C’è un tale intreccio di insensatezza, in tutta questa faccenda, che una non ne parla perché non sa da che parte cominciare.
Dice: “Spiegami!”
Dico: “A che pro? Io so solo che me ne voglio andare.”
Mi sento naufragare in mare di idiozia che si alza sempre di più, ed io lì a difendermi dall’annegamento armata di cucchiaino.
Affogo, per forza.
Poi lui insiste, io spiego, verso pure due lacrime di sconforto o di tensione che si scioglie, non so bene, e così fino alla prossima volta.
Le occasioni per sentirsi estranea, davvero, non mancano.
Ieri ci scambiavamo sms, io e la collega in Egitto.
Mi diceva che i ragazzi sono furibondi, in università.
E mi sembrava di vederli, ne prevedevo i discorsi, sentivo l’imbarazzo della collega immaginando quello che proverei io al suo posto.
“Apparteniamo a un mondo di una superficialità insopportabile.”
E basta.
Non c’era altro da dire.
C’è qualcosa che noi abbiamo perso chissà quanto tempo fa e che nessuna legge può imporre. Si fa fatica a spiegare cos’è. Quello che pensi è che qui sei costretta a farlo, se vuoi farti capire, mentre là verresti compresa al volo persino dal più sperduto beduino analfabeta del deserto.
Parlo del rispetto gratis, quello che non è soggetto a norme di legge. Della capacità di fermarsi prima di offendere profondamente l’altro, e non perché una norma te lo imponga ma perché, semplicemente, ciò che ti manca è proprio la volontà di offendere.
In una società in cui essere delle persone perbene è un valore, la dimensione che trova spazio è quella dell’intelligenza etica.
Io me la ricordo, sai?
Un tempo ce l’avevamo anche noi.
Anzi: più responsabilità si avevano e più era doveroso possederla.
Sono cresciuta in un mondo in cui era impensabile che la stampa di un continente usasse i precetti religiosi di una civiltà diversa a mo’ di carta igienica solo per dimostrare che poteva farlo. Il punto, nel mondo che rimpiango, era che non lo si voleva fare.
Essere figlia di quel mondo fa sì che io, oggi, non mi sognerei mai di mettermi a esibire disegni di Maometto a mo’ di sfida in faccia a un musulmano, e non certo per paura: perché mi sembrerebbe un’azione stupida e incivile, semplicemente. Perché la mia intelligenza etica me lo impedirebbe. Perché non mi riconoscerei più, se lo facessi. Perché non trovo che potere fare una cosa sia un motivo sufficiente per farla.
Per trovare un mondo in cui cristiani e musulmani convivono da secoli e secoli bisogna, è noto, andare in Medio Oriente. E lì lo vedi con i tuoi occhi, lo senti con il tuo corpo quanto possono cambiare i rapporti a seconda di ciò che prevale, tra l’etica del “potrei ma non lo faccio” e il darwinismo nudo e crudo del “posso e quindi lo faccio”. Mi pare che la semplice osservazione della realtà, la constatazione del perdurare di questa convivenza attraverso la Storia, dimostri che la scelta etica, fragile e costantemente da rinegoziare per sua stessa natura, sia quella che prevale nel sentire collettivo anche e soprattutto dei musulmani, fosse solo per la loro prevalenza numerica.
Vorrei che continuasse ad essere così.
Vorrei che la nostra sciocca superficialità la smettesse di avere come unico antidoto il buon cuore, sempre più pericolante, di intere società la cui esistenza si dipana sotto il nostro mirino, militare o mediatico che sia.
E’ un miracolo che questo equilibrio si mantenga ancora, a dispetto della tenacia dei provocatori e, guarda un po’, della povertà e basso indice di scolarizzazione della maggioranza dei provocati.
No, per dire.
E me li sto immaginando con i capelli ritti, i miei ex studenti cristiani.
Perché è la complessità, poi, ciò che veramente naufraga sotto i colpi semplicistici che assestiamo a quel mondo ogni volta che possiamo. La ricchezza, la fertilità delle contraddizioni non possono resistere alle ricettine beote che la nostra opinione pubblica si è prima bevuta fino al rincitrullimento totale e che adesso spaccia per verità, diritti e libertà, senza accorgersi di quanto appaia vacua, ipocrita e, francamente, vile.
