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Dal blog di ArabawiEgyptian women protest against mass harassment

Bene, dicevamo. Eravamo arrivati a parlare di velo, negli ultimi commenti, ché dalla zona delle italo-musulmane seccate con questo blog era venuto fuori questo discorso qua che aveva suscitato – sanamente – un po’ di perplessità tra qualche lettore:

In un certo senso, il velo serve più adesso che ai tempi del Profeta ss. Questo perchè oggi la donna è considerata come un oggetto, un qualcosa da guardare, da prendere, da possedere, da usare. Non mi si dica di no, sono occidentale, il mondo lo vedo come gira. E il velo serve appunto per dire “Hey, guarda che c’ è anche una testa ed un cuore oltre al corpo, guarda che io a questo gioco non ci sto”. E’ anche una protezione per fare in modo che la bellezza venga preservata dagli sguardi di chi non lo merita, e ripare la donna da chi potrebbe dire oscenità su di lei. La credente infatti detesta che questo avvenga.

Mah. Che, in termini generali, una maggiore islamizzazione della società abbia una valenza politica centrata sul rifiuto della mercificazione degli esseri umani e del corpo della donna in particolare, ci sta. Purché poi regga, questa valenza, e non faccia la fine di ogni ideologia, tra fallimenti sostanziali e ipocrisie per mantenere la facciata.

Ma, a livello individuale, io credo che tra i mille motivi per cui si può scegliere di portare il velo, quello esposto qui sopra sia tra i meno validi in assoluto.

1. Perché offende chi non lo porta, per cominciare, sottintendendo che essa non detesti – al contrario della credente – essere considerata un oggetto eccetera. Con buona pace delle cristiane tutte, ad esempio, e soprattutto delle donne di ogni credo, razza e colore che se lo guadagnano sul campo, il rispetto del mondo, e facendo cose un po’ più complicate del coprirsi la cocozza. E a me pare che non dovrebbe servire a rendere arroganti le credenti, l’islam. Dico io.

2. Perché è una motivazione autobiografica spacciata per universale, direi, visto che arriva da una generazione di convertite in età fertile, mi pare, e dimentica totalmente qualche milione di vecchiette che lo portano pacificamente a 70 anni, il loro velo, e certo non per respingere i desideri di maschi interessati solo a “prenderle e a usarle”, direi. E cos’è il loro velo, allora? No, per sapere.  Di più: è una motivazione che sfiora da vicino la mitomania, abbiate pazienza. Immaginare un mondo intero pronto a zomparti addosso se non “celi la bellezza” deve essere una sensazione interessante a livello di ego, non dico di no, ma poco aderente alla realtà. Sono certa che ognuna di loro, in una metropolitana cittadina come in un autobus come  in un supermercato e come ovunque sarebbe notata molto meno senza velo che col velo, e osservo che i passanti che “non meritano la bellezza” delle nostre convertite abbiano un mucchio di cavoli loro a cui pensare, nel nostro affaticato paese, tra i quali non è detto che ci sia la loro, certo irresistibile, avvenenza. E l’islam, che io sappia, non dovrebbe fare da veicolo per narcisismi travestiti da modestia.

(Ho avuto l’opportunità di conoscerla da vicino, questa motivazione affibbiata all’uso del velo, all’epoca del mio tuffo nel delirio, e – come la storia dei jinn nel lavello – mi faceva ridere eppure mi sforzavo di mantenermi seria e di capire, giacché – era evidente – chi la portava avanti non stava scherzando. “Se hai alunni maschi non devi mostrarti in maniche corte!” “Ehm: ma i miei alunni hanno 15 anni e io 44, non credo che le mie braccia rivestano grande interesse, ai loro occhi…” E, no, non c’era verso. Ed io trovo che la minuziosa attenzione al livello di ipotetico desiderio che si potrebbe scatenare nei maschi estranei per ogni millimetro di pelle scoperta sia indice di una sessuomania – di cui la sessuofobia non è che il volto apparente – che, secondo me, potrebbe essere spesa in modo più sano togliendole ‘sta patina di religiosità da dosso.)

