I titoli dei giornali di oggi, a proposito dell’India e dei marò, rischiano seriamente di mandarmi al manicomio.
E’ evidente che, come fanno notare gli indiani, un governo democratico non può mettere bocca nelle sentenze: stanno ribadendo l’ovvio, e suppongo che noi al loro posto faremmo lo stesso.
E’ altrettanto evidente che non li condanneranno a morte, non ci sono minimamente gli estremi secondo la stessa legge indiana. Al di là delle evidenti considerazioni di carattere politico. Di che stiamo parlando, quindi? La finiamo di menargliela, a ‘sti indiani? Sembriamo un branco di deficienti, ma basta.

Siamo un paese che non crede a una parola di quello che dice ma lo dice lo stesso, in un costante esercizio di cinismo profondo che mi pare una malattia. Sempre in qualche film, mai nella realtà. Persi in un’autonarrazione che mi pare sempre più insopportabilmente malata, o forse sono io che invecchio e non la sopporto proprio più.

(Comunque: sono in Italia. A chiudere la casa di Genova, a rifare il passaporto, a morire di preoccupazione per qualche membro della mia famiglia che non sta per niente bene e così via. E’ stato un periodo complicato e, certe volte, una non ha proprio niente da dire al blog o, meglio, si autocensura, non ha voglia. Ma sono ancora viva, vivita y coleando, e ringrazio quelli che mi hanno scritto preoccupati. Questo blog non chiuderà mai, può al massimo dormicchiare ogni tanto. Poi la settimana prossima torno a Cuba, e vedrai come farà bene al mio umore e a ‘sta tenace paginetta.)