Ci si radicalizza, noi e loro. E’ ovvio.
Così, sulle sciocchezze. Per nostro vezzo pseudolibertario.
Perché abbiamo tanto, tantissimo potere e lo usiamo come il figlio del Cummenda usa il Ferrarino, da fighetti ignoranti.
Dice: “Dai! Lanciamo un concorso per trovare disegnatori del Profeta, così facciamo un bel “pappappero” ai musulmani che lo considerano blasfemo”.
E, ovvio, come vuoi che non ne trovino? E con onore di stampa a prescindere, per quanto le vignette siano sciocche, insipide, xenofobe. Certo che ne trovano!
E’ da settembre che i musulmani del mondo cercano di spiegare che non è giusto né bello, leggi o non leggi, che vengano compiuti, a mezzo stampa, atti delberatamente offensivi contro la loro religione.
Lo hanno detto in tutti i modi, usando tutti gli strumenti civili e democratici di cui disponevano.
Niente.
Più loro si offendono e più le vignette vengono pubblicate.
Alla fine si incazzano – a febbraio, esausti; mica a settembre – e i cattivi sono loro.
Pensa.
E così ci ritroviamo col paradosso assoluto del musulmano che, a Otto e mezzo, deve spiegare a un Ferrara che fa lo gnorri come mai i musulmani si sentono offesi, per queste cose, mentre alle sue spalle un video gigante proietta un’enorme faccia di Maometto con una bomba al posto del turbante.
E io lo guardavo e gli invidiavo la pazienza, la lucidità assoluta. Ma quanta ce ne vuole?
E quanti possono averla, quanti fighetti occidentali la avrebbero, al suo posto?
Io, dicevo, credo che siamo fondamentalmente sciocchi.
Siamo, di fatto, una società gestita da una generazione – la mia e quella immediatamente precedente – il cui eroismo consiste nell’essersi opposto “a papà”.
“Papà” inteso come famiglia, come istituzione scolastica, religiosa, come autorità e freno a una realizzazione di noi stessi e del nostro piacere che avevamo lì, a portata di mano, e ci è bastato strepitare un po’ e correre davanti a un celerino per farlo nostro.
Non abbiamo fatto guerre, non abbiamo mai veramente sofferto.
Non abbiamo costruito né paci né ricchezze.
Abbiamo ereditato entrambe e ne abbiamo usufruito.
Invecchiando, è noto, non si diventa più eroici: solo così mi spiego questo fermo-immagine così straziantemente evidente nella nostra sinistra, sempre pronta a combattere solo e soltanto le battaglie che ha già vinto.
La libertà di espressione.
La libertà di satira.
L’Italia è, pare, al 74esimo posto nella classifica mondiale della libertà di stampa. Siamo solo “parzialmente liberi”, secondo Freedom House e, del resto, basta uno sguardo ai media per accorgersene.
Però ci si mobilita per lo sfizio di pubblicare la faccia di Maometto.
E si scomoda Voltaire, si tira fuori “il sangue versato per la libertà” e c’è un giornalista tra i miei commenti a cui prudono le dita dalla voglia di disegnare un turbante.
Poi però siamo 74esimi e nessuno si scomoda. Perché, sai che c’è, siamo consumatori. Non protagonisti della nostra storia. E avere avversari lontani, battaglie a noi estranee, improbabili eroismi contro esotiche fatwa indonesiane seduti al pc ci sottrae alla fatica, ai rischi e agli obblighi che deriverebbero dal prendere veramente atto del nostro 74esimo posto.
Difendere la libertà di satira in Danimarca dà più soddisfazione che farlo in RAI.
Combattere solo le battaglie già vinte ci permette di sognarci vincenti a dispetto di qualsiasi realtà.
Solo che gli altri se ne accorgono, questo è il guaio.
La nostra contraddizione è evidente e la nostra ipocrisia è offensiva tanto o più del volto di Maometto riprodotto.
Il nostro atteggiarci a soloni è insopportabile soprattutto per questo: perché siamo incapaci di guardarci allo specchio.
Crediamo di non avere niente da imparare e ci ostiniamo a volere insegnare chissà cosa, beatamente inconsapevoli della disistima totale e crescente che facciamo di tutto per meritarci.
