Visto che si riparla di Don Gelmini, tanto vale riproporre un vecchio post di questo blog sul personaggio, apparso a suo tempo (si parla del 2005) anche su Macchianera.
Con vignetta – profetica, direi – di Biani.

Update: aggiornamenti anche sul sito di Stampa Alternativa, con tanto di file scaricabile del libro di Marco Salvia.

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Dal Manifesto del 22 gennaio 2005:

Un paio di mesi fa è apparso nelle librerie un romanzo. […] L’altra sera Porta a porta ha deciso di celebrare il compleanno, ottantesimo, di don Gelmini con una sorta di beatificazione in terra del sacerdote che ha creato la comunità Incontro. Cerimonia televisiva con il presidente del consiglio in veste di officiante. «Fino ad oggi avevo deciso di non svelare i tratti autobiografici, reali, di un romanzo che è anche costruito su spunti di fantasia – dichiara Marco Salvia – ma sono rimasto scioccato da questa celebrazione perché la realtà è ben diversa dal ritratto edulcorato realizzato nella trasmissione, mi sono intristito e avvelenato». Sostiene Salvia: «Uno dei protagonisti chiave del romanzo è don Luigi, il prete fondatore della comunità di San Modestino. Per la creazione del personaggio mi sono ispirato direttamente a don Gelmini, dal momento che ho frequentato la sua comunità all’inizio degli anni `80. Ricordo bene don Gelmini urlare come un folle al minimo accenno di dissenso, il lavaggio del cervello, i soprusi.

Il romanzo è Mara come me – Omicidio in comunità, di cui io ho parlato qui e qui ma altri hanno parlato qui e qui. Lui stesso ne parla in quest’intervista a Radio Radicale.
E questo post è la segnalazione di un coming out senza rete.

L’autore continua: “Non è stato di impulso. Le persone che potrebbero parlare o sono troppo deboli, o non ci sono più, o non vogliono affrontare queste cose. Avrei potuto stare zitto, ma allora sarebbe stato inutile tutto quel che ho scritto. Ma, senza esasperare, sentivo di dover fare qualcosa. Altrimenti altra gente pagherà e passerà per quello che io ho passato a 18 anni. Ora ne ho 40 e dico queste cose, ma non ho spirito di vendetta, credo solo che persone come don Gelmini e Muccioli siano quelle che hanno fatto più male per cercare vie d’uscita alla tragedia della droga. L’omaggio dell’altra sera è un segno evidente e deciso di come la percezione del reale sia totalmente distorta.

Io l’ho saputo in anteprima per email, che Marco aveva preso questa decisione: “Ormai non penso più a proteggermi, è un paese davvero allo sfacelo. Mi sento molto stanco e avvilito, triste.

Il 23 gennaio lo scrittore ed editore Roberto Parpaglioni invia al Manifesto questa lettera:

Una delle rare cose di cui si può andar fieri oggi in Italia è il baluardo morale eretto da alcuni quotidiani, tra cui “Il Manifesto”. La loro sofferente opposizione riflette, amplificandola, quella esercitata da milioni di cittadini inorriditi. A volte confortandoli, altre spaventandoli ancora di più. Motivi ce ne sono ogni giorno in abbondanza.
Uno, il più recente, lo abbiamo scoperto sulle pagine di questo giornale, sabato 22 gennaio.
L’autore del romanzo Mara come me, Marco Salvia, usciva allo scoperto, dichiarando, al contrario di come solitamente avviene, che nulla di quanto raccontato è “puramente casuale”. Di più: il personaggio lì chiamato “don Luigi”, figura centrale di tutta l’opera, indicato dall’io narrante come il più incapace e scellerato degli educatori, sarebbe “esattamente” don Gelmini. Il Manifesto ha avuto il coraggio di questa denuncia. Ma ancor più coraggioso ritengo sia stato Marco Salvia, un uomo che oggi rischia davvero grosso. L’Italia non è l’America, dove lasciar parlare un regista come Michael Moore può trasformarsi in un vantaggio per i suoi stessi avversari. Qui, a destra, ancora ci si batte fendendo le armi della prepotenza, dell’intolleranza. La stessa furbizia degli americani qui da noi verrebbe letta come un sintomo di debolezza.
E’ per questo motivo che oggi mi preoccupa la sorte di Marco Salvia. Così come mi stupiscono lo spazio e lo scarso supporto informativo che Il Manifesto ha dedicato alla notizia. Riducendo in tal modo lo spazio della sua denuncia, potremmo dire che “giornalisticamente” Marco Salvia è stato lasciato solo. E nel nostro Paese, rischi simili è bene non correrne.
Distinti saluti
Roberto Parpaglioni

Il fatto è che siamo al “fai da te” della decenza civile.
In mancanza di un governo, di un mondo dell’informazione, di una classe intellettuale e di un’opinione pubblica che la difendano, rimane l’iniziativa dei singoli cittadini. E uno si ritrova a scegliere tra l’esporre la propria vita professionale e personale a prevedibili palate di letame e ritorsioni, pur di potersi guardare serenamente allo specchio la mattina, o fare il contrario.
Diciamo che sono scelte faticose, ecco.