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Tipo quando non ti senti granché bene, e ti fa male la schiena, il petto, e ti rendi conto che fumi troppo e stai proprio una schifezza, insomma, e quindi mi sono decisa a fare un salto dal mio medico curante e lui mi ha guardato malissimo, ha detto che lo lasciavo perplesso e mi ha indirizzato verso il più vicino pronto soccorso a fare una visita cardiologica d’urgenza.
E il tuo pomeriggio smette di essere banale per trasformarsi in una nuova, mirabolante avventura di Paperino.

“Allora, che ti ha detto il medico?”
“Di andare in ospedale a fare un ECG urgente…”
“Ma figurati… prendi un taxi?”
“No, quale taxi, ho la carta di credito clonata. Prendo il 35.”

Io poi sono curiosa ed era da un po’, che mi chiedevo dove fosse il famoso ospedale Galliera.
Adesso lo so.

“Ti raggiungo in ospedale. Sei già sull’autobus?”
“No, sono già in barella. Sono arrivata e mi hanno stesa.”
L’infermiera mi attaccava delle pinze alle caviglie, intanto.

E quindi ho fatto conoscenza col pronto soccorso del Galliera, dicevo, ed è andata che manco il tempo di arrivare, appunto, e mi hanno praticamente placcato, steso, attaccato un mucchio di elettrodi, fatto l’ECG, messo una lanterna nell’orecchio, una pinza sul dito, lo stetoscopio ovunque ci fosse spazio e intanto mi cavavano sangue da ogni dove, ivi compresa l’arteria.
Nel giro di mezz’ora non avevo più segreti, per la sanità genovese.

E poi mi hanno guardato perplessi: “Uhm, lei parrebbe stare bene. Strano. Non siamo convinti. Mancano le radiografie.”
E quindi mi hanno presa, rigirata, rivoltata, radiografata e, di nuovo, guardata perplessi.
“Uhm. Anche la radiografia parrebbe andare bene. Ma ci sarebbe questa tachicardia…”

E quindi mi hanno rivisitata, interrogata, scrutata, auscultata ancora e guardata un po’ scettici: “Il cuore va bene, i polmoni pure, idem il fegato, i reni, questo, quell’altro e il numero di scarpa. Va tutto bene, parrebbe, forse. Ma se ha piacere, può rimanere qui a dormire.”
Bellissimo, il “se ha piacere“.
“Uh, no. Avrei più piacere ad andare a casa…”
“Evvabbe’. Ma se peggiora torni qua. E smetta di fumare. E si riposi.”
Accigliati, erano.
E quindi me ne sono andata con la mia diagnosi di tachicardia sinusale e profondamente ammirata dalla incommensurabile efficienza del Galliera, ché il tutto è durato non più di un’oretta e gli è mancato solo di mapparmi il DNA, per il resto non mi hanno fatto mancare niente.
Gliel’ho detto: “Sa, è la prima volta che vengo qui e devo dire che siete efficientissimi…”
Ci mancava solo che ci ripromettessimo di vederci più spesso, visto l’idillio.

No, perché l’ho anche chiesto alla mia amica: “Senti, ma hanno passato qualche guaio, qui? Perché sono scrupolosi e tanto, gessù.”
Mi ha detto di no, che si vede che era normale così.
Che città strana.

Sono stata testimone di una scena che mi è piaciuta parecchio, tra l’altro, con un’immigrata che è arrivata e si è rivolta con qualche esitazione all’infermiere dicendo di avere un problema, e lui subito: “Preferisce parlare con una donna? E’ forse un problema femminile?” ed ha chiamato immediatamente una collega e si è dileguato, gentilissimo e discretissimo, con una delicatezza che mi ha lasciato ammirata. E contenta, la giovane straniera, e c’era un’atmosfera rilassata, in sala d’attesa, che io e la mia amica ci abbiamo pure scherzato, ché sembrava la sala d’attesa di un dentista del centro, più che un pronto soccorso.

Poi, boh.
Questi genovesi mi continuano a dire che devo avere una buona stella, io, in questa città (presto, uno scongiuro!), ma la verità è che sono rimasta proprio ammirata.
Una si sente nuova, dopo una cosa così, benché vagamente acciaccata.

Poi pensa all’avventura analoga di Marco al Carderelli di Napoli, una, e conclude che è strana, l’Italia, e che è meglio se pensa ad altro, ché poi si incazza e non fa bene alla tachicardia, arrabbiarsi.