Ammesso che fosse davvero una canna (qui i ragazzi negano), e premesso che il video non è girato in una classe, come sciattamente dicono i giornali, ma all’aperto (e magari cambia poco, ma qualcosa cambia), rimane il fatto che c’è qualcosa di malato, in tutto ciò, e non riguarda solo il professore.
Io, mi pare superfluo anche dirlo, non provo nessuna simpatia per gli insegnanti che si fanno le canne con gli allievi.
Esistono, lo so benissimo: mia figlia ha fatto l’Artistico e mi raccontava della sua prof di matematica, giovane supplente alle primissime armi, che di pomeriggio era capacissima di fare lezioni extra – e gratis – ai suoi studenti e, nel contempo, fare girare canne in salotto.
Faceva la ragazzina in mezzo ai ragazzini, cosa non rarissima.
Non provo simpatia per questi colleghi, dicevo, perché ritengo che manchino del senso e della dignità del proprio ruolo. Normalmente, nemmeno i ragazzi li stimano. Magari fanno i simpatici, ma non li stimano.
Ma è che è proprio il “famo i simpatici” che, a scuola, mi fa abbastanza orrore. Con o senza canne, ché provo disgusto anche di fronte all’idea di offrire una sigaretta a un ragazzo in gita, di non battere ciglio dinanzi al turpiloquio e, in generale, di lasciarsi comunque andare a confusioni tra la propria identità e quella dei ragazzi.
Le canne, tollerate o condivise, fanno parte di questa confusione, e il “prof amicone”, come il “genitore amicone”, è un tizio che non ha capito a cosa serve e, di conseguenza, serve a poco o nulla.
Poi, guarda, la situazione è che i prof e i genitori di oggi sono cresciuti tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Normalmente, quindi, le canne se le facevano, se le sono fatte e, a volte, se le fanno ancora.
Da ragazzi, se le facevano di nascosto ai genitori. Adesso se le fanno di nascosto ai figli. O agli alunni. I quali, a loro volta, se le fanno di nascosto a genitori e prof e via dicendo.
E va bene così, credo: se sei quello che dà le regole non puoi fare anche il cultore della trasgressione. Non nello stesso tempo, non con le stesse persone, non nello stesso ruolo.
Poi, quando sei al di fuori del tuo ruolo, fai quello che ti pare.
Ché sono anche fattacci tuoi, mi pare ovvio.
Premesso tutto ciò – e fin qui siamo nel campo del banale – rimane qualcosa che banale non è, ovvero l’istituzionalizzazione della figura dell’alunno inteso come delatore anonimo.
E qui c’è di che interrogarsi, a mio parere.
A 16, 17 anni si è troppo giovani per rovinare la vita di un altro essere umano.
Ed io, se guardo quel video, vedo un idiota rovinato da qualche ragazzino.
Il nostro muscoloso ministro se lo impalerà, probabilmente. Ben oltre le intenzioni dei ragazzetti spiritosi, direi, ché magari avevano pure quel che si dice “un bel rapporto”, l’idiota e i suoi allievi, e oggi a scuola i miei alunni mi dicevano che loro si sentirebbero parecchio in colpa, nei panni degli studenti che lo hanno spedito alla gogna, e in effetti mi sarei sentita in colpa anch’io se, a quell’età, avessi distrutto la vita di un cretino sprovveduto di un prof, e certo senza manco farlo davvero apposta, ché i ragazzi prima lo trovano divertente, mostrare al vasto mondo il loro prof colto in flagrante, e poi si dispiacciono se quello si spara.
Si dispiacciono, se va bene.
Nel senso che una ci spera, che si dispiacciano.
Perché altrimenti, francamente, preferirebbe non averli come alunni.
Esistevano decine di sistemi più corretti di un video su internet, per denunciare quel prof lì: ci sono i rappresentanti di classe e quelli dei genitori, c’è un consiglio di classe ed esiste il preside. Esiste la propria faccia da mettere serenamente in gioco, assieme alla propria buona fede, quando si è sinceramente scandalizzati per il comportamento di un adulto.
E il coraggio della propria faccia, la trasparenza della propria buona fede, sono cose che andrebbero incoraggiate nei ragazzi. Ché qui di ragazzi stiamo parlando, per inciso. Non di bambini. Di gente che tra un po’ vota, stiamo parlando, e che ha l’età per lavorare e magari pure per fare figli, e che con un passaporto diverso forse farebbe questo: lavorare, magari mantenere pure qualcuno.
