Sarà un’estate molto orientata su Milano, questa, ché ho da dare una mano a mio papà per alcune cose. E ho già cominciato, a dire il vero, e le prime volte non mi sono resa bene conto della situazione: ero ospite da amiche, con tante cose da dire e da ascoltare e la città è passata in secondo piano. Poi, l’ultima volta, sono stata qualche giorno a casa di mio padre, appunto. Lui non c’era, io ero lì sola e ho potuto riprendere contatto con la quotidianità meneghina. Come dire: rinfrescarmi la memoria su come si vive a Milano, ecco.
Mio padre abita in un comune alle porte della città dove hanno costruito un’enorme Esselunga e, di conseguenza, sono spariti tutti i negozi. Tra il centro abitato e l’Esselunga passa la statale e, per i pedoni che vogliono fare la spesa, c’è uno spaventoso ponte metallico a cui si accede, da entrambi i lati, lungo una rampa a forma di Girella. Fai un sacco di giri, letteralmente, per arrivare in cima. Oppure c’è l’ascensore, ma i vecchietti del luogo lo temono come la peste: pare che si sia bloccato col vecchietto dentro, in qualche occasione, e lì dentro la temperatura deve essere di 50 gradi: lo trovi lesso, il vecchietto, quando lo estrai. Si scala la Girella, quindi, o si va in macchina.
Ho vissuto per qualche giorno, dicevo, in un posto dove, per comprare – chessò – una bottiglia d’acqua, devi prendere la macchina, attraversare una statale, infilarti in un gigantesco parcheggio sotterraneo, poi prendere le scale mobili, attraversare ettari di scaffali al neon, raggiungere l’acqua e rifare l’operazione inversa, giù per il parcheggio sotterraneo e di nuovo in macchina, a dissetarti. Inutile dire che, di domenica, tutto questo sfolgorio è pure chiuso. Devi arrivare molto più in là, di domenica, per trovare altri mostri aperti e in grado di farti comprare ‘sta cavolo di acqua.
Io, in effetti, ho comprato l’acqua e poco altro. Perché a Milano sono molto ligi con la raccolta differenziata, giustamente, ma nel palazzo in cui vive mio papà la raccolta dell’umido prevede che lo si depositi giù la domenica sera dopo le dieci. Ed io sapevo di dover partire per Genova di domenica pomeriggio, e cosa me ne sarei mai fatta dell’umido? Ho mangiato panini per tre giorni, quindi, con gravi danni per la mia dieta. Anzi, no: una sera sono andata a mangiare una pizza con mio fratello, in un posto dietro viale Padova. Due pizze, la birra, due macedonie col gelato. Cinquantatre euro. Lo riscrivo: 53 euro. Al chiuso, dietro viale Padova, senza manco potere fumare.
La domenica, poi, mi sono comunque ritrovata con della roba da buttare senza sapere dove: avevo dei mozziconi di sigaretta, il tappo di una Moretti, mezza fetta di cocco lasciata lì perché faceva orrore (il cocco dell’Esselunga, lo sconsiglio) e non si poteva mangiare. Ho messo tutto in un sacchetto. Il sacchetto, me lo sono cacciato in borsa. Per un attimo ho meditato di portarmelo a Genova. Infine, l’ho furtivamente abbandonato in un cestino di piazza Udine, con un certo timore di essere arrestata e portata in carcere per abbandono di mondezza non autorizzata.
Milano, per qualche strano motivo legato al suo clima, mi fa gonfiare le caviglie. Arrivo a sera che devo stare coi piedi in alto, sennò muoio. Ed è perché è tutto fermo, credo: l’aria, il caldo, il cielo. E la circolazione del mio sangue, giacché ci siamo. Io ho questa mania di empatizzare con i luoghi, e lì empatizzo tramite la paralisi del mio organismo, a quanto pare. Mettici pure i panini – ci vuole un attimo, a riprendere le abitudini alimentari che associ ai luoghi – e il fatto di andare in macchina lungo la pianura anziché scalare a piedi le salite di Genova: bastano tre giorni per ridurti uno straccio, e ho ancora una faccia che non me la merito, pesta e gonfia anche se sono rientrata a casa da giorni.
