darwish4yf8.jpg

Poi c’è un problemuccio politico, dietro i disaccordi tra cosa sia islam e cosa no. Semplifichiamolo così: se un gruppo decide che “islam” è una sorta di fondamentalismo disumanizzante i cui membri vivono, interpretano, testimoniano e diffondono un islam di storielle ripetute a pappagallo strappandosi da dentro ciò che fa sì che gli esseri umani siano tali (il pensiero autonomo, le capacità critiche, il dubbio come motore della ricerca e, insomma, l’intelligenza) e questo gruppo acquisisce abbastanza forza e/o visibilità da fare passare il suo messaggio all’esterno, i musulmani tutti diventano, nell’immaginario collettivo, niente altro che questo: una massa indistinta di esseri disumanizzati che non riesci manco a guardare negli occhi, imburkati come sono, e che è quindi facilissimo sterminare come si sterminano le formiche, senza rimorsi e senza coscienza visto che viene a mancare l’ingrediente fondamentale per entrambi, ovvero la possibilità di identificarsi con la vittima.

E siccome viviamo in un’epoca in cui il messaggio che raggiunge la gente è più forte della realtà stessa (la realtà devi scomodarti a vederla, i messaggi ti arrivano mentre sei in poltrona), non è un caso se i due schieramenti che compongono il cosiddetto “scontro di civiltà” (o di poteri, anche minimi e mediocrissimi) non possano vivere gli uni senza altri, lì a rinforzarsi a vicenda e a spiegarsi l’un l’altro che esistono e che il palcoscenico è loro, sulla pelle di popoli interi che penserebbero volentieri ad altro. E non è un caso nemmeno che dietro entrambi i contendenti, neocon e fondamentalismo, ci siano le storie, le alleanze, i finanziamenti e gli interessi più torbidi, più sporchi.

Uno dopo l’altro scompare una generazione, tra cui c’era Mahmoud Darwish: la generazione degli arabi con cui ci si poteva identificare. Ciò che rimane è un popolo che, mai come adesso, è facile occupare, distruggere, bombardare, depredare, annichilire, nella misura in cui viene rappresentato nell’immaginario comune da ‘sti fagotti neri. Chi vuoi che si commuova per dei fagotti neri? E aggrediscono i popoli arabi, Israele e Stati Uniti, raccontandoci che stanno attaccando i fondamentalisti. Solo che è il mondo arabo composito, colto e che convive nelle sue mille componenti, ciò che cancellano dalla faccia della terra, e quello che lasciano è questo, appunto: fondamentalismo escludente e sterile. Il loro migliore amico. Il mondo arabo ridotto a teoria, e teoria per lo più demenziale.

La discussione che ho avuto in questi giorni con qualche musulmana italiana e i suoi echi in giro per blog mi hanno permesso di incidere il bubbone che avevo dentro, a questo proposito, e che mi impediva ormai da tempo di pensare a certi temi libera dalla loro mortifera ombra. E mi ha permesso di scoprire e leggere, o rileggere, persone che sono intervenute a portare ossigeno nell’argomento, a portarci intelligenza. Ma mi ha anche costretto a riguardarla, l’infezione nei miei bubboni, e ad accorgermi fino in fondo che di infezione si tratta, e non di altro. E non si empatizza con un’infezione. Me lo dovrei scrivere ben grande su un poster, e appenderlo in camera: “Non si empatizza con un’infezione.”

Mi dispiace, ma per pensare lucidamente a certi temi, per riprendere le misure delle cose, occorre dirsi la verità, così com’è. Io non ci voglio più girare attorno.

