Dal blog di Arabawi: Egyptian women protest against mass harassment
Bene, dicevamo. Eravamo arrivati a parlare di velo, negli ultimi commenti, ché dalla zona delle italo-musulmane seccate con questo blog era venuto fuori questo discorso qua che aveva suscitato – sanamente – un po’ di perplessità tra qualche lettore:
In un certo senso, il velo serve più adesso che ai tempi del Profeta ss. Questo perchè oggi la donna è considerata come un oggetto, un qualcosa da guardare, da prendere, da possedere, da usare. Non mi si dica di no, sono occidentale, il mondo lo vedo come gira. E il velo serve appunto per dire “Hey, guarda che c’ è anche una testa ed un cuore oltre al corpo, guarda che io a questo gioco non ci sto”. E’ anche una protezione per fare in modo che la bellezza venga preservata dagli sguardi di chi non lo merita, e ripare la donna da chi potrebbe dire oscenità su di lei. La credente infatti detesta che questo avvenga.
Mah. Che, in termini generali, una maggiore islamizzazione della società abbia una valenza politica centrata sul rifiuto della mercificazione degli esseri umani e del corpo della donna in particolare, ci sta. Purché poi regga, questa valenza, e non faccia la fine di ogni ideologia, tra fallimenti sostanziali e ipocrisie per mantenere la facciata.
Ma, a livello individuale, io credo che tra i mille motivi per cui si può scegliere di portare il velo, quello esposto qui sopra sia tra i meno validi in assoluto.
1. Perché offende chi non lo porta, per cominciare, sottintendendo che essa non detesti – al contrario della credente – essere considerata un oggetto eccetera. Con buona pace delle cristiane tutte, ad esempio, e soprattutto delle donne di ogni credo, razza e colore che se lo guadagnano sul campo, il rispetto del mondo, e facendo cose un po’ più complicate del coprirsi la cocozza. E a me pare che non dovrebbe servire a rendere arroganti le credenti, l’islam. Dico io.
2. Perché è una motivazione autobiografica spacciata per universale, direi, visto che arriva da una generazione di convertite in età fertile, mi pare, e dimentica totalmente qualche milione di vecchiette che lo portano pacificamente a 70 anni, il loro velo, e certo non per respingere i desideri di maschi interessati solo a “prenderle e a usarle”, direi. E cos’è il loro velo, allora? No, per sapere. Di più: è una motivazione che sfiora da vicino la mitomania, abbiate pazienza. Immaginare un mondo intero pronto a zomparti addosso se non “celi la bellezza” deve essere una sensazione interessante a livello di ego, non dico di no, ma poco aderente alla realtà. Sono certa che ognuna di loro, in una metropolitana cittadina come in un autobus come in un supermercato e come ovunque sarebbe notata molto meno senza velo che col velo, e osservo che i passanti che “non meritano la bellezza” delle nostre convertite abbiano un mucchio di cavoli loro a cui pensare, nel nostro affaticato paese, tra i quali non è detto che ci sia la loro, certo irresistibile, avvenenza. E l’islam, che io sappia, non dovrebbe fare da veicolo per narcisismi travestiti da modestia.
(Ho avuto l’opportunità di conoscerla da vicino, questa motivazione affibbiata all’uso del velo, all’epoca del mio tuffo nel delirio, e – come la storia dei jinn nel lavello – mi faceva ridere eppure mi sforzavo di mantenermi seria e di capire, giacché – era evidente – chi la portava avanti non stava scherzando. “Se hai alunni maschi non devi mostrarti in maniche corte!” “Ehm: ma i miei alunni hanno 15 anni e io 44, non credo che le mie braccia rivestano grande interesse, ai loro occhi…” E, no, non c’era verso. Ed io trovo che la minuziosa attenzione al livello di ipotetico desiderio che si potrebbe scatenare nei maschi estranei per ogni millimetro di pelle scoperta sia indice di una sessuomania – di cui la sessuofobia non è che il volto apparente – che, secondo me, potrebbe essere spesa in modo più sano togliendole ‘sta patina di religiosità da dosso.)
3. Perché non regge alla prova del nove del riscontro con la realtà, soprattutto. Ho davanti a me il numero di Agosto di Egypt Today: tra le notizie brevi, a pag. 32, si legge: “Secondo una ricerca dell’Egyptian Center for Women’s Rights, in Egitto l’84,5 delle donne subisce molestie.[…] Dalla ricerca non è emersa nessuna relazione tra l’abbigliamento e le molestie, giacché il 72,5% delle donne intervistate ha riportato di avere subito molestie mentre indossava l’hijab o il niqab.” Nel mio piccolo, l’ho scritto in tempi non sospetti che la moltiplicazione dei veli in Egitto è andata di pari passo con la moltiplicazione delle scocciature da parte degli uomini. E mi pare pure ovvio, se ci si pensa un attimo a mente lucida.
