Il qui presente nonché cagionevole Haramlik trasferisce la sua postazione odierna nella sede illustrata sotto:
Che poi io ci stavo pure andando, a scuola. Ero già a tre quarti di strada. E poi mi sono detta: “Ma scusa: adesso che me lo pago pure, il fatto di stare in malattia, perché devo andare a lavorare se non sto bene?” Ed è che le abitudini sono dure a morire. Comunque sono scesa dall’autobus grata a Brunetta per avermi liberato dai sensi di colpa, ho attraversato la strada e ho preso il bus del ritorno. Sulla strada verso casa ho pure comprato un polipo appena pescato, ma erano le 8 meno dieci e potevo. Noi umane dobbiamo anche alimentarci, in qualche modo.
Il polipo, me lo faccio alla Malatina a Dieta: si prende una pentola stretta, ci si ficca dentro un polipo e una latta di pelati, si mette il coperchio e lo si lascia lì sul fuoco. Poi si torna a letto allo scopo di scaldarsi i piedi. Dal letto, si riflette sul dove possono essere finite le pantofole dell’inverno scorso. Infine, senza fretta e ammesso che prima o poi si abbia fame, si procederà a tagliuzzare il polipo cotto nel pomodoro e a condirci una pasta che, possibilmente, non imponga di essere arrotolata attorno a una forchetta. Questo blog rifugge gli sforzi, oggi.
Questo blog rifugge un sacco di cose, ultimamente. Sarà l’autunno, ma alla voglia di fuggirmene in Africa (che si era resa lievemente meno pressante, nei mesi scorsi, e che adesso è tornata come una febbre a 40°) si sta aggiungendo pure l’inedita voglia di cambiare mestiere.
Perché, in effetti, io non servo a molto.
Si imparano le lingue, a scuola? Mah. Perché imparare una lingua richiede un investimento personale che va parecchio al di là del desiderio di prendere un bel voto, ammesso che uno lo senta. Ti devi mettere in gioco, essere emotivamente coinvolto, pensarci anche quando non sei in classe, fare un mucchio di cose che, per dire, i miei studenti egiziani facevano perché lo volevano fare ma che non ha senso aspettarsi da un normale studente di scuola, qua. Preferisco non chiedermi, francamente, quanti delle centinaia di ragazzi che mi sono passati davanti agli occhi in questi anni abbiano imparato alcunché. Forse ricorderanno un po’ di grammatica, quelli che studiavano. Lo schemino degli accenti. La letteratura, magari, quando avevo ancora il Lazaro e Tusón che poi è finito fuori commercio e, da allora, non trovi un libro decente da adottare manco se piangi. Ma qualche alunno che parli spagnolo ce l’ho, io? Boh. Io ho dato delle istruzioni sul come impararlo a chi ha deciso, in seguito, di farlo. Non credo di avere fatto molto altro. Ma non so nemmeno che altro avrei potuto fare, sai? Dopo tutti questi anni di lavoro-formazione-lavoro-formazione-etc. il risultato è che proprio non lo so. A scuola, dico. Poi, certo: se insegni al British, al Cervantes, nei posti dove la gente paga per imparare, le cose cambiano. A scuola è un po’ più complicato. Anche perché, dopo tutti questi anni, io ancora non ho capito che lavoro ci si aspetta che io faccia, esattamente.
Probabilmente, a leggermi sul blog devo sembrare una brava prof. Qualunque cosa ciò voglia dire. In realtà, io dubito persino dell’esistenza delle brave prof, nel senso che credo che nessuno sia un bravo prof per tutti i suoi studenti. Tu puoi avere un metodo di insegnamento che combacia col modo di imparare che hanno i tuoi alunni, ecco. Quello sì. E puoi lavorarci sopra, in modo da ampliare più che puoi il numero di studenti che riesci a raggiungere. E poi basta. Molti, non li raggiungerai mai. Altri li farai persino fuggire. E, probabilmente, avresti ottenuto gli stessi risultati anche se non ci avessi investito manco dieci minuti, nell’imparare come si insegna. E’ un mestiere a bassissimo margine di miglioramento, questo. Quello sei, quello fai. A scuola, dico. Perché al British, al Cervantes e pure all’università è un altro pianeta, e lì conta ciò che sai e quanto padroneggi le tecniche per insegnarlo. A scuola, ciò che sai conta poco. Basta sapere ciò che gli devi chiedere, in realtà. A scuola conta il tuo spessore umano, temo. A scuola, non lo so cosa vogliono. Vogliono sapere se gli vuoi bene, sostanzialmente. C’è questa umanità che gronda ovunque, a scuola, e invece insegnare lingue è un fatto tecnico: tutta quell’umanità interferisce e fa pensare in italiano.