3. Perché non regge alla prova del nove del riscontro con la realtà, soprattutto. Ho davanti a me il numero di Agosto di Egypt Today: tra le notizie brevi, a pag. 32, si legge: “Secondo una ricerca dell’Egyptian Center for Women’s Rights, in Egitto l’84,5 delle donne subisce molestie.[…] Dalla ricerca non è emersa nessuna relazione tra l’abbigliamento e le molestie, giacché il 72,5% delle donne intervistate ha riportato di avere subito molestie mentre indossava l’hijab o il niqab.” Nel mio piccolo, l’ho scritto in tempi non sospetti che la moltiplicazione dei veli in Egitto è andata di pari passo con la moltiplicazione delle scocciature da parte degli uomini. E mi pare pure ovvio, se ci si pensa un attimo a mente lucida.

Ora (e potrei aggiungere un “ya Rabb”, a ‘sto punto, che fa figo) posso sapere che gusto c’è a fare dell’islam qualcosa che, per reggere, deve chiudere gli occhi di fronte alla realtà, negarla, inventarsi realtà parallele dove ottenere le auspicate dinamiche di causa-effetto che, nel mondo vero, falliscono?

Se un’idea, sperimentata nella realtà, non funziona, non vi viene il dubbio che che forse è l’idea, ad essere campata in aria, e non la realtà? Ma proprio l’islam, dico io, deve servire come scusa per ignorare il mondo e guardare altrove? Proprio la più logica, la più realistica delle religioni? Quella che mi era sempre parso che partisse dall’uomo per come era e non per come dovrebbe essere in teoria? Pensavo che la differenza di fondo tra l’islam e il cristianesimo fosse questa. Ne ero proprio convinta, pensa te. E guarda qua, invece.

Cosa ci trovate di bello, mi domando, in un islam privato della sua capacità di armonizzarsi con la realtà senza stravolgerla, senza fuggirne, senza temerla? Perché non rimanere cristiane, se l’obiettivo era proteggersi da un mondo di peccati, darsi a una clausura di fatto collettiva, guardare i fiorellini per non guardare il mondo?

Io, l’ho già scritto, se avessi conosciuto questo islam, a suo tempo, lo avrei archiviato alla velocità della luce.  Se l’argomento mi interessa ancora è nonostante certi discorsi. E c’è spazio, in questo “nonostante”. Parecchio, proprio.

Quindi, su certi discorsi, credo abbiano ragione questi signori qua:

These are strange ideas to associate with the most universal and rational religion in the world. Obviously, these alien notions fossilize Islam and constitute a serious misreading of the true Islamic message.

Tradotto, che ci sono strane idee associate alla più universale e razionale religione del mondo. E che queste nozioni aliene fossilizzano l’islam e costituiscono un serio malintendimento dell’autentico messaggio islamico.

Poi, ragazze, vedete un po’ voi.

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E poi c’è l’anatema,  ya salaam

Dice una:

[…] di riflessione ne possiamo fare tanta senza ricorrere ai post di Lia; o in generale di persone che si danno per estranei alla religione dell’Islam e invece ne sono nemici.

Ed io ci rifletto su, mentre me ne sto al Cairo a lavorare a Ferragosto – perché siamo tipe bizzarre, qua, e manifestiamo l’estraneità o l’inimicizia nei modi più insoliti, si vede – e ricordo che l’ho vista fare anche al boss dell’Ucoii, questa cosa di litigare con le persone e comunicargli: “Tu sei fuori dall’islam!“, come se parlasse del giardino di casa sua. Come se lo avesse comprato all’Upim, come se ne stesse pagando le rate del mutuo. E penso che meno male che sono al Cairo, mentre discuto con questa specie di Opus Dei nostrana dell’islam, ché non c’è come Umm el Dounia per obbligarti a mantenere la prospettiva. E’ troppo grande, il Cairo, per farti confondere le nicchie con l’universo.