Ora (e potrei aggiungere un “ya Rabb”, a ‘sto punto, che fa figo) posso sapere che gusto c’è a fare dell’islam qualcosa che, per reggere, deve chiudere gli occhi di fronte alla realtà, negarla, inventarsi realtà parallele dove ottenere le auspicate dinamiche di causa-effetto che, nel mondo vero, falliscono?
Se un’idea, sperimentata nella realtà, non funziona, non vi viene il dubbio che che forse è l’idea, ad essere campata in aria, e non la realtà? Ma proprio l’islam, dico io, deve servire come scusa per ignorare il mondo e guardare altrove? Proprio la più logica, la più realistica delle religioni? Quella che mi era sempre parso che partisse dall’uomo per come era e non per come dovrebbe essere in teoria? Pensavo che la differenza di fondo tra l’islam e il cristianesimo fosse questa. Ne ero proprio convinta, pensa te. E guarda qua, invece.
Cosa ci trovate di bello, mi domando, in un islam privato della sua capacità di armonizzarsi con la realtà senza stravolgerla, senza fuggirne, senza temerla? Perché non rimanere cristiane, se l’obiettivo era proteggersi da un mondo di peccati, darsi a una clausura di fatto collettiva, guardare i fiorellini per non guardare il mondo?
Io, l’ho già scritto, se avessi conosciuto questo islam, a suo tempo, lo avrei archiviato alla velocità della luce. Se l’argomento mi interessa ancora è nonostante certi discorsi. E c’è spazio, in questo “nonostante”. Parecchio, proprio.
Quindi, su certi discorsi, credo abbiano ragione questi signori qua:
These are strange ideas to associate with the most universal and rational religion in the world. Obviously, these alien notions fossilize Islam and constitute a serious misreading of the true Islamic message.
Tradotto, che ci sono strane idee associate alla più universale e razionale religione del mondo. E che queste nozioni aliene fossilizzano l’islam e costituiscono un serio malintendimento dell’autentico messaggio islamico.
Poi, ragazze, vedete un po’ voi.
E poi c’è l’anatema, ya salaam…
[…] di riflessione ne possiamo fare tanta senza ricorrere ai post di Lia; o in generale di persone che si danno per estranei alla religione dell’Islam e invece ne sono nemici.
Ed io ci rifletto su, mentre me ne sto al Cairo a lavorare a Ferragosto – perché siamo tipe bizzarre, qua, e manifestiamo l’estraneità o l’inimicizia nei modi più insoliti, si vede – e ricordo che l’ho vista fare anche al boss dell’Ucoii, questa cosa di litigare con le persone e comunicargli: “Tu sei fuori dall’islam!“, come se parlasse del giardino di casa sua. Come se lo avesse comprato all’Upim, come se ne stesse pagando le rate del mutuo. E penso che meno male che sono al Cairo, mentre discuto con questa specie di Opus Dei nostrana dell’islam, ché non c’è come Umm el Dounia per obbligarti a mantenere la prospettiva. E’ troppo grande, il Cairo, per farti confondere le nicchie con l’universo.
Poi penso anche che uno come Magdi Allam, per dire, ci ha costruito una fortuna politica ed economica, su un banale “Tu sei fuori dall’islam!” detto da ‘sti qua, e ne concludo che lui è più italiano di me, in effetti, – ma lo sospettavo già, come dire – ché va’ che ci vuole una faccia di bronzo italiana assai, per scrivere un libro e chiedere una scorta perché ‘sti pirloni ti buttano lì la loro frase preferita: “Sei cattivo e ti tolgo l’islam, ecco, e me lo porto a casa perché è mio“. Io so che è un vezzo, Magdi Allam lo chiama fatwa. Io ci rido, Magdi Allam ci diventa miliardario. Vedi come va il mondo? Roba che una pensa: “Oh, se rinasco mi faccio astuta pure io, guarda.” O forse no, visto che un Magdi Allam, per esistere, ha bisogno di loro per ispirarsi, e a me una simile prospettiva pare una condanna per cui non c’è denaro che possa consolarti.