Non sono una prof accogliente. Posso stargli notevolmente sui maroni, ai ragazzi, specie a quelli che si aspettano da te istinti materni. Poi ce l’ho, la mia collezione di studenti che mi hanno voluto del bene. Tutti ce l’abbiamo. Ma non è mai stato il mio obiettivo, ecco. Solo che, un tempo, io davvero credevo di potere insegnare qualcosa. Persino a scuola. Adesso che non ne sono più tanto sicura e che, anzi, comincio ad essere sicura del contrario, cosa diavolo ci rimango a fare, nella scuola, se non sto manco lì per farmi volere bene? Che obiettivo ho, davvero?
L’anno scorso litigai a oltranza con un’alunna. Più di quanto lei si aspettasse, ché me la presi proprio e piantai le saracinesche, a un certo punto, e non le rialzai più. Alla fine dell’anno, a scrutini fatti ma non ancora pubblicati, me la vidi arrivare. Mi piazzò due baci in faccia e una lettera in mano e fuggì. Diceva due cose importanti, in quella lettera, una su se stessa e una su di me. Su se stessa diceva che ci era rimasta male per avermi fatto arrabbiare tanto e che aveva fatto una gran fatica a capire come avesse fatto. “Capisco che il mio atteggiamento possa essere irritante, ma devo dire che mi è sempre servito a ottenere ciò che volevo ottenere, e questo me lo deve avere rinforzato.” Non male, come autoanalisi, per una ragazza così giovane. Brava, davvero. E su di me: “Capisco che lei voglia insegnare in Africa: una che ha tanta voglia di insegnare come lei, ha bisogno di alunni che vogliano davvero imparare.” Già. Brava di nuovo, ché ha beccato il nodo.
Motivarli, i ragazzi. Eccolo, il punto. No, non riesco a non ribellarmi a ‘sta cosa. Sono grandi, cribbio. Si sentono piccoli a vita e invece sono grandi, e lo senti che c’è qualcosa di sbagliato, in questa storia per cui andrebbero motivati a vita. Qualcosa che non va in generale, e poi comunque la mia stanchezza. In particolare. Li vorrei già motivati, e vorrei insegnargli ciò che so. Inseguirli, blandirli, istrioneggiare, fingere, mentire, sedurli, entrargli nelle teste per capire come farli stare in ascolto, un anno dopo l’altro, abbassando ogni anno di più le aspettative, il livello del traguardo. Ma perché? Insegnassi italiano, capirei. Una punta alla cultura generale e, in un modo o nell’altro, qualcosa riesce a fare arrivare. Ma io insegno spagnolo, non insegno Maturità, Sguardi sul mondo, Sensibilità, Attitudine al dubbio. Spagnolo, insegno io.
E non ci sto riuscendo granché, ecco.
Io non so fare altro che insegnare. Tra l’altro, mi continua a sembrare un ottimo motivo per alzarsi la mattina. Il migliore, e non vorrei dovermi alzare per fare altro. Eppure sono stanca e vorrei inventarmi un’altra vita, scappare da ‘ste catene e diventare pasticciera. Fare torte, vorrei, e venderle su una spiaggia. Tra i cocchi. E non pensare più. Soprattutto, non pensare più al posto di nessuno.
Io non ci avevo mai pensato, a lasciare il mio lavoro. Ho sempre pensato che, vabbe’, ci sono problemi ma poi andrà meglio. Mi sa che il problema di Brunetta-Gelmini è che hanno messo una pietra tombale su questa vaga illusione che, in un modo o nell’altro, ti spingeva a mantenerti progettuale. Adesso succede che, con tutta la buona volontà, mantenere la vaga illusione è diventato ridicolo e basta.