Poi penso anche che uno come Magdi Allam, per dire, ci ha costruito una fortuna politica ed economica, su un banale “Tu sei fuori dall’islam!” detto da ‘sti qua, e ne concludo che lui è più italiano di me, in effetti, – ma lo sospettavo già, come dire – ché va’ che ci vuole una faccia di bronzo italiana assai, per scrivere un libro e chiedere una scorta perché ‘sti pirloni ti buttano lì la loro frase preferita: “Sei cattivo e ti tolgo l’islam, ecco, e me lo porto a casa perché è mio“. Io so che è un vezzo, Magdi Allam lo chiama fatwa. Io ci rido, Magdi Allam ci diventa miliardario. Vedi come va il mondo? Roba che una pensa: “Oh, se rinasco mi faccio astuta pure io, guarda.” O forse no, visto che un Magdi Allam, per esistere, ha bisogno di loro per ispirarsi, e a me una simile prospettiva pare una condanna per cui non c’è denaro che possa consolarti.

E rimbalzo nei taxi cairoti e, intanto, rifletto su questo islam italiano infarcito di slang preghieristico in arabo che ha come modello:

[…] tutti i muslimin che, AL HAMDULILLAHI, senza esagerazioni ma semplicemente seguendo la via del Profeta (salla Allahu alayhi wa sallam) e dei Compagni (radiAllahu ‘anhum) e dei Pii Predecessori, si strappano di dosso l’etichetta di “musulmano medio”. Quello che prega 5 volte al giorno, digiuna nel mese di Ramadan, paga la zakat e insha Allah un giorno farà l’Hajj. E basta. Quelli che ritengono un optional digiunare nei giorni e nei mesi in cui digiunava il Profeta (salla Allahu alayhi wa sallam). Quelli che non pregano le due rak’ah prima del fajr. Quelli che si infilano prima la scarpa sinistra o prima quella destra indistintamente. Quelli che bevono o mangiano in piedi o sdraiati.

E so che, anche in Egitto, c’è un sacco di gente che pensa che la tragedia del mondo arabo sia una punizione per la laicità degli scorsi decenni, e di questi chissà quanti la considereranno centrale, la faccenda di quale scarpa ti infili prima, e mi dico ancora una volta che io le capisco in certi contesti, queste cose, ma faccio fatica a considerare completamente sano un europeo che avrebbe tutti gli strumenti per distinguere la spiritualità di un messaggio dalla sua riduzione a cavolata, all’infilarsi la scarpa destra o a tapparsi i pori dell’unghia prima di pregare.

Io posso capire, guarda, che uno si rimbambisca se deve fare la guerra. I soldati occidentali vengono spesso impasticcati ad anfetamine, mi pare. Impasticcarsi con ‘ste cose, per i combattenti musulmani, può avere un senso e un’utilità momentanea. Ma farlo fuori da un contesto di guerra, fuori da una tragedia identitaria, fuori dalla totale mancanza di mezzi e di possibilità di formazione – farlo da italiani nati e cresciuti a Potenza, a Brescia, a Cuneo – è talmente insensato da non potere essere manco raccontabile. Finisce che prendono per visionaria te, qui, se lo racconti.

E quindi sono aggressiva e irritante, certo, mentre discuto di ‘ste cose, ma è che sono pure irritata, mica solo irritante. E assai, pure.

A me importa poco – dai, niente – del voto in islamicità che ‘sti svitati mi possono dare. Trovo solo grave che il discorso islamico sia monopolizzato da costoro, in qualche modo, e mi infastidisce vederli all’opera, tra di loro, con le tecniche tipiche delle sette. E tra queste tecniche spicca l’anatema come risposta al dissenso, e già solo questo mi pare un ottimo motivo per starsene a mille miglia, da ‘sti qua.

Ma, appunto: se uno si vuole fare una setta, dico io, proprio “Islam” la deve chiamare? Non potevate dedicarla al Sacro Carciofo, piuttosto?*

Io ricordavo che era un peccato anche piuttosto grave, ostacolare il prossimo nel cammino (che sia di conoscenza o di fede, non so e non è pertinente, adesso) verso l’islam. Mostrargliene i lati peggiori, dissuadere con i fatti chi desidera avvicinarsene senza buttare il cervello alle ortiche. Voi, santo cielo, siete peggio di un Tir messo di traverso sull’autostrada. Io, quando vi guardo, mi viene voglia di chiamare il carro attrezzi. Si può mica passare la vita a fare marcia indietro perché ci siete voi, sai?

Ingranare la prima e passarvi sopra mi pare un’idea migliore, ecco.

* Mi riferisco alle dinamiche di gruppo che vedo in azione, non ai singoli. Tanto vale specificarlo.