E rimbalzo nei taxi cairoti e, intanto, rifletto su questo islam italiano infarcito di slang preghieristico in arabo che ha come modello:
[…] tutti i muslimin che, AL HAMDULILLAHI, senza esagerazioni ma semplicemente seguendo la via del Profeta (salla Allahu alayhi wa sallam) e dei Compagni (radiAllahu ‘anhum) e dei Pii Predecessori, si strappano di dosso l’etichetta di “musulmano medio”. Quello che prega 5 volte al giorno, digiuna nel mese di Ramadan, paga la zakat e insha Allah un giorno farà l’Hajj. E basta. Quelli che ritengono un optional digiunare nei giorni e nei mesi in cui digiunava il Profeta (salla Allahu alayhi wa sallam). Quelli che non pregano le due rak’ah prima del fajr. Quelli che si infilano prima la scarpa sinistra o prima quella destra indistintamente. Quelli che bevono o mangiano in piedi o sdraiati.
E so che, anche in Egitto, c’è un sacco di gente che pensa che la tragedia del mondo arabo sia una punizione per la laicità degli scorsi decenni, e di questi chissà quanti la considereranno centrale, la faccenda di quale scarpa ti infili prima, e mi dico ancora una volta che io le capisco in certi contesti, queste cose, ma faccio fatica a considerare completamente sano un europeo che avrebbe tutti gli strumenti per distinguere la spiritualità di un messaggio dalla sua riduzione a cavolata, all’infilarsi la scarpa destra o a tapparsi i pori dell’unghia prima di pregare.
Io posso capire, guarda, che uno si rimbambisca se deve fare la guerra. I soldati occidentali vengono spesso impasticcati ad anfetamine, mi pare. Impasticcarsi con ‘ste cose, per i combattenti musulmani, può avere un senso e un’utilità momentanea. Ma farlo fuori da un contesto di guerra, fuori da una tragedia identitaria, fuori dalla totale mancanza di mezzi e di possibilità di formazione – farlo da italiani nati e cresciuti a Potenza, a Brescia, a Cuneo – è talmente insensato da non potere essere manco raccontabile. Finisce che prendono per visionaria te, qui, se lo racconti.
E quindi sono aggressiva e irritante, certo, mentre discuto di ‘ste cose, ma è che sono pure irritata, mica solo irritante. E assai, pure.
A me importa poco – dai, niente – del voto in islamicità che ‘sti svitati mi possono dare. Trovo solo grave che il discorso islamico sia monopolizzato da costoro, in qualche modo, e mi infastidisce vederli all’opera, tra di loro, con le tecniche tipiche delle sette. E tra queste tecniche spicca l’anatema come risposta al dissenso, e già solo questo mi pare un ottimo motivo per starsene a mille miglia, da ‘sti qua.
Ma, appunto: se uno si vuole fare una setta, dico io, proprio “Islam” la deve chiamare? Non potevate dedicarla al Sacro Carciofo, piuttosto?*
Io ricordavo che era un peccato anche piuttosto grave, ostacolare il prossimo nel cammino (che sia di conoscenza o di fede, non so e non è pertinente, adesso) verso l’islam. Mostrargliene i lati peggiori, dissuadere con i fatti chi desidera avvicinarsene senza buttare il cervello alle ortiche. Voi, santo cielo, siete peggio di un Tir messo di traverso sull’autostrada. Io, quando vi guardo, mi viene voglia di chiamare il carro attrezzi. Si può mica passare la vita a fare marcia indietro perché ci siete voi, sai?
Ingranare la prima e passarvi sopra mi pare un’idea migliore, ecco.
Dopo aver seguito questa serie di riflessioni su Islam/religione/bigotti/libertini/infedeli/praticanti e quant’altro, non ce la faccio piu’ e devo dire la mia.
Primo punto: mi spiace, ma “religione razionale” e’ un ossimoro. Se proprio il nostro cervello non riesce a lavorare senza etichettare le cose, direi che la palma di “religione meno irrazionale” e’ assegnabile di diritto al buddismo. Perche’? “Il Buddismo deve modificare i propri principi logici basandosi sulla nuova evidenza empirica disponibile.” – Dalai Lama. Quando altri esponenti di punta delle altre religioni maggiori faranno un’affermazione altrettanto forte e chiara, magari se ne potra’ ridiscutere.
Secondo: nonostante quello che succede intorno a noi, siamo nel 21esimo secolo. Se c’e’ ancora qualcuno che considera alcuni testi come parola di Dio e non semplici prodotti del contesto antropologico della loro epoca, allora c’e’ poco da fare.
Al massimo questi testi possono contenere una serie di principi discretamente utili per vivere sani (come igiene e alimentazione corrette o pratiche sessuali a basso rischio): fondamentalmente norme di comportamento con effetto positivo sulla societa’ e sul singolo.
Alcuni soggetti a tratti sembrano pazzi/irrazionali/folli. La radice del loro comportamento e’ anteporre principi tratti da scritti arcaici alla realta’ empirica.
