Io vorrei capire con quale faccia potranno presentarsi domani, davanti alle giovani generazioni arabe, quegli Stati, quei politici, tutta quella gente che, ieri, accusava il mondo arabo di non sapere disfarsi dei propri dittatori ed esaltava Israele come “unica democrazia del Medio Oriente”. Ora che Israele ha chiarito in tutti i modi che ci tiene, a continuare ad essere l’unica, e che non ha nessuna intenzione di vederne altre vicino alle sue frontiere, davvero ci sarà qualcuno disposto a rispolverare questo vecchio slogan, in futuro?
Vorrei sapere come lo sosterranno, il vecchio luogo comune che vede gli arabi intrinsecamente, quasi geneticamente ignoranti in fatto di democrazia. Come lo spiegheranno al milione di persone che sono in piazza al Cairo, in questo momento, che i presunti democratici che ieri gli davano lezioni oggi preferiscono dichiarare che il loro dittatore è un uomo saggio, cosa hanno capito, e che noi, che volete, ci sentiamo più sicuri se ottanta milioni di loro vengono schiacciati da un regime che per noi, a casa nostra, stranamente non vorremmo mai.
Con quale infinita faccia di tolla continueranno a parlare – ma che dico: a uscire in strada, a mostrare la faccia – gli esportatori di democrazia, gli autori e complici della guerra in Iraq, gli appassionati sostenitori di rivolte infinitamente meno cristalline, meno pulite di quella egiziana?
E, soprattutto, quanto pelo sullo stomaco – quanti sassi, quanto amianto, quanta pece sulla coscienza – hanno coloro che, con finta e viscida saggezza, esortano i manifestanti a tornare a casa, ché “tanto tra qualche mese Mubarak se ne va, ha detto“, sapendo benissimo che il regime non aspetta altro per scatenare una rappresaglia, il minuto dopo, che vengono i brividi a pensarci? Chi può mai onestamente credere che una popolazione che si è esposta con coraggio inaudito, mostrando la propria faccia e quella dei propri cari davanti al mondo intero, possa mai fidarsi di un regime di cui loro stessi denunciano i metodi, gli incarceramenti, la tortura, gli omicidi?
L’ipocrisia di un Occidente che osserva l’Egitto trincerandosi dietro i distinguo, le caute valutazioni, l’appoggio più o meno smaccato a un regime ripudiato da un popolo intero non è più, in alcun modo, sostenibile. Sono anni che perdiamo la faccia davanti a un intero pezzo di mondo: stavolta, lo spettacolo dell’Europa “dei diritti umani” in precario equilibrio con i piedi in due staffe davanti a un paese che chiede di potere decidere del proprio destino, ci svergogna per sempre.
Cosa gli vogliamo dire, che non sono maturi? Che la democrazia è troppo per loro? Bene, che glielo si dica. Che qualcuno informi, subito, questa gente che ha fatto una rivoluzione su internet e che l’ha pure fatta bilingue per essere capita meglio, l’ha tradotta in inglese per il mondo sui blog e sui social network da cui tutta la stampa mondiale sta attingendo: “Sai, siete solo egiziani, la vostra è un’area difficile, non potete capire. Tornate a casa a obbedire.”
Ci vuole poco, a parlare con loro faccia a faccia: la gioventù egiziana che è in piazza è abbondantemente rappresentata, su internet: c’è Arabawi (sua la foto qui sopra), c’è Zeinobia, c’è Wael Abbas di cui, mentre sto scrivendo, dicono che sia stato arrestato. Ci sono i ragazzi e le ragazze di cui parla oggi Paola Caridi in questo post.
Io ho avuto la fortuna di averne qualche centinaio come alunni, di ragazzi egiziani simili in tutto e per tutto a quelli che vedo manifestare adesso. Ricordo i loro discorsi, la loro passione, il loro senso di giustizia offeso ogni giorno da ciò che vedevano attorno a sé. Conosco le loro ragioni, ripenso da giorni ai loro temi, ai loro dibattiti in aula, alle mille volte in cui non ho avuto niente da rispondere perché, semplicemente, avevano ragione loro.
Non voglio dovermi tornare a vergognare del mondo da cui provengo.
P.S. Debora Billi, del blog Crisis, mi ha fatto qualche domanda. Le ho risposto qui.
