Da Granada sono fuggita, l’ho trovata irritante: molto graziosa, certo, ma forse non andrebbe vista dopo la magnificenza di Antigua de Guatemala – dopo Antigua può sembrarti appunto graziosa, nulla di più – nè dopo le emozioni dell’atmosfera di poesia e sandinismo che ti trasmette León.
Soprattutto, è piena di trappole per turisti messe su dalle frotte di stranieri che ci vivono e gestiscono alberghi e ristoranti. Sono ignominiosamente capitata in una delle peggiori, ieri sera: ingannata dall’aria rustica e da certi poster dei Beatles, ho ordinato da mangiare in tale Imagine, che l’inferno lo inghiotta, e per un pezzo di formaggio coi peperoni e due acque minerali mi hanno fatto spendere 20 euro. Euro, sì. In Nicaragua. E niente, per lo choc ho proprio lasciato la città, so’ pazzi. E comunque il Nicaragua mi piace troppo per sprecare il mio tempo a Granada, c’è troppo altro da vedere.

Poi, per carità, a parte i prezzi del formaggio non è che mi abbia fatto qualcosa di male, la città. Mi ha ricevuto in festa, addirittura, con una sfilata di cavalli che coinvolgeva tutto e tutti come una Feria di Sevilla, ma dall’estetica più da rodeo. Ragazze vestite da cowboy che cavalcavano stalloni giganteschi, cappellacci e cavalli danzanti al ritmo dei corridos, odore di stalla ovunque e canti e soprattutto balli dappertutto, un palco dopo l’altro pieno di gente in festa, ognuno con la sua musica e tutti con fiumi di rum, per lo più in una specie di alambicco lunghissimo portato a tracolla, con una cannuccia anch’essa lunghissima.

Da uno di questi palchetti, il dj invocava: “Tutte le ragazze col sedere grande vengano qui in prima fila!” ed era tutto un tripudio di culoni dotati di vita propria al ritmo della salsa, una cosa da impazzire di amore per la vita a guardarli, e il dj che urlava col tutto il fiato che aveva in gola: “Gordita, sì! Gordita, sìììì!!!!” e giù musica e giù culoni felici gloriosamente ondulanti, una meraviglia. Uno spot contro l’anoressia che andrebbe proiettato nelle scuole. Una cosa che, se ero uomo, morivo lì.

Poi il lago placido, con le sue isolette, e l’alberghino tutto chic che mi sono concessa per una notte, ché dopo tanto viaggiare spartano me lo meritavo e ho fatto un glorioso bagno notturno sotto le palme e avrei dormito lì, facendo il morto in piscina, e poi  ‘sto piatto tipico che ti vendono a ogni angolo e consiste in yucca coperta da un gigantesco cicciolo, il tutto su un’insalata di cavoli che, a sua volta, è avvolta in una foglia di banano. Una cosa impegnativa assai. E tante altre cose belle, mica dico di no, ma io mi sono annoiata alla velocità della luce e sono andata a cercare altro. Ed è che il Nicaragua mi piace proprio tanto, ho bisogno di vederlo fuori da lì.

Adesso sono a Ometepe. Da Granada si raggiunge Rivas in chicken bus, da Rivas ti fai portare in colectivo fino al traghetto a San Jorge e lì ti imbarchi. A Rivas c’era già aria di pioggia ma a San Jorge c’era il diluvio, una nebbia che a stento vedevi l’immenso lago de Nicaragua – è così grande che ha persino gli squali, unici squali d’acqua dolce del mondo – e la forza della pioggia che batteva sul taxi non ti faceva manco aprire lo sportello. E quando infine ce l’ho fatta a scendere dalla macchina, sommersa da un montagna d’acqua, davanti a me si è stagliato un battello scassatissimo: il Che Guevara, e batteva bandiera sandinista. Rossa e nera, con la scritta FSLN. Ci sono momenti, nella vita, in cui una dovrebbe fare una foto e, per qualche motivo, non la fa. Forse perché sarebbe diventato una spugna, il mio cellulare, ammesso che fossi riuscita a estrarlo.

Al Soma Hotel il proprietario è un ragazzo tedesco che si è tatuato “Libertad” sull’avambraccio e, appena arrivi, ti segnala il frigo dove tiene le birre e il foglio di carta dove devi segnare cosa hai preso. “Non aspettare me per essere servita”, ti avvisa. Hanno il wifi ma non il ristorante, quindi mi tocca una passeggiata di un paio di km fino a dove fanno da mangiare e un’altra al ritorno. “Ce l’hai una torcia?”, mi ha chiesto. “Sì”, ho detto io, poi gli ho chiesto se era pericoloso, col buio. In fin dei conti vengo dal Guatemala, per non parlar dell’Honduras. “No, esto es Ometepe”, mi ha detto lui. Oh, ok.

Stasera la mia amica Enrica è rientrata in Italia. Ci siamo lasciate in Guatemala, qualche giorno fa: lei è tornata verso il Messico per prendere l’aereo, io sono scesa fin qui. Volevo mandarle un saluto e un bacio: è stato bello girare con lei e la ringrazio per la condivisione, gli inciampi e le risate. Alla prossima, Enri’.