Il mollusco non e’ kosher? Si, ok, ma ora sappiamo il meccanismo per il quale i molluschi diventano tossici. Se ti viene una colica, la colpa non e’ di Dio, ma di chi le ha pescata/coltivate.
La donna si deve coprire le maniche davanti agli uomini per non farli eccitare? Qualunque antropologo ti potra’ assicurare che in una societa’ come la nostra, nessuno si eccita per un braccio scoperto.
Sciiti e sunniti non sono d’accordo se i pesci con le squame sono halal? Forse bisognere far notare che allo stato attuale si sa che la commestibilita’ dei pesci non dipende da questa caratteristica.
Personalmente credo che chi antepone sistematicamente testi datati alla realta’ empirica, sia affetto da disturbo delirante (Delusional disorder).
Ah, ora mi sento meglio :)
Condivido completamente quanto ha scritto ErMejo (a leggerlo mi si è allargato il cuore: girava dentro da giorni anche a me)
Vorrei aggiungere due cose:
Primo: La contradditorietà tra fede e razionalità ha come conseguenza l’impossibilità di dialogo: se penso che i miei argomenti abbiano origine non umana ma divina l’assioma fondamentale da cui parto è che io ho ragione e l’altro ha torto, in quanto le mie ragioni non sono le ragioni mie o del mio popolo, ma sono le infallibili ragioni di dio, che è, ovviamente, l’unico dio vero.
E questo vale per tutte e tre le religioni rivelate. E abbiamo già tre unici dei veri. (Lo so che non è proprio così perché poi questi tre dei sono un po’ parenti tra di loro, ma per amor di brevità si semplifica)
Nel migliore dei casi posso arrivare a una qualche forma di tolleranza: io ho certamente ragione perché penso e agisco secondo la volontà dell’unico vero dio. Ma poiché dio è buono, misericordioso e tollerante, posso concedere ai miscredenti di fare la propria vita e praticare la propria fede. Ma ai miei occhi rimarrano sempre persone che vivono, putroppo per loro, nell’errore, e non posso fare a meno di dispiacermene.
Ottimo risultato (meglio delle crociate e delle conversioni estorte), ma non si chiama dialogo.
Secondo: Secondo me è mancata, da parte di noi agnostici/atei/razionalisti, una seria riflessione alternativa alla fede. Ci sono disagi esistenziali che esistono, non si può far finta di niente. Secondo me è mancata la risposta laica ai bisogni esistenziali, soprattutto al bisogno di sentirsi parte di una comunità. Ecco, questa la sento un po’ come una responsabilità.
Concludendo: grazie a dio sono atea :)
^_^ ..beh, per una mentalità abituata a montagnole di stoffa deambulanti e di diritto d’uso comunque maschile – di origine o di acquisizione che sia – probabilmente anche la visione di un polso o di una caviglia suscita vari desideri “peccaminosi”.. e non è forse anche questa, a suo modo, una sorta di “mercificazione” del corpo femminile?
poi, le religioni – intese in senso ampio ché anche un qualsiasi partito ha un che di religioso – hanno più o meno tutte il comune denominatore “o sei un eletto o sei un escluso”, e fino a negare lo stesso diritto di esistenza degli esclusi a insindacabile decisione del pastorello di turno e della sua particolare visione – o comprensione – di ciò che propaga ai seguaci.
seguaci che, ovviamente, meno lo mettano in discussione più sono i suoi eletti, ovvero i mattoncini stessi del suo potere temporale, cementati dal “credo”.
l’essere umano poi – e da secoli di religioni – è abituato a ragionare a schemi ed a far derivare da questi le sue convinzioni, tanto da non credere neppure all’evidenza quando sia opposta al “verbo” di cui si è convinto, irrazionalmente o per comodità che sia.
il “buffo” è che tutte queste religioni parlano di armonia ma vivono di guerre per affermarsi sopra alle altre e soprattutto per mantenere “calda” la loro singola utopia.
Sì, capisco bene quello che dite. C’è mia figlia che l’altro giorno mi diceva: “Guarda, io non ce la faccio manco a leggerli, i tuoi post sull’islam. Ti sento talmente diversa da me, quando li leggo, che mi fa impressione e preferisco saltarmeli.”
E non è che non ci abbia riflettuto, ché le figlie sono importanti.
E manco vi do torto, neh…
Il mio problema è che, come dire, atea-atea non lo sono. E ci ho provato, eh. Ma poi no: soprattutto quando sono serena, contenta e in armonia con l’universo, io direi una gran balla se mi definissi atea. E, da questo punto di vista, ‘sto Medio Oriente non mi ha aiutato. A essere atea, dico. Tempo fa Julia mi disse che era impossibile uscire da qui tanto atei come all’arrivo. Magari adesso ha cambiato idea, lei, ma io no. E sono cose su cui non è che uno ci possa fare molto, credo. E’ un po’ indipendente dalla volontà.
