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Chiamarsi Mohamed, nel mondo islamico, è molto più comune che chiamarsi Mary o Maria in quello cristiano, e gli egiziani ci ridono e ti spiegano che se esclami “Mohamed!” su un autobus si girano tutti, autista compreso.
Non ho alcun dubbio sul fatto che a nessuno, nella classe sudanese al centro di ‘sto po’ di ennesimo scandalo della stupidità pilotata, sia venuto in mente il Profeta quando hanno battezzato l’orsacchiotto. E se in Egitto avessi fatto la maestra di bambini, mi sarei comportata esattamente come la Gibbons, nella stessa situazione: “Prof, l’orsetto lo chiamiamo Mohamed!”. “Ok.”

Perché non ci si può appellare nemmeno all’incomprensione interculturale, in questa vicenda, e lo dimostra il fatto stesso che sia venuto in mente ai bambini, questo nome da dare all’orsetto. Credo che non esista rappresentante della propria cultura più spontaneo di un bambino.

Il problema – solito – è che all’anti-islamismo pretestuoso che alcuni si sono inventati per rivestire di teoria la pratica degli affaracci propri, fa da sponda un islamismo altrettanto pretestuoso e altrettanto vuoto – un bignami di parole d’ordine attorno a cui intrupparsi – che, esattamente come l’anti-islamismo, ha come unico scopo quello di perseguire gli affaracci propri, politici e/o economici che siano.
E sono speculari gli uni agli altri, gli alfieri dell’imbecillità fatta stendardo, e l’esistenza degli uni giustifica quella degli altri e ne rende possibili gli affaracci. Er ‘bbusiness.

Brilla, in tanto scenario, la totale mancanza di rispetto per l’islam in sé, ovviamente.
Quella che è per eccellenza la religione del possibile e dell’equilibrio ne esce a pezzi e, con essa, ne escono a pezzi le masse di descamisados in salsa islamica il cui ruolo è ormai quello di aderire a uno stereotipo già scritto e da bombardare oggi, domani e dopo, fino ad esaurimento.
Ha dei leader che ne hanno ben poco a cuore le sorti, questa gente, ed è che la debolezza porta pure a farsi guidare da cialtroni, come se non si avessero già abbastanza problemi.

Perché, ovviamente, nessuno crederà neanche per un istante che fosse spontanea, la manifestazione in Sudan. Voglio sperare.
Almeno la capacità di sapere scaldare e manipolare le proprie masse, a ‘sti cialtroni della religione, gliela dovremmo riconoscere.
Non è che ne abbiano molte altre, del resto.
La lungimiranza, come la buona fede e l’amore per la propria religione e per la propria gente, di sicuro gli manca.

Facciamo finta che le cose stiano davvero così“.
Facciamo finta che davvero dei normali musulmani sudanesi penserebbero spontaneamente che questa maestra abbia offeso il Profeta“. Come se non fosse la religione dove l’intenzione conta più delle azioni in sé, l’islam.
Facciamo finta che tu sei il cattivo, io l’eroe, che c’è la Grande Causa, che là manca una barricata e dobbiamo correre a costruirla, e facciamo l’appello, chi vuole salirci?
C’è la fila per salire sulle barricate inutili, finte.
C’è la fila per starnazzare.

Un mare di cazzate che si autoalimentano, a beneficio dei più scafati tra i loro interpreti di entrambi i lati della barricata.
Il pretesto, la didascalia eretti a pensiero.
Altro che islam o contro-islam.
E’ il ping-pong dei pagliacci, questo, ed ha un altissimo potere inquinante sul pensiero collettivo.
Contagiosissimo, il rimbambimento.

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In tutto questo, poi, di incidenti interculturali veri, tra insegnanti occidentali e mondo islamico, ce ne è quanti se ne vuole.

Io ricordo il caso di un’altra prof inglese che passò un guaio blu senza farlo apposta e venne licenziata dalla sua scuola in Egitto, dopo essere finita su tutti i giornali e avere scandalizzato la nazione tutta.
Perché non so quale funzione linguistica voleva fare ripassare ai suoi allievi e le venne in mente di ideare un giochino, o un dialogo, in cui gli studenti dovevano impersonare dei ladri che progettavano una rapina in banca.
Apriti cielo.
E queste sì che sono cose su cui bisogna stare proprio attenti, da quelle parti, ché sull’essere ladri non c’è nulla da scherzare e nessuno ci trova niente di buffo, in una prof che si mette a insegnare ai suoi alunni a fare rapine in inglese.
Come se capitasse da noi un prof straniero a proporre di impersonare prostitute dialoganti alle sue alunne del liceo. Uguale.

A me parve un incidente interculturale di un certo interesse, quello, e degno di stimolare qualche riflessione non banale sui rispettivi mondi e schemi culturali e valoriali.
Però da noi non ne parlò nessuno, ovviamente.
Perché era una cosa vera e, come tutte le cose vere, richiedeva un approccio rispettoso e uno sforzetto di analisi (e di autoanalisi) un po’ maggiore di questa tragica scemata dell’orsetto.

E del resto, cosa vuoi: se non fosse per le tragiche scemate, alla gente toccherebbe l’incombenza di dovere seriamente pensare.

Aggiornamento:
vedi anche Lettera 22 che segnala questo articolo del Sudan Tribune.