Tra i tanti personaggi le cui categorie mentali sono state rottamate dalla rivoluzione egiziana citerei, oggi, il Papa di Roma.
Il 3 gennaio scorso scrissi un post parecchio irritato sulle improvvide dichiarazioni del Papa a proposito dell’attentato ai copti di Alessandria d’Egitto: dichiarazioni che sembravano dipingere un Egitto in cui i soprusi e la violenza contro i cristiani fossero la norma, tanto da dovere chiedere all’Europa di difenderli, e che invece in Egitto, ovviamente, suonarono tanto sbilanciate e pretestuose da costringere l’imam di Al Azhar a una dura risposta.
Da allora sono passati un mese e una rivoluzione, e la notizia è che (copio-incollo da Mazzetta) “il 7 febbraio, il Procuratore Generale egiziano ha messo sotto accusa per l’attentato alla chiesa copta di Alessandria l’ex-ministro dell’interno Habib el-Adly, già braccio destro di Mubarak negli ultimi quattordici anni“.
La premessa è che, da almeno sei anni, gli Interni egiziani avevano organizzato delle unità speciali da destinare a questo genere di scopi (l’attentato di Dahab è del 2006, a proposito). Come sia andata stavolta, lo spiega Mazzetta:
[…] Per portare a termine il piano il maggiore Fathi Abdelwahid ha arruolato Ahmed Mohamed Khaled (con undici anni di galera alle spalle) e l’ha istruito a cercare un contatto con i vertici dell’organizzazione sunnita estremista Jundallah, d’ispirazione qaedista. Stabilito il contatto con Mohamed Abdelhabi, uno dei leader di Jundallah in Egitto, Khaled ha offerto loro un attentato chiavi-in mano ai copti e questi han procurato quello che ne sarebbe stato l’esecutore: Abdelrahman Ahmed Ali.
Il quale ha guidato l’auto imbottita d’esplosivo di fronte alla chiesa, pensando di doverla parcheggiare in modo che i suoi complici potessero farla esplodere con un telecomando all’uscita dei fedeli; invece il maggiore Abdelwahid aveva un altro piano e lo ha fatto esplodere non appena giunto di fronte alla chiesa. Ventiquattro vittime, un “kamikaze” offerto ai periti forensi e un testimone di meno. L’inchiesta ufficiale aveva poi “rivelato” che gli autori erano un gruppo di “palestinesi di al Qaeda”, provocando un fremito di piacere in Israele e un brivido di terrore a Gaza, dove Hamas si era immediatamente dissociata e aveva offerto collaborazione all’indagine.
Per chiudere il cerchio il maggiore ha imposto al suo contatto di organizzare un incontro con i complci per discutere l’azione e in quell’occasione li ha arrestati tutti e rinchiusi nel palazzo del Ministero dell’Interno. A seguito dei moti rivoluzionari e allo sbando della polizia, dopo che l’esercito si è schierato dalla parte dei manifestanti, i due terroristi per conto terzi sono riusciti a fuggire e si sono rifugiati all’interno dell’ambasciata britannica confessando tutto. Gli inglesi sono riusciti evidentemente ad ottenere solidi riscontri alla confessione e li hanno passati alla Procura egiziana che […] ha a sua volta riscontrato la validità delle accuse e proceduto con l’incriminazione.
Il dieci febbraio un diplomatico britannico ha spiegato ufficialmente all’Eliseo perché la Gran Bretagna ha insistito con forza per la rimozione di el-Adly; spiegazione opportuna, visto che Sarkozy e il governo hanno sostenuto fino all’ultimo Mubarak e, in subordine, gli esponenti del suo sistema di potere. Non risulta che all’Italia sia stata usata la stessa delicatezza e nel nostro paese la notizia non ha avuto nessun risalto.
Strategia della tensione, dunque, messa in piedi dall’ex regime egiziano – non per la prima volta, direi, e mi piace riproporre quello che a suo tempo dissi sull’attentato di Dahab che ricordavo poco sopra – per motivi che fonti dell’ambasciata britannica del Cairo spiegano così (da www.tayyar.org via Notizie Radicali):
- Sul regime vengono esercitate forti pressioni, sia all’interno dell’Egitto sia da parte degli Stati musulmani, riguardo all’assedio di Gaza: additare l’Esercito dell’Islam di Gaza (Gueish el Islam el Ghazzawy) quale gruppo responsabile dell’esplosione serve, in qualche modo, a indurre gli Egiziani ad accusare le fazioni armate nella Striscia di Gaza di complotto per sabotare, per distruggere l’Egitto. Il ministero dell’Interno vuole, così, rafforzare il senso di unità nazionale e la simpatia verso il regime. All’estero, intende trasmettere l’impressione che il regime protegga i Cristiani.
- – Fare un “dono” al governo israeliano, aiutandolo a giustificare e a mantenere l’assedio di Gaza e a prepararvi una grande offensiva. Il regalo egiziano viene offerto in contropartita al sostegno dato dall’amministrazione israeliana alla candidatura di Gamal Mubarak alla presidenza.
- – Creare un diversivo per far dimenticare le elezioni legislative, i cui risultati sono stati falsificati, e per concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica sugli islamisti, sull’estremismo e sull’aggressione ai Cristiani perché il regime possa godere di legittimità internazionale, dimostrare che ha fatto bene a falsificare i risultati elettorali e ad arrestare tutti gli oppositori.
E’ interessantissimo notare come la COPE, emittente del Vaticano in Spagna, abbia dato risalto alla notizia.
Non risulta invece che, ad oggi, la stampa italiana abbia chiesto al ministro Frattini cosa pensi di queste novità.