Cara Lia,
guarda che questa gente non si lascia mai afferrare dal senso di colpa o dalla vergogna. Hai visto l’articolo di Sartori sul Corriere? Semplicemente e freddamente incitava Mubarak a una repressione feroce (quante migliaia di morti considerebbe necessari il professore?) dei manifestanti. Il fatto che l’occidente (imperialista) ha difficoltá a considerare che le vite umane di arabi, africani, haitiani o hondureñi abbiano un qualche valore. Quanto alla democrazia beh guarda un po’ alla Fiat si chiama democrazia porre dei poveretti davanti alla scelta: vota liberamente ma se non voti quello che dico io te ne vai a morire di fame in mezzo a una strada. Il fatto è che bisogna far cercare di capire che i “democratici pro Mubarak” e quelli “Promarchionne” sono la stessa cosa e che chi lotta contro gli uni lotta contro gli altri.
Con stima
genseki
perfetto, Genseki. Condivido ogni parola che scrivi.
Mi viene da piangere….
Sono giorni che sento nell’anima questa rivolta araba …. la sento anche mia…e mi sento vigliacca perchè non sono capace di iniziare, anche da sola, a lanciare una vera rivolta … che so andare in piazza con un megafono e vedere cosa succede … magari mi scappano le parole dalla mente e cado nel silenzio… sento il peso degli anni; ma vedo che anche i giovani sentono un peso che li ferma. E magari i tempi per noi non sono maturi…
Non mi ha meravigliato per niente sentire il premier nella sua rappresentazione di grande democratico che difende il suo amico Mubarak …altro grande democratico. Non mi meraviglia lo stare su due staffe dei grandi dell’occidente… se i manifestanti egiziani si fossero già ritirati avrebbero espresso molto decisamente il loro appoggio al rais. Sono in parte contenta di vederli così titubanti … forse vuol dire che credono che questi rivoltosi si stanno impegnando seriamente e potrebbero anche raggiungere l’obiettivo! Mi meraviglia come noi italiani siamo pazienti… dovranno cominciare a darsi fuoco i nostri ragazzi, disperati perchè senza lavoro o se ce l’hanno è il frutto scarso di un ricatto alla Marchionne?
Su Repubblica ho visto l’appello della Caritas… cercano piccoli donatori per poter far mangiare la gente bisognosa che aumenta sempre più. Dicono che gli egiziani si sono mossi per la fame; a me sembra una spiegazione che sminuisce il loro coraggio e la loro dignità. Ci sarà anche la fame ma c’è, principalmente, la fame di libertà e di autodeterminazione. E questo fa paura ai nostri padroni, perchè potrebbe essere contagioso.
Lia ho visto su Repubblica le foto che hai postato tu per prima… mi sa che quando devono preparare i servizi passano prima dal tuo blog …sei sempre una fonte preziosa. Un bacio e facciamoci coraggio.
Scusa, sai, ma mi riesce davvero difficile seguire il tuo ragionamento.
Israele non vuole altre democrazie vicino a se? Ma cosa dici? Israele appoggia Mubarak
perchè gli ha dato una mano contro Hamas e, in generale, ha garantito molti anni di pace in un rapporto tra Israele ed Egitto prima conflittuale (e nel senso letterale del termine). Quindi ora Israele ha paura che se il prossimo governo egiziano sarà pro-hamas la guerra potrebbe scoppiare di nuovo.
E questa situazione tu la esprimi dicendo che “Israele non vuole altre democrazie”. Ti sembra un’analisi seria?
Israele come unica democrazia del medio oriente sarebbe uno slogan? Dimmene un’altra.
Sarebbe un vecchio luogo comune “quello che vede gli arabi intrinsecamente, quasi geneticamente ignoranti in fatto di democrazia?” Il fatto che oggi gli egiziani protestino contro un regime ne sarebbe una dimostrazione?
Guarda che oggi gli egiziani protestano, e prima non lo facevano, perchè, poveretti, muoiono di fame, e prima invece no. E quando si muore di fame si è molto meno disposti a tollerare le dittature e gli abusi del satrapo di turno.
E hanno perfettamente ragione, ma l’idealismo c’entra solo fino a un certo punto.
L’Egitto era un piccolo esportatore di petrolio. La produzione è diminuita e proprio nel 2010-11 l’Egitto, da esportatore, è diventato importatore. Quindi riceve molti meno soldi dall’estero. In più c’è il problema dell’alimentazione. Il prezzo del cibo in questi mesi ha raggiunto i massimi storici: ancor più alto di quello registrato nella crisi alimentare 2007-08.
Più un Paese è povero, più grande è la fetta del reddito individuale destinata all’acquisto di cibo e più esigui diventano i margini di manovra – quando i prezzi aumentano – per riempire il piatto comprimendo altri consumi. L’Egitto ha un reddito medio pro capite annuo (ultime stime disponibili) di 1062 dollari Usa.
