a scanso di equivoci,io l’indirizzo della sfoglina di fiducia ce l’ho.
La Rina,che se non ci fosse ci sarebbe più monotonia sulla tavola.
Ed ho anche la chiave della sua cantina dove c’è il surgelatore che contiene tortellini,lasagne,zuppa imperiale,tortelli….che devono essere tenuti per qualche tempo.
Altrimenti li ordini e te li porti via appena fatti.
La chiave.Lei si fida.Non riesco a darle un dispiacere pensando a quanto ci rimetterei in futuro.
Giovanni Giani
un mastino serio non avrebbe mai accettato un ragu’ senza carne di agnello,gallina e senza conserva e che non avesse pippiato per almeno 24 ore
:-)))
fzzzzzzz
Guarda, dud, che la salsa alla bolognese esiste, eccome. E’ il nome che a Napoli si dà a quel sugo che nel resto d’Italia si chiama ragù – vale a dire con carne macinata soffritta. Di qui la precisazione di Lia. Tanto per spiegare.
fzzzzzzz
Totentanz
Mai letto niente di più napoletano della ricetta in questo post.
aitan
Dopo 15 anni trascorro il Natale a Napoli. Credevo di averne abbastanza di struffoli, fritture, lasagne e “insalate di rinforzo”; ma ti giuro che leggendo del tuo ragù mi è venuta l’acquolina in bocca, e mi è venuta in visione la nonna paterna che non ho conosciuto (e che è morta a 40 anni, 9 figli e decine di quaderni di ricette).
talib
Buon 2006 Lia cara.
ALFREDO
SEI GRANDE;E LA PRIMA VOLTA CHE ENTRO NEL TUO BLOG.
DA BUON CAMPANO SONO GELOSO DI TUO MARITO PER QUELLO CHE SEI!!!
CIAO,ALFREDO G.
Pedro Almaviva
AUGURI LIA! :-)
dud
guarda fzzzzzz, che ribadisco quello che ho detto: la salsa alla bolognese non esiste. è solo un termine che si usa all’estero o lontano da bologna (napoli?). è come se io chiamassi gli struffoli “gnocchetti napoletani dolci” e poi li indicassi con questo nome in ogni menù lontano da napoli. potremo anche intenderci su cosa sono (dopo qualche spiegazione) ma sarebbe un’errore. tutto qui. :-)
melusinach
Ben, e la ricetta degli struffoli?
Che il Natale prossimo non è lontano, mi devo organizzare :-)
(Buon Anno cara Lia :-)
Pedro Almaviva
Attendiamo il tuo post sul capodanno. Voglio dire ci hai fatto Natale e vigilia, adesso San Silvestro ci vuole.
rotafixa
allora, è successo questo: letto il post con una crescente, impetuosa salivazione, ho DOVUTO chiudere le comunicazioni, alzarmi di corsa e trascinare me e una mia adorabile collega a mangiare in una trattoria qua dietro. in cucina lavora titti, la cuoca più grassa del mondo, che sa fare un sugo di coda superbo, quindi ho praticamente spinto per le spalle la collega in virtù dell’urgenza di mangiare un tipo di pasta qualsiasi (mezze maniche, nel caso di specie) abbondantemente condita da tale supremo sugo.
frustrazione immensa, oggi titti non aveva fatto la coda alla vaccinara, forse stimando che il dopo feste fosse poco propizio a simili piatti.
dopo una breve insistenza (“ma non è che ce l’hai in frigo, da qualche parte, mi va bene pure così”, “no-o, non lo metto in frigo!”) ci siamo accordati per le mezze maniche con il sugo delle spuntature.
lia riesce ad essere pericolosa anche quando prova a fare l’innocua.
ovviamente anch’io ho stampato il papiello…
maria
ciao lia,
adorabile e intelligente napoletana, ti leggo spesso perchè apprezzo il tuo senso dell’umorismo e la tua intelligenza ma mi sarei aspettata, in questi giorni, un commento sui fatti del cairo.
Per il resto anche a Firenze il pomeriggio di natale non c’erano autobus, e anche una discreta sporcizia a causa dei milioni di turisti che vi transitano e dei fiorentini stessi, dillo a Pupina:-)
buon anno
maria
lia
Un commento sui fatti del Cairo… ma io sono a Milano, cosa posso commentare?
La collega mi ha spiegato che è successo a Gamat-el-Dowell, dietro la mia ex casa. Che i sudanesi erano lì accampati da un mucchio di tempo e che adesso, per l’inverno, si erano organizzati anche con strutture in legno, cose così.
Il resto non ha avuto bisogno di spiegarmelo, è intuibile: la polizia ha caricato, violenta come è la polizia quando carica, e la totale disorganizzazione egiziana, mischiata al panico, hanno fatto il resto.
Voglio dire: immagino poliziotti preparati solo a menare le mani e poco più. Nessuna previsione di una via d’uscita per gente in preda al panico. Immagino caos e basta.
