Ne parleranno in mille, di Amina detta Tom, ché l’argomento è succoso e si presta da parecchi punti di vista. Io, nel mio piccolo, penso che la perfetta aderenza del personaggio di Amina alle fantasie politicamente corrette del liberale occidentale medio fosse meritevole di sospetto dal primo istante: giovane, bellina e gay, di un’omosessualità tutta politica, tutta aderente ai nostri canoni attuali.  Non ci sarebbe voluto molto, penso, per accorgersi del fake molto prima: l’IP del blogger rimandava all’Università di Edimburgo, leggo, e la cosa avrebbe dovuto insospettire, proxy o non proxy. Ma tant’è: la perfetta aderenza a un ideale deve avere avuto un grosso ruolo nella sospensione dell’incredulità generale.

Penso da sempre che il nostro rapporto politico con il mondo arabo sia, in buona parte, il risultato delle proiezioni del nostro inconscio su di esso. Di più: per molti, moltissimi occidentali, il mondo arabo è direttamente l’inconscio, nulla più. Nel bene e nel male, nel sogno e nell’incubo, in cui che rifiutiamo e in ciò che vorremmo essere. Lo sfondo orientalistico che serve a definirci e a ridefinirci, in eterno. E quindi arriva Tom, maschio americano quarantenne, e inventa Amina, femmina siriana seducente e inaccessibile, come da cliché, ma stavolta inaccessibile perché lesbica, non perché segregata. Un’inaccessibilità politicamente corretta.

Un giorno ci rassegneremo a farci spiegare il mondo arabo dai nostri psicoanalisti, più che dai politologi.

Intanto, abbiamo fatto l’ennesimo pessimo servizio a una gioventù che, dall’altra parte del Mediterraneo, vorrebbe semplicemente essere se stessa e costruirsi la propria storia. Liberandosi dalla condanna di essere, sempre e per sempre, personaggi di un sogno altrui.