Confesso, non senza sorpresa, che l’impatto culturale, fisiologico quando ci si sposta in un paese nuovo, mi sta facendo fare uno sforzo di adattamento infinitamente maggiore di quelli fatti in Medio Oriente. Cuba è più difficile del mondo arabo o, almeno, io faccio più fatica a capirla.
Secondo Loredana, semi-expat di lungo corso, non c’è nulla di strano. I cubani non sono un popolo mediterraneo e, per giunta, sono isolani. Per gli arabi vale il contrario, quindi ci sono molto più vicini culturalmente, oltre che geograficamente.
La comprensibilità della lingua spagnola e una certa aria familiare dell’architettura cubana trasmettono una sensazione di falsa vicinanza che, in realtà, rallenta il processo di adattamento e induce all’errore, dice lei. E, mentre la ascolto, sorrido: la stessa teoria, identica, sta nel prologo della mia ormai vetusta tesi di laurea, dove mettevo a confronto Italia e Spagna parlando proprio di vicinanza ingannevole, di errori culturali propiziati dalla sfortuna di capirsi linguisticamente prima di comprendersi culturalmente. Se succede con la Spagna, figurati con Cuba. “In realtà, io credo che i cubani siano meno comprensibili, per noi, di quanto lo sia, chessò, un iraniano”, dice lei, e io annuisco.
Certe sere, appoggiata al bancone di un bar – quasi mai a quello meraviglioso, di mogano, del carissimo e bellissimo Floridita – immagino i cubani stessi mischiati a tutti gli altri cocktail che girano, aggiunti alla lista del bar.
Ecco una piña colada (rum, ananas, latte di cocco).
Ecco un cubano (mercante spagnolo e schiavo nero frullati assieme, più un’aggiunta di francese, di cinese, di diosaccosa).
L’ingrediente del cocktail che meglio conosco è quello spagnolo, ovviamente, e lo riconosco con chiarezza, lo vedo in certi comportamenti, in certe prese di posizione.
Come quando, forte della residenza appena ottenuta, andai a farmi la linea internet salvo scoprire con orrore che, per collegare il mio Sony Vaio alla presa del telefono, mi ci voleva una porta rj11 che i computer in commercio non hanno più.
“Il suo computer è strano, è sicura che sia adatto a collegarsi a internet?”
“Ma come sarebbe che è strano?? Sono ANNI che non vedo una porta come quella che volete voi, non le fabbricano più, non posso credere che non abbiate un adattatore!!”
“No, guardi, è il suo computer a essere sbagliato.” E tu insisti, con la voce sempre più strozzata e gli occhi sempre più spiritati e loro che, per tutta reazione, si ergono fierissimi e confermano, sprezzanti: “Spiacenti, ma la tecnologia cubana ha adottato la porta che a lei manca.” E se ne vanno alteri come toreri dopo la stoccata, e tu lì a terra, sanguinante, che schiumi rabbia e frasi sconnesse: “Tecnolog… cub… cough… ma voi non fate computer… ma io… ma voi…”
Di nuovo come quando avevi 18 anni e, in Spagna, ti comunicavano sprezzanti che la mozzarella non era sicuramente un formaggio fresco, che Cristoforo Colombo non era mai stato genovese, che di qualunque cosa si parlasse tu non potevi che avere torto e loro non potevano che avere ragione, e la realtà che invocavi era un ingombro retorico messo lì a dimostrare che parlavi troppo ed eri un tipo insistente.
La hispanidad, gioie e dolori. Perché c’è anche dell’altro, ovviamente: la forza polemica di intellettuali che hanno mangiato e bevuto tertulias per generazioni, il gusto di uno spagnolo ricco, sovrabbondante, barocco. Quella punta di aggressività nel difendere le proprie opinioni, appunto, che non fa parte del naturale discorrere italiano e, infatti, quando a noi capita di adottarla esageriamo e sbrachiamo. Qui no, qui è passione e ironia.
E quindi mi sento in un paese che va molto oltre la Spagna, ovviamente, con il suo minestrone etnico e culturale e la sua storia complicata, ma che della Spagna non fa comunque a meno. C’è, è presente, la riconosci, la vedi. E, considerando il brodo allungato dell’Unione Europea, forse la vedi più qui che nell’ex madrepatria, ormai.
La volta della porta rj11 diedi fondo a tutta la mia stranieraggine, comunque. Se ci ripenso mi viene da farmi pat-pat da sola.
Io che abbandono furente gli uffici della compagnia telefonica e mi metto a cercare negozi di computer all’Avana facendomi da sola tanti auguri, ché valli a trovare.