Andrà solo peggio, e me lo vorrei tanto risparmiare.
ho stampato ‘sto post e lo porto alla figlia numero due che fa il quarto liceo linguistico ….in effetti quando uno dei più piccoli dice “clicca su firefox” pronunciandolo come è scritto e io m’inxxx perchè è dalla materna che “fanno” inglese, la serafica risposta è ; BEH, ADESSO SIAMO A CASA MICA A SCUOLA!!E il pensiero torna ai bimbi in Giordania che a forza di vedere film e cartoons non doppiati straparlavano (magari a pappagallo) ma la pronuncia era impeccabile…e per loro l’inglese era “normale”, e non solo materia scolastica
Cara prof. forse la magnifica coppia Brunetta – Gelmini avrà dato il colpo di grazia, ma non sei la sola a sentirti così!
Siamo in tante a sentirci spesso inutili e mal sopportate dal resto del mondo,sempre a lamentarci “nonostante le poche ore di scuola e tre mesi di vacanza”,che se non ci fossero dovrebbero riaprire i centri di igiene mentale. Sai che dice il mio dottore? Che gli insegnanti sono la categoria più a rischio di depressione e alcolismo…chissà perchè?
Ora poi che non si potrà più neanche uscire di casa e saremo agli arresti domiciliari come passeremo il nostro inutile tempo?…Facile: se siamo in malattia per un po’ di depressione (causa senso d’inutilità) e non possiamo distrarci facendo quattro passi, che ci resta da fare? Beviamoci su, così dimenticheremo i dispiaceri e daremo il nostro contributo alle statistiche mediche!
Dai, non ti sentire così inutile…se può farti sentire meglio sappi che aspetto ogni giorno di leggere i tuoi scritti per tirarmi un po’ su,perchè sorridere fa sempre bene e tu sai trovare il lato più ironico anche nelle cose più negative.
Forza e coraggio!!
Buon riposo…Graziella
hai il sacco-piumone e le federe uguali alle mie.
per il resto: anche chi non insegna è preda ad un forte senso di sconforto per l’opera del duo Gelmini-Brunetta. :-(
guarisci presto!
Quando fai così, sei irresistibile! :-)
P.S. Bellissima postazione!
Anch’io ho lo stesso copripiumino e federe!!!
Pure io ce le ho quelle lenzuola a sacco, diamine (=diabole+domine, ma per me è diabolAE+dominAE)!
Be’, è un elegantissimo modello Ikea 2007 che, ricordo benissimo, era alle casse con lo sconto…. :D
Sei come una pittrice,per vedere valorizzati i tuoi quadri devi diventare vecchia…morire no..dopo quello.
eh Lia, i tuoi sentimenti sono accettabili ma il problema non è tanto personale quanto da dove e come scaturisca.
ché non è solo tuo ma anche – e soprattutto – di chi non se lo pone.
mentre la scuola italiana, nella sua concezione simbolica, non è più nemmeno una fucina di utopia bensì una stufa dove bruciare la conoscenza. e talmente lontana dalla realtà da definirla ormai virtuale, proprio come un blog. ;)
anzi, peggio. ché se fosse un blog avrebbe almeno una parvenza di utilità mentre, così com’è, non serve davvero a nessuno.
perché, tralasciando il concetto del “pezzo di carta” – che pezzo di carta rimane – se una persona qualsiasi sapesse solo leggere e scrivere e qualche rudimento di matematica mentre tutto il resto della mente fosse sgombro da pregiudizi e condizionamenti, una qualsiasi industria lo renderebbe “laureato” in meno di sei mesi, formandolo a suo scopo, uso e consumo.
e non di basso livello, tranne che economico.
quindi il problema è che la scuola servirebbe a preparare al domani. ma, oggi come oggi, il domani non c’è.
e questo, purtroppo, i ragazzi lo sentono nelle ossa.
e non hanno quindi nessuna motivazione che appaia loro plausibile per rincorrrere l’utopia.
e questo lo vediamo ogni giorno, a partire dall’industria. che continua a chiedere manodopera a basso costo per poi buttarla in strada, tranne quei pochissimi con l’impronta del genio che si alleva e forma. e a cui in pochissimo tempo fa assumere quei “valori” di cultura, naturalmente industriale, di alto livello.
l’università poi, certo appare un’altra cosa. appare.
ma anche qui, a chi si rivolge? perché l’unica “certezza” rimane il pubblico, vincolato al pezzo di carta.
