Li guardo dalla finestra dello snack bar, al pian terreno dell’incrocio tra calle 25 e calle L.
E, a proposito di indirizzi, guarda che dominio della logica e della razionalità nel dare nome alle strade, fuori dall’Avana vecchia, dove le strade hanno ancora nomi di altre epoche e culture – Neptuno, San Rafael, Obrapia, Obispo. So’ impressionata dai numeri e dalle lettere, guarda che odore di America. Soprattutto mi oriento, ché è facile quando capisci la logica dei numeri e delle lettere.
Bastano due giorni per sapere dove sei, all’Avana.
Insomma, guardo questi due poliziotti e lei è una delizia, col suo chignon ben alto e le sue gocce di sangue mulatto, l’uniforme attillata che non le toglie un briciolo di femminilità nonostante la pistola e il manganello e, anzi, le modella il culetto alto. E lui è allampanato, invece, non brutto ma un po’ goffo, e il suo manganello e la sua pistola non fanno paura, per quanto abbia lo sguardo serissimo, probabilmente dalla nascita.
E lui le dà un fiore – piccolo, rosso, tolto a un’aiuola che è poco più in là – e lei lo annusa ma un attimo dopo, come per darsi un tono, ferma un giovane rasta che passava e gli chiede i documenti, col fiore ancora nascosto in mano. Lui glieli dà, lei li studia attenta e poi gli fa cenno di andare. Poi si gira verso il poliziotto maschio e gli restituisce il suo fiore.
Ora lui ha il fiore in mano e ferma un altro passante, un nero giovane e frettoloso che sorride mentre mostra il documento ma si vede che vuole che si sbrighino, a controllarli. Il poliziotto li guarda con grande concentrazione, li restituisce, rimane di nuovo solo con la poliziotta e il fiore in mano.
Glielo porge di nuovo, lei non pare volerlo riprendere. Ferma un altro giovanotto, bianco e coi capelli lisci. Di nuovo il minuetto dei documenti, mentre il fiore lo ha ancora lui.
E poi una schermaglia tra i due e lui che, finalmente, infila ‘sto benedetto fiore nella cintura di lei, tra le cartucce e le manette. E, come per cambiare discorso, ferma subito un altro passante, forse un disegnatore a giudicare dalla cartella che ha con sé. E ancora studia i documenti che gli vengono dati, ancora li restituisce mentre – è evidente – pensa ad altro.
Adesso lei ha questo fiorellino rosso infilato nella cintura, tra la cartucciera e il manganello, e ferma ancora un altro passante e, quando anche questo si allontana, dice qualcosa al poliziotto maschio e, intanto, la sua mano è sul suo braccio, lo accarezza, si parlano avvicinandosi, si vede che vorrebbero abbracciarsi e non possono.
Io, intanto, ho tenuto il conto dei neri e dei bianchi che fermavano, ed è alla pari. Ci tenevo a farci caso. Noto anche che non hanno fermato nessuna donna e nessun adulto. Solo ragazzi.
Poi, mentre ancora discretamente si accarezzano, il poliziotto maschio alza gli occhi e incrocia il mio sguardo. E io mi sento una spia, così consapevole della posizione del loro fiore rosso, e abbasso di corsa gli occhi sulle mie banane fritte, sulla mia birra.
E poi cambia il semaforo, loro si spostano, pago il conto e vado via anch’io.
Passa uno che vende i giornali, compro il “Trabajador” e una rivista di vignette che si chiama “Alante”. E finalmente apprendo che Chavez ha vinto le elezioni, in Venezuela, e credo che il respiro di sollievo dei cubani abbia scosso le palme e i cocchi, ché ieri c’erano televisioni accese ovunque, con la diretta dal Venezuela, ed era tutto un pendere dai sottotitoli, e qualsiasi cameriera di qualsiasi bar dell’Avana poteva dirti quanti seggi erano ancora aperti a Caracas.
Sarebbero stati cazzi, qui, se avesse vinto l’altro. La vita della gente sarebbe peggiorata di parecchio, temo.
E noi a pensare alle stronzate della Yoani Sanchez, intanto. Il fatuo Occidente, come al solito.
E non so se siamo troppo leggeri, noi, o troppo pesanti o cosa. So solo che, per l’ennesima volta, mi è chiarissimo che, a casa mia, l’informazione non permette di capire cosa passi per la mente della gente di cui parliamo. E, per l’ennesima volta, sono a disagio e dispiaciuta, accorgendomi di questo abisso tra la Sanchez finta e il Venezuela vero, e di come questo si rifletta nella lontananza, vacua, dei miei giornali e della mia gente, rispetto alla realtà in carne e ossa che ho sotto agli occhi.
Lia, volevo capire meglio , perche le “stronzate della Yaoni Sanchez”? perche sarebbe una stronzata andare a finire in carcere per un blog? spiegaci meglio….
P.S sto leggendo con immenso piacere e ammirazione tutti i tuoi post di questa nuova avventura e penso proprio che ti sia meritata davvero la tua Cuba!
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Sono collegata al volo, qui la connesione a internet e’ complicata e i post li scrivo offline, faccio fatica a seguire i commenti.
Sulla Sanchez ti giro questo link: http://www.pasteris.it/blog/2012/10/07/le-strano-caso-della-cubana-yoani-sanchez/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+vittoriopasteris+%28Vittorio+Pasteris+ParoleFattiPensieri%29
Ciao. :)
Amica mia, quest’ultimo post è una poesia…. mi sa che ti stai innamorando.
Che la Sanchez sia un personaggio sospetto di essere utilizzato e finanziato si sa da tempo ormai.
Sono contenta che ti stai assaporando l’esperienza.
Un bacione
Lia hai letto?
http://30secondi.globalist.it/#comment-23887
A me dispiace un sacco.
Uff, non lo sapevo. Dispiace anche a me (e lo capisco.)