Un miliardo di persone cercano di dirci qualcosa e noi non ci degniamo di ascoltare perché siamo certissimi di non avere nulla da apprendere, nulla da scoprire.
Noi ascoltiamo solo se ci toccano le tasche o l’incolumità.
Siamo totalmente privi di curiosità, come il figlio del cummenda che gira col Ferrarino e fa danni da idiota, perché non ha mai avuto il bisogno di fermarsi un attimo a pensare.
Questo nostro pavloviano bisogno di combattere in eterno le battaglie che ci hanno gratificato a 20 anni è particolarmente insopprimibile quando si tratta di religione.
Solo che allora combattevamo la nostra, mica quella degli altri.
Solo che combattere la nostra voleva dire combattere un’istituzione effettiva e concreta, non il rapporto con il trascendente di popoli di cui ignoriamo tutto.
Solo che allora era l’autorità, il nostro nemico, mentre adesso il potere è tutto nelle nostre mani.
Solo che per noi la religione era uno strumento di oppressione che calava dall’alto, non lo strumento che popoli interi oggi riversano nelle urne elettorali col desiderio di liberarsi da altre, più urgenti oppressioni.
Solo che, soprattutto, noi abbiamo combattuto la religione quando questa non ci è servita più.
Vaglielo a dire a chi si sveglia la mattina senza sapere se arriverà vivo a sera, che dopo la vita non c’è nulla.
Dillo a chi convive gomito a gomito con la morte e non solo, non necessariamente perché lo opprimono, gli sparano addosso o lo bombardano ma perché la morte è presente in tutto ciò che fai, semplicemente.
In tutto.
Nel lavoro, fatto senza uno straccio di sicurezza. Nell’acqua del Nilo che trasmette la bilharziosi e nell’aria di piombo delle grandi città dove finiscono le nostre macchine usate.
Nelle infrastrutture assassine e nella mancanza di garanzie, di protezioni che non siano quelle della famiglia, del gruppo e dell’etica condivisa.
E’ facile essere fieramente atei quando i propri bisogni primari sono garantiti e si ha tempo e modo di cercare sulla terra i piaceri che altri rimandano a tempi e vite migliori.
Ed è molto arrogante vantarsi di ciò che ci risulta facile.
L’Islam non è un obbligo calato dall’alto e imposto con la repressione, a punta di fucile. Se tanta gente lo difende è perché – ma è così difficile capirlo? – lo ama.
Perché lo trova bello, importante.
Perché fa stare bene, rende la vita più sopportabile, unisce, dà un senso ad un caos che sarebbe annichilente, altrimenti.
Ma cosa ne sappiamo, noi?
Della moschea come luogo di incontro, di chiacchiera, di sonnellino, di gioco per i bambini. Del proporre a uno sconosciuto di pregare assieme, in un posto qualsiasi, perché pregare assieme è più bello ed importante. Che idea abbiamo della portata emotiva, della serenità, del senso di pienezza che ti può dare un’appartenenza di questo genere?
Io me l’ero sempre chiesto, cosa provasse la gente che credeva in Dio. Mi era sempre sembrata un’incomprensibile stupidaggine, una superstizione per allocchi o una manifestazione di conformismo sostanzialmente disprezzabile.
Credo di averlo capito là, che cos’è.
Di sicuro, ho capito che non ho proprio niente da insegnare, a nessuno. Tanto meno il nostro vecchio slogan di “combattere tutte le religioni”.
Può darsi che sia oppio.
Niente di più probabile, anzi.
Ma l’oppio esiste nella Natura e serve per non sentire dolore.
Mi pare una funzione importante.
Soprattutto, oppiomani lo siamo tutti. Noi più di loro, ché la nostra resistenza al dolore è di gran lunga minore.
E non ci rendiamo manco conto che il nostro oppio, oramai, è la guerra che combattiamo contro un mondo su cui proiettiamo tutti i nostri fantasmi per non essere costretti a farci i conti quando ci guardiamo allo specchio.
P.S. Ah, un’ultima cosa: quelli che difendono il diritto alla libertà di satira dovrebbero ricordare che la satira è uno strumento dei deboli contro i forti.
Quando viene usata dai forti contro i deboli il risultato è più o meno questo:
Non è che ci sia proprio da esserne fieri.
sensi
Sacrosante parole.
