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Qui siamo convinte da tempo che molte delle categorie con cui si è interpretato il mondo da sinistra e dal femminismo ci abbiano lasciato un po’ tutti a metà del guado, a rimuovere fin troppe domande e a non voler vedere le prove di realtà che il femminismo non ha superato. Non è un caso che qua siamo state tanto attratte dall’islam – compresa la sua attenzione alla valorizzazione delle differenze di genere – e che i discorsi alla Risé sul maschile e il femminile ci abbiano a lungo intrigato, ché di sicuro erano una sfida su cui riflettere, almeno fino a qualche anno fa, quando questi non aveva ancora sbracato nell’ostentata destraggine di oggi.

Poi, si sa, questi sono giochi che richiedono equilibrio: accettare delle sfide intellettuali è un conto, scivolare nelle categorie dei postfascisti è un altro. E siccome i postfascisti si sono fatti abili, usano linguaggi apparentemente condivisibili quando vogliono, appunto, convincere, e hanno per nemici un sacco di brutti tipi che non piacciono manco a noi, può succedere che qualcuno finisca col domandarsi: vabbe’, ma tutto sommato cosa c’è poi di così infrequentabile in questi postfascisti?

C’è di infrequentabile che, se appena si distraggono un attimo, ti mostrano un immaginario che è una latrina, e pardon my french. E, in genere, si distraggono quando parlano di donne, appunto.

Qui sotto c’è il solito Martinez (scusate se sono ripetitiva, ma ognuno ha i suoi postfascisti di riferimento e io non me la sento di ampliare il mio ventaglio) che così spiega come mai Berlusconi arruola Carfagne e compagnia:

Attorno a sé, Berlusconi crea un’oggettiva atmosfera di bellezza e giovinezza. Ma non può essere una bellezza virile, adatta ai tempi storici delle grandi mobilitazioni e del culto del sacrificio, tipico di tutto il Novecento.
Siamo nell’epoca dell’intimità televisiva e del coccolamento narcisista.

La tremenda immagine del femminile imposta e rispecchiata dal dominio maschile la conosciamo tutti: le donne sono giovani e belle o non sono. Ancheggianti, inaffidabili, portatrici di astiosi pettegolezzi, vittimiste, indisciplinate, lagnose, simpatiche e briose, rifiutano lo sforzo fisico perché ci si possono rompere le unghie, bugiarde, sensation seeker, incapaci di concentrarsi, se ne fregano dei grandi temi ma si legano al dito ogni piccolo torto personale, per uscire da ogni problema sbattono le palpebre al primo uomo che passa, insieme asservite e manipolatrici, ombelicali, alla perenne ricerca di frivolezze e piccoli piaceri. Prive di profondo essere, sono dunque pura immagine.

Il tutto sintetizzato poco più in basso con riferimenti a “la puttana“, le “troiette” e via dicendo, con qualche rimando a un libretto che gli serve a rendere meno personale un discorso che, si sente in ogni riga, è tutto suo e gli viene da lontano. Dai tempi della separazione maschi-femmine che vigeva in Nuova Acropoli, suppongo.

E sembra di vederlo mentre, partendo da presupposti razionali e logici, si va via via scaldando, emozionando, adirando e finisce con lo sbracare in una confessione di odio per ciò che qualcuno chiamerebbe l’Eterno Femminino e che – è evidente – è suo nemico personale e lo turba molto al di là di Berlusconi e delle Carfagna di turno.

Tutta ‘sta vomitata non ha nulla dell’analisi sociologica e non descrive niente se non l’immaginario di Martinez stesso. Pure un po’ buffo, poi: “incapaci di concentrarsi“?? Ma che c’entra? Boh.

E infine:

Il femminismo ha fatto un lavoro straordinario e benemerito di critica a questa costellazione.

Eccerto: le ha rimesse tutte in riga, ‘ste sgallettate, insegnando loro a farsi crescere i baffi e a tagliarsi le unghie ben corte, in modo da potere zappare senza problemi. E’ fatto apposta, il femminismo, come no: tutte troiette erano le donne, prima che apparisse. Poi siamo diventate tipe serie, coi capelli coperti e dotate di un solo marito davanti a cui tacere (sennò magari ci scappa la bugia e la manipolazione) mentre zappiamo l’orto. Ah, no, scusa, quello è lo spaghetti-islam. Dicevo, io, che notavo qualcosa di familiare nel femminismo alla Martinez.

Il femminismo diventa quindi un fattore disciplinante dell’infida natura femmile, secondo Martinez. Non un movimento di rivendicazione di diritti e libertà individuali (compresa quella di viverci festosamente la sessualità come ci pare) ma un raddrizzamento culturale operato su una natura difettosa e manchevole. Un movimento di autocritica, praticamente. Il cui risultato finirebbe con l’essere una divisione del mondo in puttane vs. femministe, versione politicamente corretta delle spose d’antan. Pensa te.

Tutto questo proviene, come spesso accade, da un signore che molti considerano curiosamente “femminile”, nel suo modo di essere.

Perché risulta abbastanza naturale (qui, per dire, ci è capitato di doverlo fare) descrivere il Martinez stesso come inaffidabile, portatore di astiosi pettegolezzi, vittimista, lagnoso, refrattario allo sforzo fisico, bugiardo, sensation seeker, apparentemente presissimo dai grandi temi ma in realtà pronto a legarsi al dito ogni piccolo torto personale, per uscire da ogni problema sbatte le palpebre alla prima organizzazione totalizzante che passa, insieme asservito e manipolatore, privo di profondo essere e in perenne costruzione della propria immagine. Tu pensa che coincidenza.

Martinez, temo, riflette sulle “femmine” un po’ di magagnette che, altrimenti, lo costringerebbero a spaccare lo specchio.

E a rischiare di rompersi un’unghia, e lo vivrebbe malissimo.