Sentivo la mancanza di una grossa mazza da baseball da tenere sul sedile accanto a me, guidando per la città: perché io ci tengo, al mio benessere, e credo che l’unica risposta sana ai colpi di clacson che ti arrivano da dietro non appena il semaforo rosso diventa verde consista nello scendere dalla macchina con la mazza, appunto, e sfracellare la testa dell’automobilista che ti clacsona. Non mi viene in mente – davvero – nulla di altrettanto intelligente da fare in alternativa. Solo che non ce l’avevo, la mazza da baseball, e mi sono dovuta rassegnare a una decina di travasi di bile. Poi, alla decima volta, guardando dallo specchietto la faccia acida, velenosa, ringhiante della signora che avevo dietro, ho pensato: “Dai, è che è solo infelice, perché mi ci devo incazzare?” E così ho trovato una sorta di equilibrio, rifiutandomi di farmi trascinare nell’infelicità altrui e concentrandomi forte sulla mia serenità. Che suonino il clacson quanto gli pare, problemi loro.
E poi sono ripartita, come dicevo, e ho preso la metropolitana col biglietto che avevo comprato in anticipo e tenuto in tasca per tre giorni. Arrivo, e la macchinetta del metrò non me lo prende. “Titolo di viaggio non valido”, diceva. E sono andata dal controllore e gli ho chiesto perché. “Ma come?”, gli faccio. “E’ un biglietto nuovo, lo guardi!”. E il controllore: “No, lei ha rovinato la banda magnetica tenendolo in tasca”. E io: “Oh, accidenti. Vabbe’, me lo convalida lei?” E lui: “No, deve ricomprarlo nuovo”. E io: “Ma come?? Ma perché??” Non c’è stato niente da fare: se tu compri un biglietto del metrò e lo spiegazzi un po’ tenendolo in tasca, lo devi ricomprare nuovo. Giuro. E giuro anche che l’euro speso per ricomprarlo mi ha fatto del grosso male all’umore. Me l’ero dimenticata, questa sensazione di essere derubata appena respiri che senti da quelle parti.
E poi, come Dio ha voluto, sono ritornata a Genova in tempo per andare a cena con lo Scienziato e ho guardato il cielo e non ero più abituata a vedere il moto perpetuo di nuvole che c’è qua, e mi chiedevo: “Ma pioverà? Ma dici che mi devo portare l’ombrello?” E invece no, era solo il movimento del cielo, dell’aria, del vento e della mia circolazione sanguigna, di nuovo, e siamo andati in Darsena, giù al porto, e c’è un ostricaro nuovo che però aveva finito le ostriche e ci ha consolato con un bicchiere di vino bianco, e poi abbiamo mangiato da un’altra parte, all’aperto e mi sentivo rinascere, io, e la sera dopo mi sono fermata con Marzia nella trattoria di piazza Erbe, piena di gente anche se era lunedì sera, e si stava benissimo e abbiamo speso una sciocchezza, altro che 53 euro per due pizze in viale Padova, ed io intanto misuravo quanto è importante vedere cose belle ovunque giri lo sguardo e quanto mi era mancato, e quanto ero felice di vivere qua.
Ho ripensato al mio certificato medico di incompatibilità con Milano, in questi giorni. E’ ovvio che la felicità non è uguale per tutti, e che ciò che per me è l’inferno può piacere moltissimo ad altri e che, comunque, quello che ho io è un certificato medico personale, non un editto imperiale teso a sancire l’impossibilità della vita a Milano a livello generale. Però una cosa la devo dire: quel certificato, per quanto riguarda me, è sacrosanto. E’ la cosa più profondamente vera che mi sia mai stata messa per iscritto.
Io, se fossi stata costretta a rimanere a Milano, mi sarei ammazzata. Mi buttavo dal balcone e non se ne parlava più. Davvero. Non lo scriverei, se non fosse esattamente così.
“” Che suonino il clacson quanto gli pare, problemi loro. “”
mi hai fatto ricordare perche’ e’ bene che non torni a Milano neanche io ! Neppure nell’hinterland
Grazie
squa
uh! l’estate meneghina non ci voleva proprio!
noi abbiamo appena cambiato casa, e dal ‘centro’ siamo andati a finire in periferia – ma cmq periferia di un paese è, e infatti sono già nati un bar e un (necessarissimo) panificio (capirai, siamo ad Altamura, non viviamo senza pane e focacce!) proprio di fronte al mio portone.
Poi vabbè.. anche qui per andare al supermercato hai da prendere la macchina e attraversare una ex-statale.. però..
mi piace l’aria che tira sulle tue giornate-serate genovesi, te l’ho già detto?? sììì :-) ciao Lia, un abbraccio
Concordo e pure tanto. E lo dico da persona che a Milano ci ha vissuto un bel po’ per lavoro e ora ci va un tot di volte alla settimana, sempre per lavoro.