La satira e unÂaltra cosa. Ha molto poco a che vedere con la propaganda, il cattivo gusto, la facile e superficiale offesa. Quindi sono dÂaccordo con tutto cio che hai scritto sulla bassezza delle mani che hanno creato e di quelle che hanno pubblicato.
La leggittimita e ben diversa dalla possibilitaÂ.
Adesso pero voglio volgere lo sguardo verso la parte che si ritiene offesa. Non condanno il fatto che siano offesi e mortificati (fino ad essere incazzati fumanti), condanno la reazione.
Il principio che ad ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria dovrebbe valere solo in fisica. Ad una meschina provocazione, travisazione, banalizzazione, non risponderei mai con la violenza, con la minaccia, o con qualunque mezzo che generalmente (*) condanno, con qualunque azione la cui portata ed il cui singificato e simile o superiore allÂoffesa.
MÂilludo, credendo che la battaglia sia culturale.
*ci sono casi in cui ritengo che lÂuso della violenza sia inevitabile, ma sono casi estremamente diversi da questo.
Antonio
Gennaro: hai perfettamente ragione sulla Freedom house, poi non parliamo di RSF. Quello di fonti non attenbili accreditate implicitamente quando dicono qualcosa che ci fa comodo è un problemaccio. A me viene in mente per esempio il caso di Maurizio Blondet, da cui mi terrei debitamente alla larga.
Però è anche vero che dovremmo essere tutti adulti e vaccinati, se uno sa la provenienza e l’indirizzo della fonte da cui attinge, può citare senza farsi infinocchiare.
Per esempio la copia dell’Economist con lo speciale su Berlusconi ce l’ho e, con le pinze del caso, me lo sono letto tutto. Anche perché in qualche modo bisogna reagire alla penuria informativa italiana.
ciao
L'immobiliarista.
Penso che in Italia non ci siano solo cummenda e figli di cummenda coi ferrarini.
La questione qui analizzata viene solo sfiorata in superficie, in quanto non si e’assolutamente nominato il divieto assoluto di rappresentare la figura umana nell’arte musulmana. Ed e’ questo il nocciolo della questione. Forse era sottinteso, banale, ovvio.
Io sono un disegnatore, precisamente proprio un fumettista, un vignettista. Pubblicare simili ( autorizzami la giusta terminologia) troiate e’ proprio da stronzi.
Qui non si tratta di semplici raccontini o romanzetti illustrati.
Comunque la reazione fomentata dai responsabili di questo delirio fondamentalista deve preoccupare.
Non si può minimizzare, l’affronto di quelle vignette e’ stato abbastanza pesante, ma la rappresaglia e’ stata alquanto esasperata e fuori misura.
Che cosa ne sappiamo noi? Giusto.
Siamo degli ignorantoni. Abbiamo conoscenze frammentarie dell’universo e della cultura dei nostri FRATELLI musulmani. Soprattutto nella poesia.
Però venire additato come “INFEDELE” a me non garba. Ci vuole par condicio.
SIMONA
Allora i mussulmani si dovevano rivolgere a quale tribunale per denunciare il torto subito? qualcuno sa rispondere. quali reazioni dovevano avere? Mandano gli ambasciatori a chiedere delle scuse formali e niente da fare, boicottano il mercato danese, e gli altri paesi europei fanno a gara per pubblicare quei fumetti, e li si chiama terroristi, no, non credo, sono solo incazzati e per me hanno anche ragione perchè l’unica cosa su cui nessuno può parlare è la religione. loro vivono nei loro paesi gomito a gomito con i cattolici. in egitto durante il mese del digiuno non fumano per strada neanche i cattolici, per non offendere i loro concittadini mussulmani, e arriviamo noi belli freschi freschi e ci mettiamo ad offendere il loro profeta per poi ottenere che cosa? Bò! Chi ha pubblicato quelle immagini è un terrorista perchè ha fomentato l’ira.