certo appare anche che la riforma universitaria degli ultimi anni abbia dato il colpo di grazia proprio alla media superiore, svuotandola di ogni significato mentre l’industria è andata a nozze.
perché pagando un impiegato al livello minimo forma quadri sempre pagati a livello minimo ma con i controcoglioni. bello, eh?
ma che utopia può dare la scuola a questo punto?
tanto per farti un esempio, di una situazione che ho sott’occhio: una donna sulla trentina, neoassunta in una ditta, circa 800, 850 forse, euro netti al mese. e abbinata a un quadro ma non come segretaria del quadro per il caffè e i pasticcini o filtro delle telefonate, no: per imparare a pensare, a decidere e a fare il quadro, a breve.
ma sempre pagata come un operaio, forse meno.
è proprio qui che i nostri governi – per non parlare dei sindacati – sono stati latitanti negli ultimi decenni. e continuano ad esserlo.
Eh, no, cara prof, adesso ti curi, ti rimetti in quadro e parti alla carica, tornando a fare la spaccamaroni ai tuoi allievi, che, metaforicamente, sono miei figli!
Guarda che quei ‘cosi’ umani e terrificanti che ci girano per casa e tra i piedi dovunque hanno bisogno esattamente di persone come te, che se la sudano la loro vita lavorativa (e non solo…..) e che tirano drittosenza fare sconti! Ma lo sai quanti danni fanno i sensi materni a sproposito (persino quelli delle madri vere…) e certi insegnanti “con la vocazione”? Per carità! Viva la prof col polpo in pentola e, se mi concedi il francesismo, con le palle in giostra!
Alla prossima, se non disturbo.
P.S.: Devo andare più frequentemente all’Ikea, ho capito! ;-)
Pure io farò leggere il tuo post a un figlio che fa il liceo linguistico. Ora però ti racconto una cosa mia. Ho fatto lo scientifico e ne sono uscito discretamente. Inglese era una materia che mi riusciva decentemente ma non mi appassionava. E’ stato in seguito che ho cominciato a divertirmi a parlare inglese ogni volta che ne avevo l’opportunità, e poi anche il francese che parlo da bestia ma esprimendo quasi tutto quello che voglio senza averlo mai studiato su un libro. Di questo, a posteriori, ringrazio la mia prof del liceo. Forse non si era accorta di aver fatto un buon lavoro, e io nemmeno. Ma lo aveva fatto.
Hirondo in una cosa ti do pienamente ragione:il lavoro rende laureato.
Vorrei aggiungere un’altra cosa che ho provato sulla mia pelle..credimi è verissima.
I ragazzi hanno di solito un indirizzo comune dettato dalla prospettiva di studiare poco e specializzarsi in ciò che sanno fare meglio cioè tutto ciò che riguarda la tecnologia. Sono assuefatti alla tecnologia dalla nascita ma non si rendono conto che la essa cambia troppo velocemente per rimanerci al passo.
Ci sono lavori,mestieri artigianali dove la tecnologia è seconda all’esperienza e dove più sei “vecchio” più sei ricercato e quando decidi di andare in pensione è la volta buona che fioccano le offerte di lavoro. Ma i lavori manuali sono da poveretti,da ignoranti,da gente che a scuola non ce l’ha fatta. In più un lavoro manuale richiede molto più tempo che imparare una nozione o un teorema e devi lavorare 8 ore al giorno….pagato pochissimo.
La mia esperienza e,per fortuna anche quella di mio figlio,mi danno assolutamente ragione.
Certo il top sarebbe prendere la laurea e fare il falegname.
Non comprendo il tuo senso di colpa. Se i ricettori rimangono chiusi all’apprendimento dello spagnolo, perchè interessati ad altro, non è colpa tua.
Io cercherei ragazzi interessati ad imparare lo spagnolo, oppure cercherei di dare delle motivazioni ai ragazzi per stimolare il loro interesse verso l’apprendimento di questa materia.
Il concetto di classe è errato, perchè unisce alunni interessati con quelli non interessati all’esercizio di una materia scolastica.
Detto questo, parlando di cose serie… IL SUGO DI POLPO com’è venuto?