Mi viene in mente il palazzo che crollò in centro, l’anno scorso: lo fecero crollare i pompieri, inondando d’acqua la struttura del pian terreno che era già stata resa pericolante dal fuoco. Le colonne crollarono come grissini, ovvio.
Nei paesi poveri, per mille motivi, le disgrazie avvengono in grande stile.
Rimane il fatto che la situazione dei sudanesi in Egitto è un probema enorme da molto tempo, e sono d’accordissimo con Sherif quando denuncia l’ipocrisia degli organismi internazionali che hanno tolto a questa gente lo status di rifugiati lasciandoli senza nessuna alternativa. L’Egitto ha milioni di poveri e un tasso di disoccupazione enorme: non è in grado di offrire un bel nulla a questa massa di diseredati.
Peccato che il mondo se ne accorga solo quando la situazione esplode.
djdona
E’ da un po’ che ogni tanto passo sul tuo blog, ma questo post e’ quello che mi ha spinto infine a scrivere un commento..
Mia nonna e’ morta un paio di anni fa.. per fortuna prima avevo imparato a fare “le rose”.. non so quale sia il vero nome di questo dolce, so che mia nonna aveva imparato a farlo in tunisia, dove, pur essendo siciliana, aveva vissuto circa 40 anni e dove mia madre e’ nata (questo spiega probabilmente perche’mi ha affascinato il tuo blog :-)
“le rose” sono un dolce forse piu’ ebreo che arabo, si fanno impastando 10 uova in un chilo di farina (niente acqua, niente zucchero), poi stendendo le sfoglie col mattarello a mano, in modo che diventino quasi trasparenti; poi si tagliano a strisce e si friggono; la particolarita’ sta nel modo di arrotolarle mentre si friggono, in modo da formare quasi dei boccioli di rosa, da qui il nome. Poi si mangiano accompagnate da zucchero fatto bollire con acqua e con l’aggiunta di limone (come per fare il caramello, ma non deve caramellare).
Chissa’ se nei tuoi viaggi e nella tua permanenza in egitto hai mai incontrato questo dolce…
Ovviamente quest’anno l’ho rifatto religiosamente, e rifacendolo e’ come mia nonna fosse con me…
Pillow
allora io e te non ci conosciamo, arrivo qui tramite la mia grande amica Vivamiao di Sessosportivo. Ma con il cuore in mano e tutta la sincerità di cui sono capace ti chiedo DI ORGANIZZARE UN TIMBALLO PARTIY PER POCHI INTIMI AL FINE DI FAR CONOSCERE AL MONDO BLOGGHIGO CHE TI SEGUE IL SAPORE DI CODESTO TUO PARADISIACO ASSEMBLAMENTO DI MATERIE A ME GIà CARE ALLO STATO BRADO…………
TE PREGO………
veradafne
arrivo dal blog di mirelladeparis che ti ha segnalto per la ricetta ( http://www.incercadiutopie.splinder.com)
devo dire che è un rito sacro questa tua ricetta! complimenti!
e splendida la freschezza delle tue parole…ho letto anche il post del”sole e del medico”..bellissimo…Milano è cupa in inverno, ma giornate di cielo limpido sono belle quando compaiono;-)
un sorriso
veradafne
la email..non è esatta
Danilo
Il Timballo è anche abruzzese, e lo preparano anche nel film “Big Night” di Stanley Tucci.
Il Parmigiano, in Abruzzo, “non esiste” nelle ricette regionali; al massimo pecorino.
E non c’è sfoglia (ché altrimenti parliamo di Lasagna9, bensì strati di crepes sottilissime….
sherpa72
Ciao, era tanto che non passavo, auguri per il nuovo anno, tanto per cominciare!
Ho letto un pò di post antecedenti, e devo dire che di tutti quelli letti sulla tua quatodianità , mi ha colpito molto il post del 16 dicembre e questo sul cibo e il natale. Io non ho bisogno di paesi esotici, sclererei con tutto quel caldo e la poca igiene, ma certamente avrei bisogno di un altro paese…il posto dove mi sono trovata meglio? Londra. Arrivo là , e mi sento io. Una tana mia Londra. Ho voglia di andare dall’analista…nel frattempo mi delizio con le ricette, come tua figlia anche io dicevo “mai”, e ce ne ho messo per cimentarmi in cucina, ma oggi, alla soglia dei 34, lo faccio.
Un saluto. Michela
Jishu
Allora, dillo ?!
Ho uno stomaco, ormai da anni, disastrato.
vado avanti a pastasciutta, poco condita, minestrine varie, poca
pochissima carne. Quasi nessun grasso, pochi dolci, niente uova e
salumi e sopratutto non
lasagne al ragu o almeno non come le fai tu.
A leggere il post mi veniva l’acquolina e la tristezza per tutto quello
che vorrei mangiare e che non posso. Quindi
Abbuffatevi anche per me ^__^
silversurfer
NON MI HAI INVITATO, ALTRO CHE BINGO SLURP