Neruda, che era una persona seria e – come tutte le persone serie – provava verso il cibo rispetto e amore assoluti, nelle sue Odi Elementari ci ha messo, tra una poesia al pomodoro e una ai carciofi, tra un’ode al vino e una alla cipolla, una ricetta con tutti i crismi, nota come Ode alla zuppa di gronco (qui in spagnolo), che è un attentato alla dieta di chiunque, e bisogna subito ripensare a quella al pomodoro, dopo averla letta, ché sennò prendi un chilo solo a immaginarlo, il soffritto nerudiano.

[…] Adesso
prendi
dell’aglio,
e per prima cosa accarezza
questo avorio pregiato,
odora
la sua fragranza iraconda,
allora
lascia che l’aglio tritato
cada con la cipolla
e il pomodoro
fin quando la cipolla
avrà un colore dorato.
Nel frattempo
cuoceranno con il vapore
i regali gamberi marini
e quando saranno arrivati
al punto giusto,
quando si sarà rappreso il sapore
in un intingolo
formato dal succo
dell’oceano
e dall’acqua chiara
che sprizzò la luce della cipolla,
allora
che entri il grongo,
e si sommerga nella gloria,
che nella pentola
si inolii,
si contragga e si impregni. […]
caldillo

L’Haramlik, nel suo piccolo, sta a sua volta trasformando il diario alimentare che le è stato imposto nell’ambito del suo programma di rieducazione alimentare (così impara a non essere seria come Neruda e a trascurarsi) in una specie di Cantico al Primo Piatto, ché le meravigliose indicazioni culinarie che le sono state date prevedono pasta ogni giorno, con verdure e secondo piatto. E qui, in mancanza del permesso di accompagnare il secondo piatto col pane, abbiamo astutamente trasformato la prescrizione in piatto unico, col risultato che qua si mangia come procioni, tutti i giorni, sbizzarrendoci non poco nell’escogitare cose buone che non ingrassino.

E quindi rileggevo le mie prime due settimane di diario e mi leccavo i baffi solo a guardarlo e mi lodavo da sola, tra un Linguine al sugo di pescatrice e un Pennette zucchine e gamberi, tra un Orecchiette in crema di broccoli con 60 g. di zola e le Penne con carciofi e prosciutto crudo e, ancora, gli Spaghetti con cime di rapa e vongole e così via. Tutto rigorosamente in linea con le indicazioni ricevute, e tutto senza altro grasso che un cucchiaio di olio a crudo. E tutto seriamente buono ché, come per miracolo, sono riemersa dalla fase in cui mi pareva di non sapere più spignattare e mi ritrovo in stato di grazia culinaria, come se avessi l’istinto del Fallo Venire Buono che mi trabocca dalla punta delle dita. Tu guarda la vita, che strana.

Fondamentale la pentola a pressione comprata per l’occasione, in questa impresa, ma soprattutto la couscoussière qua immortalata, inarrivabile per la cottura al vapore e, francamente, non so come diavolo ho fatto a non usarla per ANNI, mentre mi inciccivo come una demente. Non riesco a pensare a nulla di più comodo, oltre che appropriato, dello sbattere le cose là dentro (qualunque cosa, va tutto benissimo) e vederle miracolosamente cotte nel tempo che ci metto a fare un giretto su internet. La pacchia dei pigri. Come ho fatto ad arrivarci solo adesso?

Non posso fare a meno di notare, poi, che questa alimentazione non mi è nuova: è quella che mi ha propinato la mia mamma da quando sono nata fino a quando non sono andata via di casa, dosi comprese. Perché la mia mamma, che lavorava e quindi delegava a me la preparazione del pranzo di noi bambini, si faceva fare dal macellaio dosi di 100 g. esatti di carne per ciascuno, e quelli dovevamo mangiare, oltre a 100 g. di pasta a testa e alle sempiterne verdura e frutta. E le uova una volta alla settimana, il pesce quattro volte e così via. Scientifica, la mamma, ma dando per scontato che così è come ci si alimenta. Esattamente come mi ha detto di fare il mio battaglione di dietisti. Uguale, alla lettera. Mi sarebbe bastato non smettere mai di ascoltare lei, tutto sommato.

Oggi pensavo alla merenda con cui sono cresciuta: mezzo limone (di quelli bellissimi di Sorrento) in un piatto con un mucchietto di zucchero accanto in cui pucciarlo. Sempre. Era la mia merenda standard, e mi piaceva pure parecchio. In alternativa, un pomodorone tagliato in quattro con sopra sale, e basta. Anche in Egitto tendevano a metterci solo il sale, sui pomodori, senza olio né nulla. Me lo ero dimenticato, quel sapore, e l’ho ritrovato là.

Mia madre lo ha sempre rispettato, il cibo, e lo ha sempre visto come l’insieme di vitamine, proteine etc. di cui si ha bisogno per stare bene. Ed io me le sono portate dietro per anni, le sue abitudini, facendo anche fatica per mantenerle. La mia caccia ai limoni in Inghilterra, los tomatitos che compravo ogni mattina a Santa Cruz: io mica ero una suicida alimentare, prima. Ma nemmeno per sogno, proprio.

Non so cosa mi abbia preso, a un certo punto. So che, adesso che ne prendo coscienza, sono sbalordita da me stessa. Perché uno, tutto sommato, i suoi gusti se li forgia nell’infanzia. E a me piace, mangiare come sto mangiando adesso. Mi piace molto di più del fare schifezze e ingurgitare roba che fa male. Chissà di cosa mi volevo punire, santo cielo.

La rinuncia al vinello e alla birra, invece, quella no. Quella è un sacrificio, ché mi piacciono assai e mi piaceranno sempre. I superalcoolici, non li bevo da almeno venti anni, ma il mio vinello è proprio un lutto, ecco. E aspetta che arrivi l’estate con le birre altrui ovunque, mi innervosisco solo a pensarci.

Bisognerà trovare un compromesso, su quello. Intanto sono ligia, ché tanto ho un sacco di peccati da scontare e ogni tanto va benone farlo. Poi, verso l’estate, cercherò di trovare un equilibrio. Un percorso di moderazione, qualcosa di simile. Moderazione nel senso che una si dà alla smodatezza con moderazione, non nel senso che si trasforma in formichina.

Io vorrei, una volta ogni tanto, uscire e bermene cinque, di birre. Una volta ogni tanto. Tra diversi mesi. Quando sarò in forma smagliante, ecco.

Una deve essere pure felice, oltre che magra.