Non la metterei in termini di femminismo, che è cosa con cui ho sempre avuto rapporti difficili visto che, per generazione e ambienti politici frequentati, se c’è una categoria che ha sempre e puntualmente cercato di limitare la mia libertà, dai 14 anni in poi, è quella delle compagne femministe che ho avuto la ventura di conoscere.
Ognuna ha i suoi traumi infantili, che volete, ed io non mi sono mai del tutto ripresa dal processo (ma proprio un processo, davvero) che mi vide stupefatta protagonista, alla veneranda età di 14 anni, appunto, nell’aula magna del liceo Umberto di Napoli in quanto il Collettivo Democratico Antifascista nel quale militavo felice, al ritmo degli Inti-Illimani, era arrivato alla conclusione che avevo preso una china da donna-oggetto, io, e mi chiedeva spiegazioni.
A 14 anni, come antipasto per il resto della vita.
Mamma mia.
Mi sta a cuore la dignità delle donne, questo sì, e il riconoscimento della loro specificità, ché non esiste violenza maggiore del negarla, e ovviamente – pleonastico, lo so – la loro/nostra sicurezza, fisica e morale.
Non ho altre rivendicazioni, oltre queste, e giammai mi verrebbe in mente di considerare gli uomini come nemici, poiché so per certo, dopo milli giri, che in fondo non esiste amico migliore di loro, per noi.
La sorellanza è rara. Peccato, ché sarebbe bellissima. Ma capita di rado, come tutte le cose bellissime, e per il resto ci tocca fare i conti con la realtà. E la realtà mi dice che, al dunque, ognuna di noi è sola di fronte al mondo, e spesso deve guardarsi innanzitutto dalle altre donne. Dalla maggior parte di loro, almeno. Dalle più banali, dalle più incattivite. Dalla massa, quindi, ché sono tante e ti beccano sempre disarmata, per giunta.
E’ il motivo della nostra subordinazione, del resto: siamo una categoria piena di kapò.
Non la metterei in termini di femminismo, dicevo, ma conosco benissimo la paura fisica, come ogni donna, e so che è facilissimo farmi del male, e che sta all’etica, alla morale e al senso di responsabilità di ogni uomo, il non farmene.
Se io rincaso di notte e incrocio un uomo in uno di questi vicoli in cui abito, posso solo sperare che sia una persona perbene.
Altri sistemi di difesa, oggettivamente, non ne ho.
Conosco la paura fisica e so quanto è limitante, quanta libertà ti toglie e come cambia la vita, quando non hai motivo di sentirla.
E sono certa che il mondo si regga su una serie di taciti patti, per funzionare in modo da renderlo degno di essere abitato, e uno di questi patti è che, noi donne, non ci si deve toccare.
Vuoi farlo per gioco, per ricreare qualche scena atavica? Ok, ma stiamo giocando. Non ho nulla contro la ritualizzazione delle pulsioni e lo so, che l’essere umano è complicato e noi con loro. E loro con noi.
Ma, fuori dai giochi, giù le mani.
Finisce il mondo, sennò.
Smette di essere degno di essere abitato.
Farci del male è criminale, e per il più semplice dei motivi: perché è contro natura, perché non esiste vita se non a partire da questo assunto.
Pensavo a questo, insomma, e mi è tornato in mente un vecchissimo post entusiasta di quando ero da poco in Egitto e mi godevo tutte quelle rivoluzioni del mio modo di vivere, e tornavo a nascere e a scoprire l’ABC delle cose.
Non lo so nemmeno, se all’epoca lo pubblicai oppure no, e mi scoccio di controllare.
Ne avrò mille, di post di quell’epoca non pubblicati, e altrettanti di pubblicati.
Che importa,
Oggi questo l’ho riletto sorridendo (anche di me stessa, sì) e lo ripropongo qui.
Io, a Milano, avevo preso paura.
Odiavo la metropolitana di sera e il parcheggio di Famagosta, a una certa ora, mi provocava un sobbalzo ad ogni rumore di passi.
Se rincasavo tardi, guidavo con la sicura della macchina inserita. Arrivavo al mio garage e scendevo con il cellulare in mano, pronta a schiacciare il tasto per chiamare la Vigilanza del mio quartiere.
E’ una brutta roba, la paura. Se vivi sola, non ne parliamo.
Tra l’altro ti detesti per il fatto di averla: che cavolo, ti senti una donnetta, è pessimo. E spendi pure un sacco di soldi in taxi o in multe per sosta vietata pur di non fare due passi a piedi quando è buio e non sei in pieno centro.
Qui in Egitto mi sono liberata da questa croce, e il piacere che provo non è facilmente spiegabile.
La “libertà delle donne”, dicono… be’, la mia libertà è qui.
Che sia provincia “integralista” o megalopoli cairota, io e tutte le mie colleghe sperimentiamo il piacere di rincasare a piedi all’ora che ci pare, senza nulla da temere se non il sospiro di disapprovazione del portiere.
Con il portatile a tracolla, magari, che sistemerebbe a vita chiunque me lo volesse scippare.
O il portafoglio in mano e bene in vista, che a Milano non mi passerebbe neanche per l’anticamera del cervello, di esporlo così.
Che, poi, è curioso: in base alla più elementare fisiognomica, una potrebbe rischiare il coccolone, qui. La faccia degli arabi incarna tutto ciò che un normale europeo considera preoccupante: l’aria un po’ truce, la pelle scura, il turbante che li copre, la giallabiya da cui potrebbero estrarre un decoratissimo pugnale e, come si vede in ogni film, tagliarti la gola…
Figurati.