Ci ho messo l’anima, nel volere capire cosa passa per la mente di chi non vede altra via d’uscita alla situazione mediorientale che la radicalizzazione totale, lo scontro assoluto. Ho mosso il culo e sono andata a cercare di vederlo coi miei occhi, cosa si sente da ‘ste parti, e ho cercato di spiegare ciò che vedevo. Ma quella che vedevo allora era una cosa seria. Dolorosa, suicida ma seria. C’erano dei motivi, c’erano delle cause, c’era – e c’è – un mondo che pare in un vicolo cieco e guardando i ragazzi di certe realtà mediorientali pare di vedere dei topi in trappola, rimani senza argomenti e senza nessuna speranza in una via d’uscita. E allora ascolti e racconti, che vuoi fare? Solo che io raccontavo per dire: “Pensiamo a ciò che gli stiamo facendo, a questa gente.” Non raccontavo per dire: “E’ così che bisogna essere.” Perché non serve, perché è un suicidio. Perché, appunto, da quando l’aria che tira nel mondo islamico è questa, sterminare musulmani è diventato facile come mai prima.

Odora di morte questo piattume pseudoislamico che si arroga il diritto di rappresentare istanze e voci infinitamente più plurali di quanto i preti e monache dell’islam europeo cerchino di fare credere. A questi gliene frega un cavolo, del Medio Oriente: questi, come ogni clero che si rispetti, preferiscono un cadavere da vegliare piuttosto che un mondo vivo che, in quanto tale, sfugge agli schemi in cui loro lo vorrebbero cacciare. E quindi una pensa: ma che facciano ciò che gli pare, che delirino quanto gli pare, e che Tizia [storia vera, letta l’altro giorno su un blog] butti via anni della sua vita a non mostrare il volto in famiglia perché ha letto il Corano tradotto male e ha pensato di dovere fare così per essere musulmana, fino a quando qualcuno non le ha spiegato che era solo che aveva letto una traduzione del cavolo e si era sbagliata, il volto lo si può mostrare, pensa te.

Ché poi, dai, se di stravaganze si vuole parlare, ti posso raccontare che a Genova ci sono vecchiette animaliste che danno da mangiare ai ratti. E allora? Ogni società porta in sé una nicchia di bizzarrie organizzate, è fisiologico. Stranezza per stranezza, una vale l’altra e, sì, di stravaganze è pieno il mondo: che ognuno butti la sua esistenza come gli pare. Ma che ‘sta gente piazzi le sue zampe strumentalizzanti, escludenti, ipocrite e bigotte su temi come la Palestina o il Medio Oriente, be’, proprio non mi sta bene. Non si può fare entrare un mondo intero in un tinello angosto, polveroso, soffocante. Questi qua non sono degli interlocutori possibili. Il Medio Oriente visto da loro non è meno caricaturale di quello visto da Oriana Fallaci. E ‘sto pezzo di mondo – il Medio Oriente, dico – ha già troppe sfighe. Essere rappresentato da questi qua, in Italia o in Occidente, è una immeritata ingiustizia. Non si deve fare, non si può cascare in una boiata simile.

C’è stato di meglio, pensa una, ricordando Mahmoud Darwish:

“Hanno diritto su questa terra alla vita: il dubbio d’aprile, il profumo del pane all’alba, le idee di una donna sugli uomini, le opere di Eschilo, il dischiudersi dell’amore, un’erba su una pietra, madri in piedi sul filo del flauto, la paura di ricordare negli invasori. / Hanno diritto su qusta terra alla vita: la fine di settembre, una signora quasi quarantenne in tutto il suo fulgore, l’ora di sole in prigione, nuvole che imitano uno stormo di creature, le acclamazioni di un popolo a coloro che sorridono alla morte, la paura dei canti negli oppressori. / Su questa terra ha diritto alla vita, su questa terra, signora alla terra, la madre dei princìpi, la madre delle fini. Si chiamava Palestina si chiamava Palestina. Mia signora ho diritto, che sei mia signora, ho diritto alla vita”.

(Georgiamada ne aveva raccolte parecchie, di cose su Darwish. Oggi era il giorno per rileggerle.)

P.S. Sì, ho perso la pazienza. Completamente.