Io che ne trovo uno, infine, solo per sentirmi confermare che il mio computer è strano, che a Cuba non esistono adattatori ma che potrei provare con un modem esterno, peccato che non se ne vendano.
“Ma come, non si vendono?”
“Lo può ordinare per internet, provi.”
“Ma come lo ordino, se non ho internet???”
“Provi allora ‘en la calle’.”
“E come lo trovo, un modem, en la calle? Fermo i passanti??”
Sguardo di commiserazione.
E poi. Io che, per smaltire il nervoso, me ne vado a bere una cosa, poi un’altra, e intanto mi sfogo con il barista che mi ascolta comprensivo mentre mi propone di assaggiare questo e quel cocktail per finire con l’offerta trionfale di un intero ananas ripieno di piña colada. Io che trangugio obbediente e, a ogni cocktail, sono sempre più determinata a non rincasare senza modem, cascasse l’isola. Io che tra un cocktail e l’altro mi ritrovo non so come in casa di un nerd cubano vicino del barista che mi allunga un coso ricoperto di scotch, questo:
Io che pago senza battere ciglio la bellezza di 30 dollari per il coso, più settecento piñas coladas, più l’autotassazione per stranieraggine sotto forma di mancia e torno trionfalmente, sebbene oscillante, a casa, pronta a collegarmi finalmente a internet ma non prima di avere pestato una cacca giusto davanti all’uscio, con successive bestemmie e scarpe da disinfettare.
Non me lo fare ricordare, che pomeriggio terribile, che mal di testa il giorno dopo, che spennata.
Certe volte, come dicevo, Cuba è difficile.
E, a proposito del mio incidente sull’uscio, Cuba è piena di certi cagnetti neri e senza un pelo, lisci come se gli avessero fatto la ceretta, che io ho contemplato perplessa per settimane domandandomi se fossero calvi perché di pregiata razza esotica o per una virulenta epidemia di tigna.
Ieri ce n’era uno in braccio a una signora, in ascensore. Lo guardo, e lei: “Perché guarda così il mio cane?”
E io, colta in flagrante: “E’ che è senza peli, perché?”
E lei, altera: “E’ fatto così, hanno il pelo fragile perché sono cani precolombiani, purissima razza cubana, antichissima, a Cuba prima che arrivasse l’uomo!”
Colpita, riferisco a un’amica la scoperta.
E lei: “Cani precolombiani? Che sciocchezza, non esistono!” E un’altra amica che era lì: “Io credevo che fossero cani cinesi.”
E’ un problema che va approfondito, insomma. Non escludo, comunque, che alla base della nota leggenda metropolitana del turista che compra un cane in un paese esotico per poi scoprire, una volta a casa, che in realtà ha comprato un topo, ci siano questi botoli qua.
Sono a Cuba da due mesi e mezzo, insomma, e ci ho capito ben poco. Mi dicono che sarà così per sempre. Evvabbe’.
Intanto ho cambiato casa e quartiere. Da Avana centro mi sono spostata all’Avana vecchia. Poi magari mi sposterò al Vedado, poi non so. La città è così diversa, da un quartiere all’altro, che vale la pena viverli un po’ tutti.
Sto bene. A volte mi arrabbio, a volte mi perplimo, a volte mi incanto. Faccio del mio meglio per superare la nostalgia dell’Egitto e il desiderio di Medio Oriente. Ci lavoro. Ci vorrà pazienza.
Certi angoli dell’Avana, poi, non aiutano:
Oh Lia! Buongiorno.
La piccola ha pianto tutta la notte e il mio desiderio di abbandonare la squallida M. (teutonica città nella quale risisdo) si fa ogni giorno più forte. Forse l’estate prossima vado a Istanbul, chissà. Speriamo.
Sui cubani e sulla loro pretesa di avere sempre ragione: qui è uguale, solo che fa un freddo cane (oggi -1) e le birre mi hanno stufato. E poi l’astensione della Germania nella questione Palestina, mica l’ho capita.
ehhehh chi aveva detto no si è astenuto, chi aveva detto “mi astengo” ha votato sì. Per la Crucconia, trattasi di evidente coda di paglia; per tutti gli altri, trattasi esattamente della stessa cosa :)))
(Scrivo da un altro paese di astenuti, dove in genere però non sanno cosa sia l’astinenza, dalla squalliderrima N., a ovest della Germania ovest, a 30 min. da Kleve)
era da tanto ch non passavo su questo blog, l’ultima volta stavi a genova e ora sei finita a cuba..
in ogni caso, se il tuo portatile non ha una rj11 o usi un modem esterno (usb ormai sono i piu’ diffusi) oppure se ha una scheda di rete (rj45) prendi un router/modem