Primo maggio. Quartiere residenziale dell’Avana, un po’ fuorimano. Sera tardi, poche macchine, pozzanghere, aria ancora gonfia del temporale che c’è appena stato. Aspetto che passi un taxi ma si ferma, invece, una macchina nuova di zecca che pare appena uscita dall’Europa. Con l’interno che odora di nuovo, l’aria condizionata che sa di nuovo, a Cuba ce ne saranno tre. Alla guida, un distintissimo ottuagenario in grande spolvero, abito nero e medaglia appuntata al petto, e accanto a lui una signora più giovane, immagino che sia la figlia.
Mi chiede dove vado. Stupita, glielo dico. “Salga”, mi dice con un sorriso, “l’accompagno io gratis.” “Oh, molto gentile”, dico io, e salgo dietro dove, appoggiata allo schienale del sedile, c’è una pergamena incorniciata. Sembra un diploma di laurea ma l’assenza di lampioni non mi fa vedere bene. “Eroe”, leggo. “Eroe del lavoro”, ecco.
Converso con il vecchietto: parliamo di università, mi dice che sua moglie era una ricercatrice e che anche lui è professore, ma di medicina. Mi dice che è stato più volte in Italia, accenna a certe istituzioni cubane, torna a parlare di sua moglie, sempre al passato. Poi la macchina si ferma tra una serie di viali alberati e la signora che è accanto a lui ringrazia e scende. Non è la figlia e, guardandola meglio, non potrebbe neanche esserlo: ha l’aria più modesta, è di una diversa estrazione sociale, non c’entra nulla. Deve avere avuto un passaggio anche lei e si allontana in fretta, con l’aria un po’ stupita. Mi sposto avanti e, mentre lei si allontana, mi accorgo che non ho idea di dove siamo.
“E lei, signore, dove sta andando?”, gli chiedo mentre cerco di decifrare la situazione, e lui mi dice che ha appena ricevuto una decorazione e mi mostra la medaglia che porta al petto, ha un nastrino con la bandiera cubana.
E sarà che è tardi e sono stanca, sarà il buio e l’aria gonfia di pioggia e questa strada piena di alberi mai visti in Europa, a cui non so dare un nome, enormi e fitti di radici che crescono dai rami e si intrecciano fino a terra, e sarà – soprattutto – che mi è ancora così estranea e sconosciuta, questa America, ma mi pare tutto talmente irreale da essere persino inquietante, e non è paura fisica, la mia – certo che non mi farà del male, ed è fragile, minuto, anzianissimo, forse ha anche più di 80 anni – ma piuttosto il non avere nessuna idea dell’oggettivo livello di stranezza di ciò che sta accadendo. Non possiedo gli strumenti per misurarlo.
Continuiamo a parlare, lui sottolinea il valore della ricerca a Cuba. Poi lo chiamano al telefono e lui racconta della cerimonia e di quanto ne sia stato commosso. “Adesso vado al Palazzo”, dice. Chiacchieriamo ancora: è proprio un signore d’altri tempi, un distintissimo nonno. E poi mi dice: “Sa, io sono un ministro”. Mi giro di nuovo verso la pergamena, ché ormai siamo in Calle 23 e c’è più luce e finalmente riesco a leggere il nome e il cognome sotto la scritta “Eroe del lavoro”.
E poi sono arrivata, lo ringrazio di cuore e scendo.
La mattina dopo mi collego a internet, lo cerco su Google ed eccolo qua, ecco le foto, è lui: scienziato di pregio, ministro per anni, storico collaboratore di Fidel, eroe della Rivoluzione, ottant’anni, ormai ottantuno.
E poi racconto tutto alla mia padrona di casa e, quando le dico il nome, lei esclama: “Ahhh, lui!! E’ una persona meravigliosa, un grandissimo scienziato e una persona rettissima, un galantuomo. Sono contenta che lo abbiano decorato, se c’è uno che merita una medaglia è lui! Anche sua moglie era così, una splendida persona, che bell’incontro che hai fatto!”
“Ma scusa, Angelita”, faccio io. “Voglio dire, sono una straniera ferma lì, di sera, in una strada buia, e si ferma un ministro e mi accompagna a casa???”
“Be’, evidentemente ha visto una signora in una zona dove passano pochi taxi e ha pensato di darle un passaggio. Te l’ho detto, è un’ottima persona.”
Poi ci ha pensato e ha aggiunto: “Del resto, sai, quella è una generazione cresciuta nei campi e ci ha sempre tenuto a rimanere semplice.”
“Ah ecco”, ho detto io.
che bella esperienza; ma non mi sorprende, ho vissuto alcuni anni in Nicaragua e pure io, li, ho vissuto situazioni particolari, impensabili in Italia. Credo che cubani e nicaraguensi siano un po simili tra loro e diversi da tutti gli altri latino americani. In cinque anni in Argentina ho potuto osservare una differenza abissale.
Hasta pronto querida
Che meraviglia Lia!
Ma non me lo potevi intervistare??? Un caro abbraccio Lia, che bello risentire la tua felicità interiore.
hahaahha… posso ridere della scemenza del mio commento precedente? :-)