E poi va anche a momenti, a periodi: non è una roba stabile.
Altra cosa è il discorso clericale, da qualunque credo provenga.
Quello, certo, ha capacità di orrore infinite.
Mamma mia.
Forse ha ragione chi dice che le religioni sono per pochissimi, per persone dotate di capacità spirituali rare, non alla portata di tutti. Quelli, interpreto io, che sono davvero capaci di vivere la pratica religiosa come una disciplina interna, un costante esercizio di superamento dei propri confini. Ma chi è che lo vive così? Nella stragrande maggioranza dei casi diventa automatismo vuoto, raccontino sterile. Perché il grosso del cervello umano scappa, evade e pensa che il presente, l’immediato, diano già abbastanza da fare.
Considero parole sante quelle di un mio amico sufi: “Alla maggior parte delle persone le religioni fanno solo male. Meglio, molto meglio farebbero a lasciarle perdere e a concentrarsi nell’essere persone perbene.” Mica poco, come obiettivo.
Io, insomma, atea non riesco ad esserlo. E poi cerco di essere una persona perbene, ché di più non so fare.
Però, quando dico che l’islam è una religione razionale, so che sembra un ossimoro eppure, senti, non so in che altro modo definire una religione in cui ogni singolo aspetto (quelli seri, dico, non i jinn nel lavello) cela una logica assolutamente ineccepibile, cristallina e tesa a vivere meglio in tutti i versanti: mente, corpo, individuo e collettività.
Poi, certo, chi è che vive secondo logica?
Eppure il discorso che facevo sul Cairo (megalopoli africana di 20 milioni di persone del Terzo Mondo che, invece di scannarsi e stare all’inferno, sono quello che sono perché sono musulmani) regge, obiettivamente.
E regge qui perché, per quanto umani e pasticcioni, vivono un islam antico, maturo, assorbito nei secoli e che si bilancia tra un gruppo e l’altro, tra i vari modi di portarlo avanti. Il risultato di tutto ciò funziona, in qualche modo.
Smette di funzionare, l’islam, a mio parere, quando se ne fa ideologia. Allora sì, genera mostri. E ho fatto un po’ di fatica a rassegnarmi a ‘sta cosa, devo dire. :)
(Vabbe’, dai, non linciatemi. Non so che farci, mi viene così. Non ci posso fare niente.)
(Un unico appunto a Elvi: non sono tre, e manco parenti: è sempre lo stesso, uno solo.)
Credo che nessuno ti voglia linciare. Il bisogno di trascendenza è degli atei come delle persone di fede. Diverso è solo il modo di rispondere a questo bisogno.
Mi torna in mente “Cerimonie”, vecchio libro di Michele Serra. Un tentativo (malriuscito, putroppo) di ragionare sulla trascendenza da un punto di vista agnostico.
Prima di ritrovarmi a pensare che, forse, la Fallaci tutti i torti non li aveva, archivierò l’islam italiano insieme alle cose da evitare, insieme ai testimoni di geova, ai ciellini, ai berlusconiani e a poco altro.
Ma solo più tre cose, e poi me ne vado in vacanza.
Primo: non credo che arriverai a una religiosità come la intendi tu discutendo di smalto per unghie. La polemica è inutile non tanto per l’impossibilità di convincere l’altro delle proprie ragioni, quanto perché i piani del discorso sono diversi e paralleli: non si incontreranno mai.
Santa Caterina da Siena (dottore della Chiesa, mica pizza e fichi!) morì d’inedia a 33 anni perché si nutriva solo di ostie consacrate. Personalmente posso anche pensare che non fosse troppo sana di mente, ma il suo schema logico era perfettamente coerente, e la sua scelta quindi assolutamente comprensibile -anzi, direi dovuta- dal suo punto di vista. Ovviamente non dal mio, che parto da assiomi diversi.
Secondo: sono io che me la sono persa o tu non l’hai mai raccontata per intero, la storia del genio del lavandino? A questo punto sono curiosa.
Terzo, e fondamentale: ma com’era, poi, il plum cake al mango?
Partiamo dalle cose importanti: il plumcake al mango non era niente malaccio, no. Però è il classico dolce da prima colazione, che richiede un cappuccino accanto e così via. Il mango non si discosta molto dalla prugna, mi pare, cucinato. E poi lo si può congelare, tagliato a fette, e metterlo nel tostapane la mattina.
