C’era qualcosa di terrificante nei testi delle canzoni degli anni ’70 e io lo sapevo anche allora, che questa gente era perversissima. Io sono del ’62, non per dire. Ero piccola, ascoltavo, prendevo nota e mi preoccupavo parecchio. Che gente, gessù.

Avrei voluto che tremasse
solo al pensiero di esser madre
e come fanno gli altri
l’avrei sposata prima o poi.
Perché non debba credere al sospetto
di averla amata senza darle affetto.

No, dico. Raggelante. Peggio di un prete pedofilo, un fidanzato così. Mi era chiaro.
Ché poi, pedofili, i Cugini di Campagna lo parevano a ragion veduta:

Ricordi quella bambina con la veste corta?
..e con le ginocchia magre, la grazia di una donna?
Innamorata..

E quel verso misteriosissimo:

Un tempo, ti tenevo tra le braccia
un fiume mi scorreva tra le mani.

Va’ che ci riflettevo: chissà a cosa si riferiva, mi sa che ero io che pensavo male. Però avevo 12 anni, diamine. Erano loro, che mi inducevano a pensare male.
E tuttavia, una cosa mi era chiarissima: uno con quella voce e con quella faccia non lo poteva cantare seriamente, il verso:

[…] di quando del tuo corpo ero l’unico signore.

cuginicamp.jpg

Avevo 12 anni, e lo sapevo.
“Non diciamo cazzate, per favore”, pensavo.
Quell’uomo non poteva umanamente essere signore di nessuna.

Di fronte a Sandro Giacobbe, comunque, i Cugini di Compagna impallidivano.
Sandro Giacobbe era il Male.

Stasera sono in vena e ti racconto tutto
la tua migliore amica, chi l’avrebbe detto…

In quel giardino proibito
cadeva il vestito, si alzava la nostra incoscienza
non dirmi che adesso quel fatto d’amore
incrina la mia trasparenza

Perō non si è permessa mai
di fare il nome tuo
e pensa un po’…
Per questo quando mi ha abbracciato
non le ho detto no.

Non faceva in tempo a ingollare un Tavor, la fidanzata di Sandro Giacobbe, che le arrivava la seconda notizia:

Perché sei uscita, perché?
Mi hanno fatto innamorare
Gli occhi verdi di tua madre

Con tanto di programmi per il futuro per un avvincente ménage à trois e stritolamento finale dell’autostima della poveretta:

Hai l’aria di un cigno che muore
La vittima la sai fare
Di certo non è quel sospiro
Che può cancellare quel che sei
Tu rimani tu, e lei è lei
Non è colpa mia se mi piace
Ogni cosa che rassomiglia a te…

(Vedi anche quest’ottima recensione)

C’era, insomma, qualcosa di fortemente scivoloso in questa ossessione canzonettistica per l’innocenza da divorare, tipica delle canzoni anni ’70. Una bambina la percepiva.

E faceva il paio con il masochismo gorgheggiato da quelle che, per me, erano donne grandi: esattamente ciò che non bisognava diventare, a nessun costo.

Telefonarmi tu non puoi perché a quest’ora
tocca a lei starti vicino.

Così nessuno mai, nessuno mai, mi tiene la mano
nel buio affiora la paura e mi addormento coi complessi di un bambino.
Sogno e risogno la vita mia, gli errori fatti che rifarei
i nostri patti riguardo a lei, ma se non l’ami perché ci stai
lei è signora io donna libera.

“Lei è signora.” “Io donna libera.”
Uno poi si stupisce se è finita nei NAP, la mia generazione.

Ci si sdilinquiva, insomma, per degli autentici coglioni, e si consideravano nobilissime delle brutture imperdonabili da chiunque avesse un minimo di sale in zucca:

Mi dispiace devo andare
il mio posto è là,

il mio amore si potrebbe svegliare
chi la scalderà.

Era un mondo pericolosissimo, quello in cui ci toccava crescere, e bisognava proteggersi dalle infidie di questi viscidoni.
Che fare, dunque, tra tanta inaffidabilità?
Oltre a spaventarsi, dico:

Un’ ombra furtiva si stacca dal muro :
nel gioco di bimba si perde una donna
.
Un grido al mattino in mezzo alla strada ,
un uomo di pezza invoca il suo sarto
con voce smarrita per sempre ripete :
” io non volevo svegliarla così� “

Venni folgorata, a 13 anni, dal lato B di un 45 giri di Mia Martini:

Il primo bacio a tredici anni l’ho
dato a uno che aveva vent’anni

a lui soltanto ho detto ti amo e
allora ho pensato che forse non
siamo tutti uguali.
E se con lui è durato ben poco è
stato giusto non era che un gioco…

C’erano tizie che prendevano in mano la situazione, pareva.
La possibilità della leggerezza.
C’era.
E nelle canzoni ti biasimavano, certo, ma intrigati:

Liù si stendeva su di noi
e ci dava un po’ di se

senza chiederci perché.
Liù già sapeva tutto di sé
ma con gli occhi guardava te
e con la mano cercava me
con la mano cercava me

Me la feci a 13 anni, la mia educazione sentimentale, con gli unici testi che mi parevano ragionevoli:

Perché di sogni mai niente
perché di sogni non volevi parlare

e mentre ancora ti lasciavi sfiorare
mi domandavi se credevo all’amore.

alunnisole.jpg

Poi arrivarono il ’76, i miei 14 anni, la quarta ginnasio e cambiò il mondo.
Quell’estate andai in Inghilterra e ci rimasi per un anno e più.
Cambiava la musica.

Quando tornai, ero una bambina diversa.
Mi innamorai persino, per la prima di un numero striminzitissimo di volte, ché qui l’imprinting del valore di un cuore duro non ci è mai del tutto passato.

Con canzoni e canzonette, avevo solo appena iniziato.
E non accenno a smetterla, che è la cosa più grave.