In Vaticano ne sanno, di cose del mondo, quindi non si capisce bene a che gioco voglia giocare Benedetto XVI intervenendo in modo tanto goffo e inopportuno sull’attentato in Egitto, nello stesso giorno in cui l’imam di Al Azhar andava ad abbracciare il vero Papa dei cristiani copti, Shenuda III, e a mostrare la faccia davanti alla prevedibile rabbia della gente sconvolta.

Perché, oltre a non essere riconosciuto, appunto, come proprio Papa dai suddetti copti, il Papa di Roma incarna anche un cristianesimo occidentale che, a torto o a ragione, viene percepito in Medio Oriente come un  retroterra ideologico di tutte le bombe che il cosiddetto scontro di civiltà  ha fatto piovere su quella regione, dalla prima Guerra del Golfo ad oggi. E, siccome la Chiesa di Roma è la prima ad affermare che l’attuale aumento della cristianofobia in Medio Oriente è da imputare direttamente a ciò che l’Occidente ha fatto in Iraq, non mi spiego per quale motivo abbia voluto associare, in modo tanto eclatante, la propria figura a un attentato in cui è morta gente di religioni che non sono la sua: gente copta e – già – musulmana. In uno scenario in cui la priorità, per i cristiani di quelle terre, è quella di ricordare a tutti che non sono la quinta colonna di potenze straniere e aggressive, ma orientali – e in questo caso egiziani – come e più dei loro concittadini musulmani.

E’ ovvio, quindi, che in Egitto si affronti questo disastro richiamando il concetto di nazione, prima ancora che di religione, e che ci si aspetti dalle diplomazie mondiali appoggio e rispetto in questo senso. E quindi, ripeto: passi per il povero Frattini, che dal basso della sua pochezza starnazza di chissà quali interventi dell’UE in Egitto. Egli è un cretino, pericoloso come tutti i cretini ma, almeno, intelligibile.

Ma il Papa? La diplomazia vaticana? Che diamine si propongono, con interventi irritanti per i musulmani d’Egitto e imbarazzanti per i copti? Chiedo, perché l’impressione è che cerchino martiri giocando sulla pelle degli altri.