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Tra le cose impacchettate al mio ritorno dall’Egitto, c’era pure la lampada che tenevo sulla testa quando scribacchiavo al pc in quel del Cairo e che è uguale a questa nella foto.

La povera lampada è rimasta in uno scatolone per oltre un anno, ché nel monolocale milanese che è stato la mia prima casa dopo il ritorno in patria, di posto per una stellona araba non ce n’era l’ombra.
Quando poi l’ho tirata fuori, qui a Genova, me la sono ritrovata tutta storta e piegata.
Un dolore, ché ci ero affezionata.
E quindi, maledicendomi per la mia imperizia nell’imballare, sono corsa a cercare qualcuno che me la aggiustasse.
Mica facile: trattasi di una lampada di ottone e, come mi ha spiegato il fabbro-idraulico che ho sotto casa, per saldare l’ottone ci vuole un affare speciale e non lo può fare chiunque.

Lampada in mano, inizio un pellegrinaggio che mi porta in un bellissimo negozio dove mi assicurano che, sì, loro me la possono riparare, ma in cambio vogliono cento euro.
E io, sbalordita: “Cento euro??? Ma se io l’ho pagata venti!”
E il tizio: “Venti euro? Ma ha fatto un affarone! Io, una lampada identica a questa l’ho venduta a Natale scorso per 400 euro.”

Quattrocento euro.
Basita, rimango.
Le vendono al Khan al Khalili del Cairo, gessù. E costano 20 euro. Venti. Me lo ricordo benissimo.

No, perché io starei pensando di fare un salto al Cairo, a Pasqua, ché la colleghina me ne ha fatto venire voglia in chat, l’altro giorno, e poi pare che ci sia anche Jose e, insomma, vorrei andare.

Se vedete una tizia carica di lampade a forma di stella di ottone, sull’aereo del ritorno, quella sono io.
Anche se lo devo vedere in faccia, uno disposto a pagare 400 euro per una cosa così.
Magari anche toccarlo, ché sennò non me ne faccio una ragione, della sua esistenza.

Poi, la lampada, me l’ha aggiustata un vecchietto.
Non un vecchietto qualunque: uno che, con l’ottone, ci fa le bussole per le navi.
E non per le navi qualunque: ha fatto la bussola dell’Amerigo Vespucci, lui.

Sono i miracoli del centro storico di questa città. Un vecchietto così e il suo laboratorio.
Ormai è in pensione e fa solo le cose che lo divertono.
Come la mia lampada, appunto.
Qui siamo onoratissime, ché dal nostro soffitto adesso pende una stella rimessa a nuovo da chi ha fatto, con le sue mani, la bussola dell’Amerigo Vespucci.

Mi fa, orgoglioso e triste: “Questo laboratorio è l’unico del suo genere in Italia. E quando morirò non ci sarà più nessuno in grado di continuare questo mestiere…”
E io: “Ma a Napoli, almeno, c’era qualcosa di simile? Ce le abbiamo pure a Napoli, le navi, dico io.”
E lui: “Ma va’. Gliele mandavo io, le bussole, ai napoletani. Con le mie mani, gliele facevo.”

Ho la lampada arabo-genovese, adesso.