Vale la pena provarlo alla banana, comunque.
La Fallaci dava i numeri. Quelli che, invece, ho scoperto non avere tutti i torti (e non ti dico il dolore, guarda) sono alcuni giornalisti di Libero e affini che seguono le cose nostrane. Sono più informati di quanto credessi, ho dovuto appurare. Del resto è normale: i loro informatori sono nella stessa comunità islamica, detta anche “nido di vipere”.
I jinn nel lavandino: no, non l’ho mai raccontata, ma è che non ho raccontato mai niente. Giusto l’altro giorno, nei commenti, ho un po’ invertito la tendenza.
Comunque è presto detto: la prima volta che scolai la pasta, stando col mio ex, lui cacciò un urlo e mi disse che bisognava aprire il rubinetto dell’acqua fredda, prima di farlo.
Perché altrimenti i jinn si scottavano e poi si vendicavano.
A me venne da ridere e lui mi guardò sorpresissimo, era chiaro che ci era rimasto male.
Mi sono sempre chiesta se ci era rimasto male perché davvero ci credeva, ai jinn che si scottavano, o se perché era abituato a fanciulle più disposte a farsi catturare da ‘ste suggestioni esoticheggianti. Fu comunque l’inaugurazione di tutta una serie di cose un po’ così.
D’altra parte, oltre a non essere superstiziosa, io venivo dall’Egitto, e lì i jinn sono nel bagno, non nelle cucine.
L’idea di situarli in cucina è maghrebina, mi hanno spiegato poi.
Osservai comunque in seguito che il riflesso di aprire l’acqua fredda quando si rovesciava quella calda nel lavandino era assai radicato. Ne ho dedotto che deve essere un modo per proteggere le tubature locali, che probabilmente non sono resistentissime.
Buone vacanze. :)
^___^ ..infatti. è un’abitudine che ho preso anch’io da qualche anno e ti assicuro che i jinn non c’entrano.
è solo che così le guarnizioni del lavello durano di più e meno vapore ti assale.
[che oggi poi anche le tubature, quelle iniziali almeno e il sifone, è facile che sian di plastica]
..sulla Fallaci invece.. lo dirà certamente la storia “se”. secondo me, no.
[del resto, per la sua epoca li dava anche Galileo, i numeri.. Giordano Bruno poi..]
Ciao Lia ho letto qs tuo appassionato post, d’altronde tu sei una donna appassionata.
In tutta risposta a chi: ti attacca, contrasta solo pe amore di polemica, nn ti rispetta nel tuo essere unita’ pensante,e che pensiero ragazzi….
Qualche anno dopo, a un tale che gli rinfacciava di aver falsificato il denaro, Diogene rispose:
“Il fatto e’ che un tempo io ero come tu sei ora:la differenza e’ che tu nn sarai mai come sono io ora ”
Da :Rido ergo sum (P. G.Calero)
Avete ucciso il romanticismo con sta storia delle guarnizioni,i Jinn ve la faranno pagare,cattive
Negli Emirati, quando buttano l’acqua bollente nel lavello, si limitano a dire “bismillah”, senza aprire l’acqua fredda. Paese che vai, usanza che trovi…
Ciao Lia,
sono quella dell’anatema che ti scrive dopo una settimana di vacanza, ahimè non ad Iskandreja! Ci sei mai stata ad Iskandreja? E’ molto mediterranea, c’è il mare, il cielo è sempre terso e il vento dal mare di coccola… se io fossi a due ore di macchina ci andrei subito a respirare un pò di mediterraneo.
A parte Iskandreja e il Mediterraneo ti voglio chiedere una cosa, come fai a fare un paragone tra i mussulmani egiziani per esempio, e quelli italiani? voglio dire come puoi pensare che in Italia, paese che tu conoscereai bene, perchè è anche il tuo paese oltre che il mio, a credere che un mussulmano italiano possa vivere l’Islam come uno che l’Islam lo vive fin da bambino in un paese per lo più islamico.
Lia non serve parlare della religione per rilevare che tra Egitto ed Italia vi è una differenza socio-culturale pazzesca, che fa dell’Egitto un paese pluralista e aperto. Mentre l’Italia purtroppo non lo è per niente. Io da cristiana non sono mai stata giudicata in Egitto. Mentre qui da mussulmana lo sono.
Capisci che cosa voglio dire. In Egitto nessuno ti giudica per qualcosa (a parte nei piccoli paesi), è un paese talmente etorogeneo che sarebbe impossibile, certo ciò non vuol dire che non accada.