Ebbene, nonostante questo l’Egitto – 84 milioni di abitanti circa – è il più grande importatore di grano (per quantità) di tutto il mondo; e questo addirittura in valore assoluto, non relativo, come mostrano le statistiche Fao.
E a pochissimo giovano le modeste esportazioni connesse alle coltivazioni, nel delta del Nilo e nella sua contigua striscia verde , di cotone, agrumi eccetera.
In sostanza tutto ciò che veramente serve per vivere in Egitto viene dall’estero, e il suo prezzo è in crescita esplosiva
Infatti oltra al grano l’Egitto importa grandi quantità di mais, soia, zucchero, legumi, vari oli vegetali, e le paga carissime. Provaci tu a campare con 1062 dollari all’anno acquistando tutta quella roba su un mercato internazionale ai massimi storici, e ti accorgerai perchè oggi gli egiziani protestano. Per il piatto di minestra, più che per la democrazia.
Questa rivoluzione sarà una dimostrazione di voglia di democrazia quando (e tutti, credo, speriamo che succeda) dopo la caduta di Mubarak l’Egitto avrà libere elezioni, potere legislativo libero e non vincolato ai precetti del Corano, e leggi che dispongono parità di diritti e di doveri senza distinzione di censo, sesso e religione.
Non capisco poi bene cosa vuoi che facciano “gli esportatori di democrazia, gli autori e complici della guerra in Iraq, gli appassionati sostenitori di rivolte infinitamente meno cristalline, meno pulite di quella egiziana”. Vuoi che invadano l’Egitto? Che sanzionino economicamente l’Egitto finchè Mubarak non va via, così qualche altro Egiziano muore di fame nel frattempo?
Siamo tutti vicino agli Egiziani oggi, ma non direi che si faccia neanche a loro un gran favore con analisi di questo genere.
Quello che non capisco, Giovanni, è a cosa serva quello che stai dicendo tu: vedo una difesa di dichiarazioni tipo quelle di Berlusconi ieri, un intero paragrafo dedicato alla crisi economica egiziana (come se fosse in contraddizione con il desiderio di libertà, manifestare perché la situazione economica è insostenibile) e un ragionamento per cui a Israele piacerebbe che alle sue frontiere ci fosse la democrazia, ma mai quella che i cittadini chiedono. Una democrazia sempre un po’ diversa. Pare un quiz, chissà che prima o poi gli arabi non ci becchino, ad indovinare quale democrazia gli è permesso avere.
Io, comunque, qui sopra non ho scritto un’analisi della situazione in Egitto, ma delle considerazioni sulla situazione da noi.
Che la rivolta egiziana sia dovuta in primo luogo a fattori economici, l’ho scritto pure io, nel post della Billi che ho linkato: “Da una parte, la crisi economica, l’impoverimento sempre più intollerabile della società egiziana, l’aumento dei prezzi, la corruzione e la mancanza di prospettive in cui il paese sembrava affondare. Dall’altra, elementi come l’enorme ruolo di internet nella rinascita politica della gioventù egiziana.” E quindi? Sono considerazioni ovvie e banali, mi pare.
Cosa dovrebbe fare l’Europa, chiedi? Mi tocca essere d’accordo con la Bonino, guarda: http://notizie.virgilio.it/notizie/esteri/2011/02_febbraio/04/egitto_bonino_sul_ft_ue_deve_sostenere_le_forze_democratiche,28179648.html
“E’ con il coraggio e non con la prudenza che in questo delicato momento possiamo contribuire a determinare gli sviluppi in Egitto, in Tunisia e in tutto il Medio Oriente – scrivono – possiamo forse fare poco nell’immediato per influire a breve termine su quanto sta accadendo in Egitto, ma dovremmo chiarire che i rapporti futuri con il Paese dipenderanno da come le autorità si comporteranno in questi giorni. Dovremmo dire che siamo pronti a sostenere la transizione verso la democrazia e che la violenza e la repressione porteranno l’Ue a rivedere i suoi rapporti commerciali e i suoi aiuti e i suoi legami con le classi dirigenti. Ma ancora più importante, dovremmo agire con fermezza per dare prova di aver rotto con il nostro approccio del passato, che temeva un cambiamento nel mondo arabo”.
“I leader europei dovrebbero dimostrare che riconoscono l’importanza storica di questo momento e sostenere le aspirazioni della gente per un sistema politico equo e aperto”, sottolineano Bonino e Dworkin, invitandoli a definire, in occasione del vertice di venerdì a Bruxelles, “una strategia che li veda sostenere la democrazia in Medio Oriente”.