Di gente, stiamo parlando, a cui non bisognerebbe avere paura di dire: “Comportati da uomo, comportati da donna”. Non è che ci si sciupi, a comportarsi in modo corretto. Nemmeno se si è ragazzi.
Invece no: loro si nascondono dietro a un telefonino, per distruggere anonimamente l’esistenza dei loro prof pirla, e la stampa, gli adulti, il ministero e i benpensanti tutti gli danno man forte.
Gli dedicano i servizi al telegiornale, linciano il malcapitato di turno, elevano a comune realtà il documento della stranezza, dell’insolito, e di fatto li premiano, i nostri giovani anonimi.
Li gratificano, gli danno il titolo di documentaristi.
Senza che loro debbano fare nessuna fatica, se non quella di accendere il telefonino, il pc.
Senza che debbano assumersi nessuna responsabilità.
Poi passano gli anni, per questi nostri alunni, irresponsabili bambini vezzeggiati dall’Italia tutta.
Magari vanno a lavorare, magari diventano prof.
E, non essendosi mai assunti una responsabilità in tutta la loro vita, magari finiscono a rollarsi una canna davanti ai loro alunni di domani.
Che li riprenderanno a loro volta sul cellulare, si godranno lo starnazzare ipocrita dei benpensanti di tutta la stampa nazionale, si faranno un mucchio di risate e poi cresceranno pure loro, irresponsabili pure loro, eccetera eccetera eccetera.
Funziona così.
Una seria riflessione di ciò che è diventato il fenomeno del “cellulare delatore”, un ibrido tra Il grande fratello (quello orwelliano), la vigliaccata e lo scadimento dell’informazione, sarebbe cosa buona e giusta, ma, come tutte le cose intelligenti, ovviamente non viene fatta. Anche prché a farla dovrebbero proprio essere coloro che hanno contribuito a diffondere l’epidemia, cioè la categoria dei (sedicenti) giornalisti, e il mondo dei media in generale.
In una cosa forse ti sbagli, cara collega: questi ragazzi non credo andranno a fare i prof., figurati se sono così masochisti; piuttosto, li troveremo in quelle facoltà-capolavoro create appositamente per imcrementare la mediocrità dilagante, come Scienze della Comunicazione o similia. E un giorno faranno anche loro “i giornalisti”, non certo di quelli che vanno in Afghanistan, ovvio.
Ti chiedo però, visto che ne sei dentro, anche un’opinione sulla scuola, o su ciò che ne è rimasto: non credi sia necessaria una radicale riediicazione di tutto l’apparato educativo (qualsiasi cosa si intenda con questa parola)? Non so, ma in un mondo in cui tutto cambia a velocità anche troppo vertiginosa, la cattedra, la lavagna, la lezione frontale mi sembrano davvero oggetti e concetti preistorici, con cui i ragazzi non riescono più a rapportarsi a da cui non credo traggano più molto beneficio. Ingessata da un elefantismo strutturale, asfissiata da circolari inutili, mi sembra che sia diventata purtroppo un refugium peccatorum per molti che, visto che è un “posto fisso” lo cercano senza il minimo senso di responsabilità che il ruolo di insegnante comporta. Il professore “amico” forse non ha capito il suo ruolo, ma ne ho conosciuti di simili che erano non solo rispettati dagli studenti, ma riuscivano a comunicare loro qualcosa (non solo nozioni della materia, ma anche la passione per la materia stessa, cos molto più importante); come non puoi ignorare che ci sono tanti insegnanti che dietro la loro autorità e ruolo celano non solo l’incapacità di insegnare la loro materia, ma anche una sostanziale povertà intellettuale.
Io non ho tante certezze, sull’argomento, anche perché ogni volta che credevo di averne i fatti mi smentivano, in tutto o in parte. Mi sembra che l’unica certezza è fare bene il proprio mesterie, cosa, questo sì, che davvero ormai pochissimi fanno, nella scuola come altrove.
Cara Lia,
Alla mia età ( 74 ) e da siderurgico pensionato, non avrei mai pensato che per sapere qualcosa di vero sui giovani e sul mondo in cui viviamo si deve frequentare il tuo blog.