Il presunto pugnalatore è lì che rincasa felice pregustando i suoi falafel, e cadrebbe dalle nuvole se immaginasse i film che mi vengono in mente guardandolo.
Ti può capitare che ti fischino da una macchina, o che qualcuno ti dica: “Where are you from? How are you?”, e morta lì.
Al Cairo, può persino capitarti una mano sul sedere, se sei a Downtown all’ora di punta.
Ma la paura della violenza altrui, qui, non c’è. Non la senti, non fa parte del luogo. E’ l’ultima cosa che una donna può sentire.
Questa scoperta colpisce tutte le occidentali, abituate a ben altro.
E finisci in conversazioni surreali, con le colleghe: “Ma perché qui non aggrediscono le donne per strada?” “Figurati, perché è peccato!”, dirà la collega un po’ razzista e, a giudicare dalla smorfietta snob, si direbbe che le dispiaccia. Pensa come sono indietro, ‘sti arabi, non capiscono nemmeno il progresso di una sana aggressione con stupro…
“Perché passano un guaio blu, se ci provano.”
Ecco, questo è vero.
Io ho imparato che sono fatti miei, se becco una mano sul sedere al Cairo, e non mi passa per la mente di segnalarlo a nessuno, per carità!
Proprio perché temo la violenza.
Quella che subirebbe il povero proprietario della mano, voglio dire.
Lo feci diversi anni fa, a Nuweiba: dissi al proprietario del bar che un tizio, in mare, mi aveva messo una mano addosso. Un attimo dopo c’era un mare di gente in acqua a prendere il tizio, e lo riempirono di botte. Troppe. Un’esagerazione, e non lo farò mai più. La pena deve essere proporzionata al crimine, che cavolo, e va bene che toccare il culo alle signore è una brutta cosa, ma preferisco tenermi un’incavolatura piuttosto che un peso di una tonnellata sulla coscienza.
E’ bello, per una che viene da Milano, confrontarsi con questo tipo di “pericoli”, anziché con quelli veri.
Ancora più bello è camminare di notte e pensare al Nilo e alle stelle, e non ai passi di chi cammina dietro di te.
Ho perso l’abitudine a girarmi, quando qualcuno cammina alle mie spalle. Tanto, lo so già che è un passante e non un malintenzionato.
E’ uno di quei lussi che compensano il mio scarso stipendio, e non ha prezzo. Dove vivevo prima, non avrei potuto comprarmelo.
Continuo a pensare che buona parte di questa sicurezza delle donne per strada sia dovuta al fatto che qui non circolano ubriachi.
L’altra volta che lo dissi scandalizzai un sacco di gente, e davvero non capisco perché. A me pare ovvio, che un popolo che sta lontano dall’alcool abbia dei freni inibitori ben funzionanti anche a tarda notte.
Percepisci la differenza, specie a tarda notte, tra i paesi dove si beve e questo astemio Medio Oriente.
Julia, meditabonda: “Se gli arabi bevessero sarebbero latinoamericani…”
E sarebbe tutto diverso, sì…
Ciao lia.
Quando ero a Cuba mi è capitata una cosa che non ho mai sperimentato altrove: era notte fonda, io e la mia amica dovevamo rincasare e non potevamo che prendere un taxi particular, cioè quei taxi privati che accompagnano i turisti senza essere autorizzati a fare i tassisti. Ci offrirono, dunque, un passaggio una coppia di baldi giovani. Noi, abituate alle remore occidentali, eravamo titubanti: due uomini? Ci immobilizzano come e quando vogliono.. Accettiamo? Non accettiamo? Loro hanno capito il nostro dubbio e… si sono OFFESI! L’hanno presa proprio come un’offesa personale! Come potevamo farci venire in mente certi pensieri brutti! Erano proprio risentiti!
E’ stato bello. E’ stata un’esperienza importante.
Per quanto riguarda il femminismo, capisco. Anche io mi ci sento estranea. Credo che sia superatissimo, almeno per ciò che riguarda l’autocoscienza e quelle cose là. Non capisco che sforzi dovrei fare per rivendicare la mia femminilità se non essere me stessa. E per il resto, per le questioni come il soffitto di vetro.. vedremo. Ma a volte basta non porsi il problema di essere donne, fare quello che si deve e stop. Il mio ambiente di lavoro è l’ambiente maschilista per eccellenza (non sto a specificare qual è), ma il mio lavoro lo so fare e quindi non ho mai avuto bisogno di chiedere rispetto. Mi è stato dato a prescindere. Non so come mi comporto. Da uomo? Da donna? Da trans? Sono io. Punto. Non ho bisogno di dimostrare di essere donna. Lo sono, con tutte le contraddizioni del caso.
Scusate ragazze, il tema merita maggiore rispetto secondo me. Mi sembra troppo banale spiegare perché…
Sulle droghe dicevano non mi ricordo dove:
a) in ascesa la cocaina
b) se l’alcool era una invenzione d’oggi sarebbe vietato come l’ecstasy e compagnia bella
e meno male che sono gli arabi a essere incivili e sanguinari!!!Cara Lia, i pregiudizi sono duri a morire!!!
ciao Lia,
mi piace molto leggere il tuo blog, ma è la prima volta che ti scrivo.
Ho letto questo tuo post proprio quando stavo scrivendone uno sul mio nuovo blog http://www.globalstories.it e i tuo racconti dal Cairo mi hanno ispirato, così ti invito a leggerlo: http://www.globalstories.it/2007/11/27/la-terrazza-proibita/#more-21
un abbraccio, cris
Grazie, Cristina.
L’harem e l’occidente è un libro che ho amato moltissimo, e il concetto di samar anche.
Nel mio mondo ideale, varrebbe la pena di ripartire da lì…