Psalvus
Penso che questa storia ci fara’ molto, ma molto bene. I diritti cosiddetti naturali (come il diritto della liberta’ di espressione, le liberta’ sessuali, l’uguaglianza di uomo e donna, etc…) non si acquisiscono una volta per tutti e non si ereditano gratis. Il diritto alla liberta’ di espressione è un lusso che l’Occidente non puo’ piu’ permettersi allo stesso modo che non puo’ piu’ permettersi la quantita’ di energia pro-capite che attualmente divora. Viviamo da rentiers sui diritti conquistati, a prezzo di molto sangue circa duecento anni fa dai nostri avi. Francamente – concordo con lia – siamo dei bamboccioni un po’ viziati.
ritael
Blondet può anche non piacere, ma una cosa che fa è citare le fonti. Non vedo, quindi, perchè bisognerebbe starne alla larga. Forse, semplicemente, perchè è un cattolico all’antica, una figura dunque che dà fastidio per il suo ricordare come eravamo, un tempo, in Italia?
Eppure, le sue parole sulla “disumanizzazione del nemico” (tra l’altro, ieri sera le impiegate anche Vauro per spiegare quanto è accaduto con le vignette) mi sembrano esemplari e assolutamente sottoscrivibili. Eccole:
“Fra qualche mese si saprà forse se dietro questa campagna cÂè la mano di Hill & Knowlton o del Rendon Group, le due imprese di pubbliche relazioni di cui ci serve il Pentagono (la prima inventò la storia dei malvagi iracheni che, in Kuwait, avevano aperto le incubatrici negli ospedali per fare morire i bambini); oggi è urgente immaginare il perché di tutto questo.
E la risposta è allarmante.
«Il regime iraniano è oggi lo Stato principale che sostiene il terrorismo», ha appena sancito Donald Rumsfeld, «il mondo non vuole e deve collaborare per scongiurare un Iran nucleare».
Ha anche avvertito che la guerra contro il terrorismo globale sarà lunga, almeno come la guerra fredda.
EÂ dunque nel quadro della preparazione alla guerra in Iran che probabilmente bisogna inserire la ridicola e ripugnante campagna delle vignette.
Data la densità dellÂarmamento anti-aereo di cui lÂIran si è recentemente dotato, le installazioni industriali nucleari iraniane sono ormai fuori dalla portata di un attacco convenzionale con missili da crociera e bombardieri; dunque lÂattacco dovrà probabilmente essere di tipo nucleare.
Ma un attacco atomico preventivo e non provocato contro un Paese che non è in guerra con gli Stati Uniti, che non dispone se non di armi convenzionali, e che farà centinaia di migliaia di vittime tra la popolazione, è un evento sconvolgente, unÂatrocità che deve essere «preparata» nella psicologia di massa.
La preparazione consiste nella disumanizzazione preventiva dellÂavversario; contro un avversario adeguatamente disumanizzato, lÂopinione pubblica occidentale – si spera – giustificherà le bombe atomiche.
LÂaccorgimento riuscì alla perfezione contro il Giappone, dove le bombe atomiche furono precedute da una campagna di odio e di disprezzo senza precedenti contro i detestati «japs».
Riesce perfettamente anche in Israele, maestra del nostro tempo nella disumanizzazione del nemico, per poterne distruggere le case e gli uliveti, ammazzarne i bambini, compiere contro di esso atrocità di ogni genere.
La campagna è in un certo senso meno rivolta agli islamici che alla manipolazione dellÂopinione pubblica europea, che – nonostante le parole di Rumsfeld – pare poco disposta a «collaborare per scongiurare un Iran nucleare».
Bisogna spingerla ad odiare, a nutrire quel misto di rabbia e di paura che funziona così bene in Israele.
Come sappiamo, Orwell aveva previsto tutto questo.
[…]
Lo scopo è essenzialmente il controllo dei propri cittadini.
[…]
LÂintero alone della cosiddetta informazione (propaganda di guerra psicologica) mira a tenerci in questo stato di paura perpetua.
A farci credere che «lÂIslam ci attacca» (due Paesi musulmani sono oggi sotto occupazione americana e un terzo è minacciato di bombardamento; ma a noi «sembra» che gli aggrediti siamo noi).”
Link: http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=934¶metro=%20%20economia
giovanna
grazie lia. dai voce all’ avvilimento che sento in questi giorni.
disegni per bambini
i disegni sono uan rappresentazione fantasiosa della realtà e fanno parte di essa, essendo essa stessa parte della nostra fantasia, bisogna avere cura e più rispetto possibile in ogni forma, anche attraverso un semplice disegno.