contratto

C’è un tratto della napoletanità che non è mai riuscito a passarmi, nonostante tutti questi anni di esilio, ed è quello che Totentanz spiega qui, raccontando dei suoi malintesi con i tedeschi:

In italiano – intendo nell’italiano di Napoli – molto spesso il è solo l’apertura di una possibilità, non sempre la presa di un impegno. Il sì dato in risposta a un invito ad andare al cinema insieme la settimana successiva (i tedeschi programmano con un certo anticipo), a Napoli decade automaticamente in assenza di successive conferme, mentre qui in Germania è immediatamente un contratto da cui recedere formalmente in caso di impedimenti o ripensamenti.
In effetti mi è capitato di dover andare al cinema all’improvviso perché avevo dimenticato di aver detto sì sette giorni prima.
Ora ho imparato che molte risposte che a Napoli suonerebbero scortesi, qui sono apprezzatissime al posto di un sì incerto: “forse”, “vediamo”, “poi ne parliamo”, “dipende dal film”.

Purtroppo non c’è bisogno di andare in Germania, per essere perseguitati da questo malinteso culturale: Milano, Genova e zone limitrofe vanno a loro volta benissimo, ed io è una vita che passo per stordita – o per ritardaria egoista e zulù – perché non sono capace di negoziare gli appuntamenti.

Mi rendo conto che, inconsciamente, arrivo alla perversione di accettare un appuntamento, chessò, alle 5, sapendo perfettamente di non potere presentarmi prima delle 5 e mezza e assumendomi la bega di arrivare in ritardo, con relativa figuraccia e cazziatone, pur di non dire al mio interlocutore che alle 5 non posso. Perché, è vero: certe risposte a Napoli suonano scortesi, e il mio cervello ormai si è programmato così e io non so dire di no, agli appuntamenti. Dico sempre di sì ripromettendomi di pensarci in seguito. E facendoli serenamente decadere, anche, se uno non me li riconferma più volte.

Tutto questo per dire che SSG aveva blaterato qualcosa a proposito di un giro in moto domenicale, qualche giorno fa, e stamattina all’alba sono stata svegliata da un perentorio sms in cui si parlava di mangiare al sacco sui monti liguri e mi si ingiungeva di presentarmi alle 9 in piazza Sarzano. Tra i fumi del sonno ho risposto che era meglio partire alle 10, mentre dentro di me cercavo di inserire ‘sta scalata alpina nella giornata che avevo immaginato pigra e paciosa, magari a letto con un bel giallo.

Poi ho ricordato che volevo salutare Capsicum, che oggi parte e ci eravamo ripromesse di prendere un caffè insieme. E allora ho chiamato SSG e gli ho detto: “Facciamo che ci vediamo alle 10, 10 e mezza” pensando dentro di me che non mi avrebbe visto prima delle 11. E lui mi ha chiesto: “Dieci o dieci e mezza?”

Ed io ho sentito un profondo moto di ribellione, gli ho detto che come diavolo facevo a saperlo se mi ero appena svegliata e poi ho pensato che è un prepotente, quest’uomo, e che io quasi quasi non vado da nessuna parte e che ci vada lui, sui monti liguri, che io me ne sto a letto col giallo. Appunto.

Uno non può svegliarsi alla domenica dovendo fronteggiare impegni dalla precisione lavorativa. Io le ore esatte ce le ho già quando devo andare a scuola. Di domenica, già mi pare eroico essere fuori casa attorno alle 10 per poi andare nientedimeno che in montagna. Se devo anche prendere impegni vergati col sangue sul momento esatto in cui sarò pronta io do forfait, ecco. Non ce la posso fare, mi rovinerei la giornata e non si può pretendere tutto questo da me.

Le dieci, dieci e mezzo sono un bellissimo appuntamento. Vuol dire che ci beviamo un caffè, facciamo due chiacchiere e poi, quando ci gira e serenamente, partiamo. Dovere specificare “Dieci o dieci e mezza?” mi toglie la voglia di stare al mondo. Io non ci vado, in montagna. Me ne sto qui e ne scrivo altri 15, di post.

Anzi, lo lascio pure.