Cit: A differenza dello stereotipo, il sociotipo è una categoria flessibile ed evolutiva che non teme, anzi cerca il confronto con l’esperienza […]
Un commento di Elvi, qua sotto, mi ha fatto venire voglia di riciclare alcune riflessioni buttate giù sul treno che ci portava a Bangalore. Le copio-incollo qua, quindi, consapevole del fatto che le generalizzazioni implicano un fortissimo rischio-cazzata ma che, d’altra parte, il cervello umano ne ha bisogno per mettere ordine e cercare di capire qualcosa di ciò che lo circonda.
26 luglio 2009, treno per Bangalore
Qualche – superficialissima e limitata al sud del paese – impressione sulle analogie e differenze tra India ed Egitto.
La prima che colpisce è che in India si percepisce chiaramente la presenza di una classe media. Classe media, che, in Egitto, è andata impoverendosi da un certo punto in poi fino a rendersi quasi impercettibile.
La presenza di questo middle standard indiano fa sì che questo paese sia, tutto sommato, più facile da percorrere per il viaggiatore indipendente straniero di quanto sia l’Egitto. Nel senso: è infinitamente più facile trovare bagni puliti nei posti pubblici, cibo non igienicamente allarmante anche nelle località piccole e, in generale, le piccole efficienze e comodità diffuse che una middle class radicata nel territorio comporta.
Alberghi medi a prezzi ragionevolissimi pensati per i businessmen indiani, con wifi e ristorante selfservice essenziale ma dagli standard di pulizia e qualità analoghi a quelli europei, per dire, come treni di classe intermedia con presa di corrente per il pc funzionante e un soddisfacente livello di pulizia, come quello da cui scrivo in questo momento.
O, pensando più in grande, un sistema sanitario privato che mi dicono essere di ottimo livello.
Cose non altrettanto accessibili in Egitto, dove il salto tra il miserrimo e il lussuoso è molto più drastico, come è più drastica la differenza tra i servizi pensati per gli stranieri e quelli per gli egiziani.
L’altra faccia della medaglia, come già notavo in post precedenti, è uno spirito burocratico e di attaccamento alle regole infinitamente più rigido di quello egiziano. La sensazione, spesso, è che le persone con cui interagisci per le questioni pratiche abbiano la precisa missione di complicarti la vita, mentre un egiziano penserebbe al modo di facilitartela. La sensazione tipicamente egiziana che non ci sia problema che non venga con una soddisfacente soluzione incorporata non si avverte, in India, o almeno così mi pare. E l’attaccamento alle regole, per quanto utile, sfiora a tratti un’irragionevolezza senza appello, come nell’albergo dove pretendevano che lasciassimo la stanza alle 5 della mattina dopo, visto che quella era la nostra ora di arrivo. O la stranezza della pensioncina poverella, in un posto sperduto, dove non ti lavano i panni perché l’orario di consegna è alle 9 del mattino dopo e nessuno prende l’iniziativa di dire: “Massì, dammeli che per domattina li trovi pronti.” E quindi si fa un po’ di fatica in queste cosine piccole ma tanto, tanto importanti per il suddetto viaggiatore indipendente. E non c’è sorriso, moina o “please!” che tenga. Laddove il cuore di un egiziano si scioglierebbe come il burro, l’indiano ti guarda truce e ti trasmette una scoraggiante irremovibilità.
L’istinto egiziano per l’ospitalità, che a volte arriva ad essere addirittura autolesionistico, mi pare sconosciuto in India, e non saprei dire cosa è meglio, onestamente.
Gli egiziani li prenderesti a schiaffi, certe volte, per come permettono agli stranieri di comportarsi da irrispettosi zulù, e ricordo con disagio certe birre offerte dai ristoranti in strada di paesini come Baharreya ai turisti stranieri in pieno Ramadan, e di giorno.
Qui in India non funziona così, direi. Ci sono molti più mendicanti che in Egitto, in India, ma c’è anche un orgoglio nazionale più diffuso. O, almeno, questo è ciò che mi pare di percepire.
Che non è semplice amor patrio, bada bene: quello, agli egiziani, di sicuro non fa difetto. E’ la mancanza di complessi di inferiorità, piuttosto, e forse anche per quello ci vuole una middle class in buona salute e, ovviamente, una storia patria recente che dia qualche soddisfazione.
La vedi impegnata in grandi imprese, l’India: penso alla questione ecologica che, pur con gli stessi problemi di smaltimento dei rifiuti e così via che ha l’Egitto, qui è molto più percepita a livello di istituzioni e vedi in giro cartelli che segnalano “plastic-free zone”, un uso meno dissennato dell’acqua imbottigliata, una volontà di attenzione destinata a diventare coscienza diffusa, per quanto possibile, laddove l’Egitto, con poche e volontaristiche eccezioni, sembra rassegnato a soccombere al mare di tossicità che lo avvelena.
Vedevo nelle news che c’è uno sciopero da qualche parte contro la decisione di vietare i mezzi pubblici di fabbricazione anteriore al 1992.
Ricordo, in Egitto, un’analoga decisione del governo di Mubarak che, però, si riferiva ai veicoli fabbricati negli anni ’50 e ’60. Scorre un abisso economico, tra un’ordinanza e l’altra.
Hanno espressioni facciali diversissime, egiziani e indiani, e laddove l’egiziano medio non vede l’ora di sorridere, lo sguardo standard degli indiani è truce, e devi sempre un po’ grattare prima che venga fuori un po’ di calore dalle facce, o quel disarmante modo di comunicare dondolando la testa che hanno qua. Ché poi non sono affatto truci come sembrano, ‘sti benedetti indiani. Sono solo, boh, più introversi dei caciaroni che mi porto nel cuore io.