Continuo a pensare che sia uno dei posti piu’ sgradevoli che ho visitato in vita mia. Brutta la citta’, brutti i suoi abitanti, brutto il “mood” che la pervade e non parlo solo di politica.
Mi ero preoccupato, quando mi ero trasferito a Milano, nel vedere che la gente li’ non usa le scale mobili per stare comoda (basta stare fermi e farsi portare), ma ci si arrampica per andare piu’ in fretta.
E poi e’ piatta, l’aria e’ oleosa, non c’e’ quasi mai vento e l’orizzonte non esiste. E se esistesse non ci sarebbe nulla da vedere.
Figurati per un torinese come me, abituato ai monti alle spalle, al fiume e alla prospettiva invitante dei colli che invadono dolcemente la citta’ che sensazione puo’ dare Milano, tutta piatta, piattissima.
Una citta’ in cui ancora a 30 km dal centro ci sono solo capannoni e la peggiore padania orizzontale, monotona, tutta rotonde.
Ho la fortuna di vivere a Torino e di lavorare spesso a Genova, che e’ adorabile perche’ e’ sorprendente in ogni aspetto. E so che in entrambe le citta’ a massimo 10 minuti dal centro c’e’ gia’ la campagna, il silenzo, il fresco, i panorami.
Milano e’ psicologicamente invivibile, ci si incattivisce, si diventa come “loro”. L’unica soluzione che riesco a praticare e’ andarci giusto quando necessario, guadagnare i dane’, incontrare le poche persone che meritano e correre via.
Quando all’altezza di Chivasso, sull’autostrada-mulattiera, vedo i primi colli e intuisco il fiume, tiro un sospiro di sollievo.
Genova è sorprendente in ogni aspetto, è verissimo. Una continua piccola sbronza di bellezza, meno spudorata di Napoli e forse più struggente proprio per questo.
eh si, la vita milanese è infernale…ma penso che anche la vita italiana stia diventando super cara!
Vivere in medio oriente ha i suoi pregi e difetti, ma almeno si può ancora avere un pranzo o una cena decenti a poco prezzo, senza sentirsi pulsare le vene della testa al momento di pagare il conto!
bello il tuo posst, scorrevole e piacevole.
ciao
Milano è fatta a circonvallazioni concentriche. Anche l´inferno è fatto a circonvallazioni concentriche. Al centro dell´inferno sta il diavolaccio, al centro di Milano sta il Duomo.
Tutte le religioni in realtà proclamano l´Anticristo.
Si chiama Anconella ed è un antico convento sugli appennini. Nel borghetto ha riaperto una vecchia locanda con camino di pietra incisa dove ci starebbe un bue con lo spiedo tutto.
E dove si mangia bene e dove si spendono 20 euri per primo secondo ecc..ecc…
Perchè dovrei andarmene?
In medio oriente poi…..
approvo e aggiungo anch’io che da lontano non ne ho nostalgia per nulla. Sarà che gli ultimi anni sono stati squassanti ma davvero Milano è una città imbruttita, incazzata e invelenita…non si capisce il perché…o forse lo sappiamo bene il perché
perché in fondo siamo noi che facciamo il posto in cui stiamo. non con il nostro modo di fare. no. ma con i nostri occhi. quelli con cui guardiamo.
e poi pensi che, alla fin fine, gli occhi guardano attraverso il cervello e il cervello vive del sangue ossigenato dai nostri polmoni, e allora capisci che è l’aria che fa la differenza. e a milano manca l’aria.
non è la pianura (lo dico vivendoci) a strozzare la gola e ad annebbiare la vista, è l’aria strana, per diana! che manca a milano. qualcuno deve aver messo aspiratori che la succhiano tutta.
ecco credo sia questo, qualcuno sta succhiando l’aria a milano. il tuo medico lo sapeva bene.
Chieso scusa ai redattori del sito se incollo un argomento Off Topic,, contrariamente a quanto detto nell’avviso della finestra di commento, ma la necessità trasforma l’anomalo in legittimo…
Serve la mobilitazione URGENTE di tutti i bloggers.
Seguono link alla petizione e al sito.
http://www.firmiamo.it/morireinitalia
http://www.violetroueth.blogspot.com/
Firma anche tu, fai girare la storia, per favore.
OT BIs, L’appello è per Violet
ho la tua stessa sensazione da qualche tempo. ma non sono stata così brava da trovare lavoro altrove. il massimo che mi viene in mente (per la seconda volta) e farmi mettere per iscritto dalla mia psichiatra che ho ansia depressiva e non posso andare a lavorare e così torno giù in sicilia dai miei.