Maggio 2001. Milano, un ristorante di via Savona, credo fosse il Ciriboga. Entrando a sinistra, nell’angolo in fondo, tre donne attorno a un tavolo chiacchierano delle cose di cui si chiacchiera nelle serate tra donne, della vita e degli uomini e di quello che ci succede e dei massimi sistemi. Una sono io, con Cinzia e – Mara, la chiamerò Mara – che, a un certo punto, si coalizzano contro di me perché loro hanno 42 anni e io 39 e quei tre anni, dicono, sono un salto generazionale che fa di loro delle persone impegnate politicamente e di me una sventata, e ridiamo. Cinzia che spiega che il giorno dopo “porto la classe all’Elba, è una cosa che mi fa proprio piacere fare.” Io che racconto del mio amore di Bolzano. Una bella serata.

Di quelle tre donne, oggi, sono viva solo io. Cinzia morì due giorni dopo, durante quella gita. Sento ancora un malessere fisico, mentre ne scrivo. Mara morì due anni dopo, invece. La uccise Daniel, che quella sera era ancora suo marito anche se andava tutto malissimo. Che poi chissà perché lo chiamavamo tutti Daniel: dai giornali, in seguito, appresi che il suo vero nome era un altro. Un nome africano.

Torniamo a Mara da viva, però. Alle immagini di lei che mi tornano in mente in questa mattina di novembre in cui ne scrivo sotto le coperte, col pc sulla pancia che mi scalda, nel 2010, in una Genova che, allora, manco avrei notato su una carta geografica.

Il funerale di Cinzia, Mara che è in ritardo e finalmente la vediamo passare in macchina, guida Daniel. Cercano parcheggio e, intanto, litigano, li vediamo gesticolare. Mara che era casinara, esagerata, teatrale, e le sue amiche erano sempre un po’ incazzate con lei. E, pasticciona com’era, aveva combinato un casino spaziale andandosi a innamorare come una pera, da sposata, di un giornalista che stava a Roma, pure lui sposato, che si chiamava Magdi Allam e scriveva per Repubblica, e ci aveva avuto una storia che poi era finita e lei ne soffriva ancora, e intanto il suo matrimonio era ormai un cumulo di cocci che stava assieme con lo sputo e che sarebbe crollato di lì a non molto.

La storia di Mara con l’egiziano, mamma mia. Io che ero perplessa da morire, poi, ché già amavo il mondo arabo e con lei, ebrea sionista di sinistra, evitavo accuratamente di parlare di arabi e Palestina per non litigarci. “No, ma dico… ma con un egiziano, stai? Tu??? Ma come mai?” E lei: “E’ un egiziano particolare, è cristiano, ha fatto le scuole cristiane, è cosmopolita fin da piccolo.” Cristiano, già. Anni dopo, candidamente, lo avrei pure scritto su questo blog, che Magdi Allam era cristiano, salvo venire poi smentita, ché i tempi della sua conversione pubblica non erano ancora arrivati. Ma a me lo aveva detto Mara, la sua ex donna, che era cristiano, e certo non potevo spiegarlo sul blog. Non a quel tempo. Cosa spiegavo, che si era spacciato per cristiano per sedurre la mia amica ebrea? O per quale altro motivo? Mica lo so. Mica una si mette a investigare sul credo degli amori delle proprie amiche. E poi Allam, all’epoca di Mara, era un giornalista quasi normale, non l’invasato antislamico che sarebbe diventato dopo.
La storia di Mara con l’egiziano che era poi finita malissimo, nel più classico stile delle storie con gli uomini sposati: che prima ti giurano che lasceranno la moglie e poi no, guarda, non posso, scusami, anzi, devo lasciarti ché sennò mia moglie si arrabbia. E lei ci aveva sofferto da cani, tra mal d’amore, disastro familiare e, anche, umiliazione. Perché Daniel aveva scoperto tutto e, disperato e fuori di sé, aveva chiamato Magdi Allam al telefono per chiedergli spiegazioni o, forse, solo per sfogare del dolore, e lui aveva fatto una gelida telefonata a Mara dicendole: “Dì a tuo marito di non disturbare mai più né me né la mia famiglia.” Non male, per uno che due giorni prima ti diceva che l’avrebbe lasciata per amor tuo, quella famiglia.

Mi torna in mente una telefonata con Mara di quei tempi. Mi raccontava che, per errore, dal suo cellulare era partita una chiamata al numero di ‘sto Magdi, ed era imbarazzatissima, poverina, in preda a un malessere totale: “Che cavolo di figura, avrà visto il mio numero e chissà che avrà pensato, che volessi tampinarlo. E adesso che faccio? Gli mando un sms spiegandogli che è partita per errore? O è peggio, se gli mando pure un sms?” E io che sbadigliavo, ché gli amori degli altri sono pallosissimi: “Boh, secondo me è peggio.”

