Qualcosa di buono è comunque venuto fuori, credo, dalla discussione sull’islam e sul modo di viverlo da convertiti che c’è stata nei giorni scorsi.
La premessa di Abdannur, intanto:
Correttamente inteso, il termine convertito sarebbe percio’ un riconoscimento di cui nessuno oserebbe fregiarsi da se’. Al contrario, oggi e’ piuttosto invalso come un sostantivo statistico e burocratico, quando non proprio come un aggettivo polemico. Io personalmente tendo perlopiu’ a definirmi “un persuaso“, secondo la definizione che ne diede Aldo Capitini, un filosofo cristiano del secolo scorso.
Aspetto di leggere presto il seguito delle sue riflessioni.
E Khadi che traccia un bilancio in cui, a modo mio e nel mio piccolissimo, mi riconosco:
Le considerazioni conclusive dell’esperimento si riassumono più o meno così:
– La pratica che si chiude alla vita e alla molteplicità dell’esperienza sensibile, proprio come il misticismo, porta all’alienzazione, a volte anche al delirio, e allontana dall’islam.
– Affrontare e sciogliere i nodi fondamentali della propria vita, assumersi le proprie responsabilità e accettare il ruolo che ci è stato dato nel contesto in cui ci troviamo è propedeutico alla pratica.
– Rifiutarsi di assolvere ai propri doveri sociali, familiari e spirituali e fuggire via in un luogo in cui è più facile applicare le regole annulla gli eventuali benefici derivanti dalla possibilità di esercitare una pratica migliore.
La via islamica, dal mio punto di vista, non può essere semplicemente cercare e trovare un’ampolla in cui praticare a occhi chiusi senza più scocciature, ma affrontare la vita quotidiana, ponendo attenzione prima di tutto alla risoluzione delle sfide che, non a caso, ci sbarrano la strada. La pratica va inserita all’interno dell’esistenza che ci è stata assegnata nella misura in cui ci aiuta qui e ora a migliorare il nostro rapporto col mondo, è da scansare nel caso in cui concorre a peggiorarlo e a peggiorarci.
L’islam e l’intelligenza, l’islam e l’onestà intellettuale, l’islam senza secondi fini di potere e vantaggi personali e – quindi – senza doppi discorsi, l’islam come ritorno verso noi stessi e non come tappo per altre inquietudini: esiste, dopotutto, e se ne può parlare. Ed io avrei voglia di ascoltare, tutto qua. Sono anni che desidero sentire trasportare in parole, nella mia lingua, la cosa che riconosco e che mi fa stare bene quando sono qua, a Umm el Dunia. Mi serve davvero, ché certe fratture sono troppo innaturali per potere vivere tranquilli portandosele dentro.
sono troppo felice. come sempre del resto, quando leggo il tuo blog e mi imbatto nelle idee che mi frullano come parti di un puzzle disordinato dentro una scatola , messe tutte in fila a puntino così come tentavo di esprimere ed estrarre io….Soprattutto il senso del “persuaso” Persuadere è una bellissima parola che racchiude un universo di sfumature, mi piace..Oddio, ogni religione ha la sua per definire “gli altri”, leggo da un blog di un’amica che i T.d.G definiscono “gli altri” col termine INCREDULO.
Io non so se sono musulmana, non musulmana, quasi musulmana e comunque non me ne frega niente di darmi una definizione. Se proprio è necessario,la daranno gli altri, di me, quando non ci sarò più.
E tanto mi basta
riflettendo ancora sul post, io non so se VOGLIO essere inserita in una qualche religione organizzata..se io sono quella che sono lo devo anche ad una buona conoscenza dell’Islam, però sono nata e cresciuta in una famiglia cattolicissima e anche quello ha lasciato un’impronta pesante, e sto benissimo tanto qui quando in un paese islamico…a volte mi sento come la coperta della barzelletta, ma non tirata da tutte le parti, bensi come un’enorme ampio plaid che unifica tutte le cose…