Questa mattina sono andata in centro per fare degli acquisti che attendevano da mesi e sono incappata nei gruppi di studenti che facevano il funerale alla scuola pubblica… Erano smarriti quanto me ed io ho pianto come una fontana al pensiero di una scuola immiserita che darà sempre meno a chi ha già poco.
30 anni fa ho mandato i miei figli alla scuola privata perchè non mi piaceva l’aria che tirava alla pubblica; non sono pentita e trovo che nella mia situazione non avevo altra alternativa migliore. Ho fatto tanti sacrifici per permettere ai miei figli una buona istruzione in una scuola che potesse essermi di aiuto nel crescerli sani e felici. In quella scuola c’erano bimbi di famiglie molto ricche, ma anche il figlio del lavorante alla vicina pompa di benzina che non poteva pagare tutto … ma altri pagavano un po di più per chi non ne aveva la possibilità. Il mio sogno è sempre stato quello di avere una scuola pubblica efficiente e umana, perchè sono profondamente convinta che tutti hanno diritto a partire dalle stesse basi.
L’augurio che posso fare è che l’ondata di protesta non venga inquinata dai metodi sperimentati da Cossiga e da lui congliati al nuovo governo.
Lia, rimettiti in fretta, e più cazzuta che mai, torna ai tuoi ragazzi che hanno bisogno di prof come te.
” Certo il top sarebbe prendere la laurea e fare il falegname.
By old on Oct 29, 2008 ”
sì, sarebbe il top se ci fosse il “mercato” ma, mancando questo, non è la laurea ad esser di troppo ma proprio il fatto che sia un falegname tout court. perchè oggi “va” la specializzazione chiusa. che so, il falegname specializzato nella “sedia “Luigi XIV”, che per fare o sistemare un intarsio usi lo stesso trapano del dentista, magari al titanio.. ;)
Vedo che ci sei arrivata, ed è il motivo per cui ho rifiutato il ruolo. Sapevo che sarebbe finita così, anzi era già finita così alle prime avvisaglie.
Ora faccio libri di italano per stranieri e lo insegno. A gente che dopo otto ore di lavoro accetta di restare fino alle 22 per impararlo.
Non infierire, Marco.
Ero senza un soldo. Dovevo accettare per forza.
Non credere che ne sia contenta: aspetto solo di potermela filare, credo sia chiaro.
Hirondo spero che Lia non ci cancelli visto che stiamo portando avanti uno scambio di idee perfettamente fuori dal tema.
Il mercato c’è.
No,non esistono artigiani specializzati. Ognuno sa fare di tutto,magari meno bene di altri ma lo sa fare. Sa dove mettere le mani.
Chi poi è arrivato a sistemare una sedia Luigi XIV sa fare tutto ciò che è più semplice ma può arrivare a far molto di più considerato il punto a cui è giunto.
Il fatto di usare strumenti tecnologici è un’agevolazione uno snellire i tempi ma un vero artigiano un intarsio lo deve saper fare anche con una limetta da unghie…adagio adagio. E’ solo una questione di tempo.
S.Lia perdonaci. Se non risponderò più ad Hirondo non sarà per un dispetto a lui ma per timore delle tue ire.
Scusa, Fulvia, non volevo certo infierire. Ero però convinto che non l’avevi fatto per soldi, ma per sincera volontà di provarci, ad insegnare (come credo sia, da quanto scrivi), perché tu sei molto più prof. di me e hai fatto bene a provarci.
Il fatto è che la scuola è l’ultimo posto dove un prof ora si sente a suo agio, purtroppo.
E stai sicura che vorrei tanto avere torto, in questo argomento.
Ma davvero ogni giorno penso a dove sono e dove potrei essere e non mi pento nemmeno un po’ di aver rinunciato, sebbene per alcuni sono stato un pazzo.
E almeno in questo, nella pazzia, intendo, siamo un po’ simili, io e te.
” Hirondo spero che Lia non ci cancelli visto che stiamo portando avanti uno scambio di idee perfettamente fuori dal tema.
[……………..]
S.Lia perdonaci. Se non risponderò più ad Hirondo non sarà per un dispetto a lui ma per timore delle tue ire.