Il matrimonio di Mara si dissolse al rallentatore, come fanno i matrimoni. Riproviamoci, facciamolo per i bambini. No, non funziona. Riproviamoci ancora. Non è possibile. E ancora, e ancora no. Poi basta, è finita. E poi il dolore, le incomprensioni, il rancore che cresce e si nutre delle stesse differenze che un tempo ti avevano fatto innamorare. E poi tutto che precipita perché, quando hai dei figli, rischi di andare a sbattere contro nodi inestricabili, e questo è ciò che accadde a loro due. Daniel che tenta il suicidio ingoiando la candeggina e lo salvano per miracolo al Niguarda. L’apparente serenità successiva e, qualche mese dopo, il telefono che suona come quando morì Cinzia, che tu vai a rispondere e, un attimo dopo, sei seduta e ti accendi una sigaretta e fai i conti con una notizia che fa fatica a entrarti nel cervello, con l’irrealtà che ti sta invadendo la casa.
Me lo disse il marito di Cinzia: “Guarda che Mara è stata trovata morta stamattina, era al mare. Non so altro. Forse un collasso, non ho capito, non si capisce cosa sia successo.” E io che rispondo in un modo assurdo, con una frase senza senso che ancora oggi mi pare che l’abbia detta un altro, non posso averla detta io: “No. No, senti, ma io me ne vado in Egitto. Io non ci rimango a Milano. Prima Cinzia, ora Mara. No, senti, io me ne vado da Milano.” Così, risposi. Chiamala reazione da choc, chiamala come vuoi. Questo fu ciò che dissi, che me ne stavo andando.

Il pomeriggio a casa mia davanti al pc, assieme alla più cara amica di Mara. Le notizie che si accavallano e a noi sembrano lentissime, invece. Che Mara è stata soffocata, che è stata uccisa. Che Daniel non si trova. Che hanno trovato il cadavere di Daniel, sfracellato sugli scogli, annegato.
Il giorno dopo, qualcuno ci disse che la sua macchina era stata ritrovata col baule pieno di giocattoli per i bambini.
Poi, il funerale di Mara. Le stesse facce di quello di due anni prima, la stessa generazione, lo stesso ambiente. Troppi funerali, a 40 anni.
Di quella cena di due anni prima, di quell’ultima sera passata assieme, ero rimasta solo io, e me ne andai in Egitto.

Poi, la vita è strana.

L’ex amore di Mara fa carriera, diventa vicedirettore del Corriere della Sera e campione italiano di antislamismo.
Entra in possesso di una email che io avevo spedito a un uomo che, per la legge italiana, è sposato a un’altra donna. Siccome quest’uomo è musulmano – perché lui chissà cos’era, quando si mise con Mara, pensa te – pubblica tutto sul Corriere gridando alla poligamia e al mancato rispetto delle donne.
Lo denuncio, la causa si trascina per un sacco di tempo tra errori procedurali, rinvii, cambiamento di giudici e quant’altro.

Sai quante volte glielo avrei voluto chiedere, cosa ne aveva pensato della storia di Mara? Cosa pensasti, Magdi, quando tutti i giornali italiani raccontarono che era stata uccisa, e che l’aveva uccisa quello stesso marito che non doveva più disturbare la tua famiglia?
Come mai non ne parlasti, tu che li conoscevi da vicino?
In fondo, Daniel era un immigrato. Era africano. Era persino nero. Potevi fare un caso emblematico pure di quello. E forse lo avresti fatto, se non fosse che Daniel era cristiano. Fosse stato musulmano, dimmi, lo avresti fatto un articolo sull’italiana uccisa dal marito immigrato e – tu lo sapevi bene – non più amato? Ne avresti tratto considerazioni di pubblico interesse sui rischi del multiculturalismo e di chissà cos’altro?

No, secondo me no. Perché – lo hanno scritto i tuoi avvocati mille volte – i fatti privati delle persone finiscono nei tuoi articoli solo quando coinvolgono personaggi pubblici. Specie se musulmani, aggiungo io.

E, nella vita di Mara, di personaggi pubblici ce ne è stato solo uno, di musulmani ce ne è stato solo uno: tu.

Non sai quante volte ho pensato a Mara, vedendoti sguazzare nei fatti miei. Vedendoti fare il campione della monogamia, vedendoti fare il moralista in una camera da letto non tua. A cosa ne avrebbe detto lei, se avesse potuto vederlo. Tu lo sai – io lo so. E’ fin troppo facile dire cosa ne avrebbe pensato.

Che sei un ipocrita, Magdi.