Mentre qui se non sei omologato agli standard occidentali, tutti ti guardano male. Tu pensi che il problema sia indossare lo smalto… guarda magari lo avessimo qui questo problema, vuol dire che saremmo avanti parecchio. In realtà qui i problemi sono altri. Che la comunità islamica, probabilmente è ancora troppo piccola e dissipata per fare effettivamente comunità, per fare pensieri comuni che si confrontano e creano mattoncini. Ci sono mussulmani italiani ed arabi che hanno paura di promuovere delle iniziative. Come saprai l’Islam è varigato anche in Egitto, può essere vissuto e percepito in cento miliardi di modi. E tutti questi modi, grazie anche alle grandi famiglie fanno comunità, e sono un ammortizzatore sociale per quelle realtà che non sono serene (poveri, disabili, ragazze madri, mogli sfigate). In Egitto a me è capitato di vedere egiziane in bichini, donne con l’hijab che abbinavano jeans stretti o vestiti tipici, così come si vedono anche tanti niquab… certo che li non li hanno i problemi che abbiamo noi.
Mica perdono il posto di lavoro se mettono l’hijab, mica ricevono insulti dalle famiglie se mettono l’hijab… e sono libere anche di vivere con laicità l’Islam (questo però a seconda delle famiglie).
Alla fine Lia, posso anche essere d’accordo con te per certi versi, certo non con il misero manifesto dello spaghetti islam, che è semplicemente offensivo e riduttivo. Io non mi ci vedo, così come non ci vedo dentro altre persone che conosco. Prendilo pure come anatema settario se ti piace, ma non è così. E’ la mia opinione, di una mussulmana italiana che ha avuto per pochi mesi la possibilità alhamdulillah di indossare l’hijab a lavoro e di pregare. Allora ero serena, oggi no purtroppo, perchè vengo meno a due cose a cui tengo e ritengo importanti… insomma cara Lia alla fine, all’inizio e pure nel mezzo ci si sta male quando si viene meno a ciò a cui si crede con tutto il cuore… è lecito?! oppure devo chiedere il permesso a qualcuno!?
Alla fine Lia il TU SEI FUORI se permetti è leggittimo perchè hai voluto parlare di noi mussulmani italiani e non della religione.
Se pensi che io sia un ostacolo alla tua fede nell’Islam cara mia (te lo dico affettuosamente habebti) ti sbagli di grosso.
Qualche post più recente, quello relativo alla donazione degli organi da copti a mussulmani ne è la palese dimostrazione di come l’uomo sia imperfetto e suscettibile alle proprie debolezze. Lo dice anche Allah l’Altissimo nel Corano. Il parere dei medici contro il parere dei sapienti di al-Azhar. Come vedi Lia abbiamo sempre da imparare.
Se il tuo cuore vuole l’Islam apri il Corano, se puoi in arabo, e leggi, e non ti curar di noi.
ayah
ops… ho dimenticato una cosa. Secondo te che cosa dovrebbe fare un mussulmano italiano, per non chiudersi nell’ampolla… abbandonare l’Islam, e limitarsi solo a credere che…?
A me questa ipotesi non piace, preferisco pensare che un giorno se Dio vorrà e se sapremo far bene cercando di non camuffarci per compiacere chi non ci vuole, alla fine un pò di libertà l’avremo anche qui.
Umm-ed-dunia per ora è un sogno.
scusa ayah, ti riferisci all’Egitto e dici “certo che li non li hanno i problemi che abbiamo noi”, intendendo come problemi quelli di poter mettere una stoffa in testa per andare al lavoro e potersi fermare a pregare. Davvero pensi di essere tanto sfortunata a vivere in uno stato ed in una società “repressiva” che non ti permettono di esprimere la tua fede? sai che se vivessi in uno stato a maggioranza musulmana, in una società musulmana “tradizionale”, o ancor di più in uno stato “islamico” (tipo Iran, Arabia Saudita, Golfo)
1. se decidessi di convertirti ad un’altra religione (come hai fatto tu in piena libertà) lo stato ti perseguiterebbe, la società anche, e nella maggioranza dei casi la famiglia pure, ti dovresti nascondere o saresti costretta ad emigrare
2. saresti COSTRETTA a vestirti in un certo modo e a seguire le prescrizioni religiose, che tu lo voglia o no (dici che qui in Occidente sei costretta a conformarti al modello di donna “occidentale”, ma a parte la pressione psicologica, qui sei libera di scegliere e di cambiare, di approfondire e mettere in dubbio ciò che non ti piace, mentre là se un ciuffo di capelli esce dal velo ti caricano su un furgone e ti portano in questura, un po’ diverso, non trovi?)