Grazie per quanto scrivi.
manlio
Credo che sulla scuola come sistema si possa fare poco affidamento. Essa non fa che esprimere uno smarrimento che dev’essere lenito da una consapevole ripresa “dal basso”, che da un lato deve senz’altro affidarsi al pacato eroismo dei singoli professori, e d’altra parte dev’essere suscitata dalla società.
Lavorando con dei ragazzi delle scuole medie della periferia di una grande città, l’impressione è stata proprio questa. L’abbandono pressoché totale del professore a se stesso, sia dall’istituzione sia dal collegio docenti sia dall’interazione con famiglia e ragazzi; sono state delle attività svolte in orario extrascolastico ed al di fuori delle strutture della scuola, a permettere poi una qualche forma di propositività da parte dei ragazzi stessi, e l’allacciamento di rapporti con alcuni professori “di buona volontà” che intendessero stabilire una vera e propria rete, e non a partire dalla scuola in sé, ma anzi proprio dall’apertura alle influenze positive del tessuto sociale circostante, per labili che siano.
Mi sembra si tratti di quel buon vecchio “circolo”, in cui bisogna rendere il vizio una virtù, coll’aiuto di Dio.
Pace su di voi.
uhm, be’, forse sei andata al di là delle intenzioni, perché alla fine l’unica pulsione ora è quella di diventare famoso, anche solo per un giorno. Poi cosa o chi ci vada di mezzo è una cosa , forse manco minimamente presa in considerazione per un attimo, nei confronti della notorietà
ecco. parole sante. davvero. baci.
cara Lia,
poiché so che la scuola ti sta a cuore ti trascrivo la lettera che ho inviato al ministro Fioroni
Augusta De Piero
Via Gemona 78
33100 UDINE
Tel. 0432 204274
augusta,depiero@tin.it
Udine 2 giugno 2007
Lettera aperta al ministro della pubblica istruzione Beppe Fioroni
E per conoscenza
al presidente del consiglio dei ministri: Romano Prodi
ai ministri per
i diritti e pari opportunità: Barbara Pollastrini
le politiche per la famiglia: Rosy Bindi
le politiche giovanili: Giovanna Melandri
la solidarietà sociale Paolo Ferrero
e per conoscenza alla
Consulta romana per la laicità delle istituzioni
Egregio sig. Ministro
Chi le scrive è un’insegnante in pensione che prova un’enorme pietà per i giovani a causa del modello di comportamento sociale che la scuola – attraverso il suo rappresentante governativo- propone, anzi impone.
Mi riferisco al vantaggio offerto agli studenti che si avvalgono dell’insegnamento di religione cattolica agli effetti della contabilizzazione dei crediti di cui giovarsi agli esami di maturità.
Mi soffermo un momento sul comunicato della consulta romana per la laicità delle istituzioni, cui molte associazioni, chiese protestanti, unione delle comunità ebraiche … hanno aderito.
Giustamente hanno fatto riferimento al concetto di laicità dello stato.
Manca però (a mio parere), anche in quel documento, il soggetto fondante la scuola: studenti e studentesse (persone che l’età, la situazione generale della scuola, che schiaccia anche gli insegnanti capaci e professionalmente decisi a mantenere la loro dignità, la situazione di tensione che si accompagna agli esami di maturità rendono contrattualmente deboli).
E allora mi permetta di tornare a costoro, costretti a subire un’ingiustizia senza potervisi opporre, anche per la ristrettezza estrema del tempo.
Le vittime in questo caso sono di due tipi:
coloro che dall’ingiustizia vengono penalizzati senza che sia loro concessa una pari opportunità che possa ristabilire un equilibrio (non esistono infatti attività alternative per i “non avvalentesi” dell’insegnamento di religione cattolica);
e coloro che – in nome di una scelta personale- si avvalgono e, senza averlo deciso e senza desiderarlo, sono costretti a godere di un privilegio.
A me sembra un incentivo alla cultura della sopraffazione che è il primo gradino per l’irresponsabilità nella conduzione della propria esistenza. Molti sono gli esempi dei danni che tale sordità irresponsabilità può produrre. Non occorre che ne scriva, basta leggere un qualsiasi quotidiano.
Digerire senza riflettere un’ingiustizia a diciotto anni può essere il primo passo per farsi produttori di ingiustizia da adulti ed è triste che un rappresentante istituzionale dello stato se ne faccia garante.
Augusta De Piero