Poi invece li guardi scherzare tra loro, giocare a qualcosa o stare tra amici, e cambiano completamente, ti appaiono deliziosi. Ma, appunto, bisogna grattare, e in certi posti più che in altri. Nell’aspro Tamil Nadu più che nel morbido Kerala, per quel che vale la mia percezione di un paio di settimane, o nelle differenze tra nord e sud del paese, come leggo e sento dire in giro.
E infine c’è una clamorosa differenza nei rispettivi livelli di – come chiamarla – galanteria, tra gli uomini d’Egitto e quelli d’India, e gli uni paiono l’opposto degli altri.
Laddove non mi è mai capitato che un egiziano resistesse alla tentazione di aiutarmi con valigie e carichi vari, in India puoi tranquillamente soccombere sotto i tuoi pesi senza che nessuno faccia una piega. Nemmeno gli autisti dei tuktuk, che avrebbero tutto l’interesse a guadagnarsi quantomeno una mancia. Niente. Ti guardano seduti e tranquilli mentre tu stramazzi nell’intento di poggiargli la borsa sul trabiccolo, e si rassegnano ad aiutarti solo se lo chiedi espressamente con l’aggiunta di un’occhiataccia da prof. E poi ti passano davanti in ascensore, si avventano sul pane tostato prima di te, traboccano di piccole omesse cortesie.
E ti stupisce, ‘sta cosa, anche perché le donne indiane sembrano, invece, la quintessenza stessa della femminilità, con i loro sari e i fiori tra i capelli, e quindi li immagineresti più attenti, boh. E invece niente. Te le vedi col piccone ai bordi delle strade, ‘sti scriccioli in sari, intente a riparare la carreggiata. Altro che galanterie.
L’ho vista solo a livello di regole pubbliche, qualche cortesia supplementare per le donne, come in certi sportelli delle stazioni riservati agli anziani e alle signore o – esattamente come nella metropolitana cairota – nei vagoni dei treni riservati alle donne che vogliono viaggiare senza condividere il proprio spazio vitale con gli uomini. E mi è pure venuto un po’ da ridere, nel vedere che si fa anche qua: quando scrivevo di quest’usanza in Egitto, mi toccava poi rispondere ad assatanate accuse di intenzioni segregatorie contro le viaggiatrici. Magari, se uno scrive che lo fanno anche gli indiani, forse qualche occidentale lo capisce che non è segregazione ma semplice, gentile, attenzione.
Forse.
Rimane comunque il fatto che non è sensato pensare di potere dire cose intelligenti su un paese così enorme, e dopo così poco tempo. Si va a spanne, rifacendosi – appunto – a modelli conosciuti per prendere le misure al nuovo.
Intanto il treno è quasi arrivato a Bangalore, siamo nei dintorni.
Dintorni verdissimi, manco a dirlo.
Che poi, però, lasciano il posto a dei quartieri-satellite che si direbbero adibiti alla differenziazione dei rifiuti raccolti in città – la differenziazione manuale, stile Moqattam – a giudicare dalla distesa di enormi sacchi della spazzatura che occupano quasi tutta la scena. E che, tra poco, lasceranno a loro volta posto all’effervescenza e all’adrenalina diffusa della capitale informatica dell’India.
Direzione finale: M. G. Road, principale arteria commerciale della città.
Dove M.G. sta per Mahatma Gandhi.
Grazie per queste riflessioni. Lia.
Hai ragione. le schematizzazioni sono limitative ma da qualche parte bisogna pur partire per cercare di capire le cose.
Quello che mi rende gli indiani così cari, così come li racconti tu, è la dignità che traspare, che si esprime anche nell’impermeabilità alle “moine”. Sembra che l’atteggiamento sia: “siamo mediamente piuttosto più poveri di te, ma questo a casa nostra non ti dà nessun diritto supplementare su di noi, e ce infischiamo abbastanza se per questo ti stiamo antipatici”.
A me sembra bellissimo, davvero una grande lezione di dignità.
E (ma forse l’ho già scritto in un commento precedente) forse non è un caso che sarà l’India insieme alla Cina e non l’Egitto o l’Arabia Saudita ad avere un ruolo di rilievo nel mondo dei prossimi secoli.
Leggendoti… s’impara! :-)
quoto, sia Elvi sia Angelocesare.
Grazie…
ciao!
Per me è questione un’altra volta di emisferi, e non parlo di nord e sud, ma di sinistro e destro!
Gli indiani adoperano l’emisfero sinistro del cervello, si vede, ecco perché quanto a logica e matematica noialtri gli facciam pugnette (un matematico/fisico indiano sta a un matematico europeo come un corridore keniota sta a un corridore europeo… nel senso che in entrambi i casi all’europeo cascano i maroni prima ancora di iniziare a competere).
Insomma, loro son campioni di logica, sicché per loro senza richiesta esplicita non c’è risposta esplicita.
In Russia, dove tutti pensano con la chiappa destra, nessun uomo sano lascerebbe una donna libera di trascinare le proprie valigie, e non c’entrano né le mance né i complessi di inferiorità (semmai hanno quello di superiorità, lorolì). Se tenti di opporti, è capace che l’orso in questione si carichi in spalla pure te, oltre al tuo bagaglio!
E tutti sanno, infatti, che in Russia pure gli algoritmi hanno un’anima.
Tu, Broccoli, ci hai una marcia in più.