Vale la pena notare che, mentre mezzo mondo si interroga sui cristiani d’Egitto, la stampa internazionale non sembra volere registrare ciò che loro stessi – i cristiani, testimoni degli scontri – continuano a ripetere, per lo più inascoltati: che i colpi di arma da fuoco sono partiti dall’esercito, la cui intenzione era quella di reprimere gli scontri in corso.

Amid the resulting furor one man took the microphone and said, “we do not want to thank the military, many of those here were killed by their bullets.”
Anwar Abd Elelah says the military did not intend to shoot directly at those in the neighborhood, “but shot into the crowds when the fighting became very intense. The thugs came in to loot and vandalize, not caring who they hurt on the way.”

In questo video, preso durante i funerale delle vittime, l’esercito viene addirittura accusato di avere portato i picchiatori in piazza e di avere quindi provocato ciò che è accaduto. Immagino che non sapremo mai cosa è davvero successo: basterebbero le autopsie, per scoprire se i proiettili usati appartengono davvero all’esercito, ma intanto i morti sono stati sepolti e non mi risulta che ci siano notizie in questo senso. Cosa prevedibile, del resto.

Ad ogni modo, come dicevo, i cristiani che erano lì hanno accusato l’esercito. Paradossalmente, la stampa egiziana ha riportato le loro accuse mentre quella internazionale sembra ignorarle, quasi che spiegare i morti come il risultato di un errore commesso da militari non addestrati a mantenere l’ordine pubblico fosse, tutto sommato, un po’ deludente.

Sui cristiani d’Egitto c’è comunque un interessante articolo su Al-Masry Al-Youm, oggi: “Egypt’s Copts: At a political crossroads

In breve, l’articolo descrive una spaccatura generazionale, all’interno della comunità copta, che ha curiosamente molto in comune con la spaccatura esistente tra la vecchia e la nuova generazione di Fratelli Musulmani.

“Coptic youth nowadays have ways to express themselves outside of the church. Civil society and internet activism constitute new mediums for Copts to push their demands,” said Ishak Ibrahim of the Egyptian Initiative for Personal Rights, a rights group. “Not all these demands are sectarian or religious. Some demands are merely political.”

The assumption that the church always represents the will of most Copts no longer holds true.  “The most obvious example is where Copts ignored warnings made by clergymen not to participate in the massive demonstrations (during the revolution),” said Tamam.

Una gioventù che non accetta più la Chiesa come unica autorità, quindi, e che si esprime attraverso nuovi canali – a partire da internet, di nuovo – che incoraggiano a liberarsi dai rischi del settarismo insiti nell’essere minoranza e ad esprimere una partecipazione politica non più necessariamente mediata dalla religione.

Senza contare che la caduta dei tradizionali punti di concentrazione del potere porta con sé l’esigenza di intervenire in prima persona nel dibattito politico:

“Copts are now aware that they have to tell everybody about their demands. In the past they trusted the religious leadership which was in a direct contact with SSIS. Now, the SSIS is over, and Copts have found it easier to negotiate and call for their demands without SSIS interference,” argued Joseph Malak, a member of the church’s Confessional Council. He is launching a new political party.

Cosa, quest’ultima, che mi pare di potere identificare con l’imparare la democrazia già vissuto, a suo tempo, dalla Spagna. Perché, vale la pena ricordarlo, la democrazia si impara mentre la si costruisce, non prima. E, finché sei sotto una dittatura, non hai modo di imparare in cosa consista. Tocca farlo adesso, in Egitto.

I copti si portano dietro il loro bagaglio di paure: alcune fondate, altre provocate ad arte per sordidi interessi politici; altre, infine, proprie di ogni minoranza, di qualsiasi credo, ovunque. La sfida consisterà nel non cadere vittime di questa paura, pur sapendo che c’è molta gente che ha tutto l’interesse a fomentare un conflitto interreligioso.

Agire politicamente come una minoranza ha i suoi limiti, enormi, e le sue opportunità:

“Egypt is now heading into a democratic system that grants political power to any faction. Copts in this regard have a historic opportunity to increase their demands. Any political group would think seriously about Coptic demands now,” argued Tamam.

Mi pare comunque un discorso da fare in prospettiva, quest’ultimo: al momento, la priorità mi pare l’unione nazionale, il paese nel suo complesso. La società egiziana ha molta roba da metabolizzare. Ha bisogno di tempo, per farlo, e ha molti nemici pronti a impedirglielo.

Qui sotto, il video della manifestazione per l’unità nazionale avvenuta dopo gli scontri. Cristiani e musulmani insieme, di nuovo, a isolare chi soffia sul fuoco.