3. vivresti in uno stato totalitario dove vige la censura, lo stato controllerebbe ciò che leggi, scrivi e pensi e certo non potresti andare in tutta libertà in libreria a comprarti una bibbia (in aramaico con sottotitoli, grazie)
4. in più, il problema di andare al lavoro con o senza hijab sarebbe un lusso, in quanto già il fatto di poter trovare un lavoro soddisfacente con la crisi economica e le difficoltà per le donne sarebbe un miracolo
detto ciò, ti senti ancora così sfortunata ad essere una musulmana in Italia?
(è uno spunto di riflessione, senza intenzione di offendere, e che la pace sia con te)
e altri esempi: immagino che tu abbia sposato un musulmano, probabilmente straniero, per poter condividere la tua fede con lui; beh, immagina essere un’egiziana-iraniana-saudita e decidere di sposare un cristiano-buddista-sikh-indù per poter vivere in pieno la tua religione.. qui il massimo che ti può succedere è che la famiglia e gli amici ti si rivoltino contro, là invece sei considerata una apostata, traditrice, (della religione, della famiglia, dell’identità etnica) e rischi seriamente la vita.
Pensa poi se una donna volesse in quei paesi andare a lavorare in minigonna..credi che sarebbe possibile?
Salaam ti darò una risposta breve… a me non interessa nè andare in lavoro in minigonna è nè vivere dentro il niqab… sto bene assai con l’hijab e con un abbigliamento consono… per il resto ringrazio Dio ogni giorno di non avermi fatto nascere in un paese, dove si fa la fame di cibo e di acqua e di libero pensiero.
Riguardo l’Arabia, non c’entra niente con la maggior parte dei paesi del golfo che sono molto evoluti e ci puoi trovare di tutto ed anche di più.
Riguardo altre realtà: tristi, come l’Afghanistan penso che ci sia ben poco da dire. E’ uno di quei paesi che non può esser preso come termine di paragnone nei confronti di tutti quei paesi che grazie a Dio sono nati e vivono in una parvenza di civiltà.
NOn so se mi sono spiegata.
ayah
Non ho mai parlato di Afghanistan, che è un esempio estremo, ma di società islamiche e arabo-islamiche; non mi hai risposto sulle domande che ti ho fatto. Io ti ho chiesto: credi che sarebbe possibile per una donna di condizione media che vive in una società islamica (Maghreb, Golfo, Iran, Turchia, ecc), decidere di cambiare religione, vestirsi in modo diverso dal modello che la società impone, sposare un marito straniero e di fede diversa, e andare in giro a fare propaganda di tutto ciò, come fai tu in Italia? o non trovi che sia una prerogativa dei paesi laici, democratici e pluralisti come il nostro (con tutti i suoi limiti e difetti e storture) che consente all’individuo la libertà di esprimersi e di cambiare il suo modo di essere? non dovresti forse essere grata a questo stato che ti consente di essere ciò che sei?
Veramente salam neanche io avevo mai parlato di Arabia Saudita… tu l’hai fatto… io stavo patlando di Egitto ed Italia.
E una domanda l’avevo fatta anche io che cosa deve fare una mussulmana italiana o straniera che vive in Italia e vorebbe vivere una vita normale e invece si trova ad essere discriminata…. che cosa deve fare per non finire nell’ampolla, abbandonare per forza la sua religiosità?
Stiamo parlando dei problemi dei mussulmani italiani non dei mussulmani di altri paesi. Mi sembra di aver scritto sopra che ringrazio Dio ogni giorno di avermi fatto nascere in un paese dove non mancano cibo ed acqua e dove esiste il libero pensiero… meglio però che in certi casi resti solo pensiero (aggiungo ora).
ayah
p.s. in ogni caso salam i paesi arabo- mussulmani sono talmente varigati che non si può generalizzare.
Ad esempio in Egitto ne vedi di tutti i colori, da ragazze in bikini a donne nel niqab.
La maggior parte dei paesi del Golfo, esclusa la maggior parte dell’Arabia (Jedda a parte) sono pieni di stranieri che vivono e lavorano lì.
Ci sono posti che sembrano l’America in una versione talmente… non so che cosa dire, diciamo surreale, da sembrare delle ricostruzioni. Molti investimenti occidentali si stanno spostando proprio lì.
E poi ci sono altre realtà, quelle delle colonizzazioni… o delle guerre recenti.
Per non parlare di tutti quei paesi che sono in guerra e vivono la miseriea.
Poi gli altri quelli più ad oriente non li conosco molto… si dice che siano molto ortodossi al limite dell’estremismo, così dicono i media. Io ho il benzinaio del Bangladesh che conosco ormai da tanto che mi sembra proprio una bravissima persona.
ayah