By old on Oct 30, 2008 ”
^__^ a parte che sono una “lei”, penso che Lia – a differenza di tanti – non si aspetti che uno scambio d’idee nel virtuale sia un tema in classe rigidamente in tema né un workshop dedicato e con l’iscrizione a parlare.
ché, di questo, ne abbiamo tutti abbastanza già ogni giorno. ;)
come come penso che anche la sua attuale – e più che comprensibile – demotivazione abbia parecchie cause interconnesse a cui non siamo noi a poter dare una risposta ma solo, infine e forse, lei stessa. esplorandole ed esplorandosele.
ed è solo in questo che possiamo accompagnarla per un tratto, ciascuno alla sua maniera: la mia è aliena dal tipo amical/materno o dalla pacca sulla spalla.
la demotivazione invece non è solo sua ma generalizzata, per ciascuno nel suo campo.
poi, per rispondere velocemente alla tua osservazione
– e nonostante il tuo tentativo di demotivarmi :P –
è vero, il mercato globale ci sarebbe nonché sarebbe – a parer mio – uno dei possibili modi per risollevare le sorti di questo stato.
ma è proprio in questo che tutti i nostri governi hanno latitato e latitano.
d’altro canto l’artigiano sa appunto “far di tutto” manualmente ma troppo spesso non ha la possibilità di quella “cultura generale” e la conseguente apertura mentale che lo spinga a “guardar in là”.
e senza contare la mentalità corrente dove tanti “ma io ho studiato” si “demotiverebbero” a fare gli artigiani.
Ma l’artigiano non sa cosa farsene del mercato globale. Ne viene sfiorato solo quando gli viene offerto uno stipendio inimmaginabile per andare ad istruire manovalanza in Cina affinchè affossino il nostro mercato.
Ed alcuni ci sono andati,ovvio.
L’artigiano da la possibilità di spendere in Italia i soldi degli italiani perchè a lui serve la materia prima non il prodotto finito. Ha dalla sua la possibilità di realizzare opere uniche che sfidano tranquillamente,battendola,la poca fantasia orientale o del mercato globale in genere. Purtroppo la mancanza di denaro spinge all’acquisto di merce a basso costo e qui ricominciamo la spirale senza mai uscirne.
Sicuramente l’artigiano ha conoscenza e quindi cultura del proprio mestiere ma questo ammetto non è sempre sufficiente a “guardare più in là”.
Di certo c’è chi ha abbracciato tecniche veramente innovative pur di continuare a spostare i suoi limiti sempre più avanti.
Il discorso sull’artigiano è molto lungo e non si può sviscerare qui. Siamo come i panda solo che loro sono protetti. Noi ci estingueremo portando con noi tutto ciò che abbiamo imparato..la nostra “laurea”.
Scusa per la svista.
Lia dovrebbe cercare un posto da insegnante superpagata…magari in Cina.
Ce la vedo spagnola sanguigna contro madri riverenti e compassate.Avrebbe tutto in pugno e sotto controllo. Sparirebbe per un anno e tornerebbe murata di banconote e soprattutto felice e soddisfatta di sè.
Io e il guadagnare soldi siamo incompatibili, Old. Me ne sono fatta una ragione da mo’. :D
(Ehi, ma per me potete discutere quanto volete, che idee…)
Groucho: mica c’è bisogno di venire in Italia, per essere prof… anche se, lo ammetto, la scuola ha qualcosa che nessun altro contesto ha. E’ il problema di sempre: una specie di relazione sadomaso. :D
Buonasera, lia. Mi rendo conto che una che si impegna a tenere aggiornato il blog e a scrivere articoli interessanti si aspetterebbe anche di ricevere commenti sensati e pertinenti. Mi spiace, ti deluderò, ma devo assolutamente chiedertelo: cos’è l’aggeggio su cui è appoggiato il pc? No, perchè potrebbe risolvere tutti i miei problemi logistici nell’usare il portatile a letto… dopo un po’, a tenercelo sopra, a momenti perdo la sensibilità alle gambe.
Be’, la domanda è pertinente, invece. :) Trattasi di un reggi-portatile che vendono all’Ikea. Costa, boh, sui 12 euro, se non ricordo male.
Comodissimo.
ciao! come ti capisco….io insegno italiano in una scuola araba…e faccio una fatica! nessuno dei ragazzi sauditi sembra voglia imparare nulla di italiano…per loro siamo un paese perdente, quindi privo di ogni attrattiva. Pensa un pò te!!!!