(Un po’ di blabla ombelicale mentre mi fumo la sigaretta del post-polpo alla Luciana e cerco di raccogliere le forze per andare a votare Sinistra e Libertà, e non ditemi niente.)

Allora, la scena è questa: ci sono io, ospite assieme ad altra gente nella casa al mare di un amico di SSG. E c’è la tavola apparecchiata, la conversazione leggera del caso e si parla di vacanze estive, io dico che ho già il biglietto per l’India con scalo a Dubai e uno degli altri ospiti mi dice che lo ha preso anche lui, tempo fa, quel volo, e allora io gli chiedo se ne ha approfittato per vedere anche Dubai, già che c’era, ché è quello che vorrei fare al ritorno dall’India.

E lui, a sua volta caro amico di SSG, fa una smorfia e mi comunica: “No, io nei paesi arabi non ci vado. Non è che sono razzista, ma mi fanno schifo a pelle.

Gli ho chiesto quali paesi arabi avesse conosciuto, ché speravo ci fosse un motivo concreto dietro tanta affermazione. Nessuno, non ne aveva conosciuto nessuno. Gli bastavano e avanzavano gli arabi che vedeva a Genova. E allora io ho iniziato la ritirata da ‘sto discorso spaventoso ma lui insisteva, e quindi gli ho ricordato: “Guarda, io in un paese arabo ci ho vissuto, amo moltissimo quel pezzo di mondo e non sono la persona giusta per questi discorsi“. Ma niente,  lui insisteva ancora, e nell’enfasi antiaraba si è pure alzato, a un certo punto, per dire non so cosa sullo schifo e così via.

E io intanto mi chiedevo, tra me e me, che cavolo di destino è mai il mio, che pare che basti sentire il mio odore per risvegliare il mostro islamofobo nella gente più insospettabile, e soprattutto come diavolo avrei fatto a sopravvivere alla situazione, in una casa non mia e tra carissimi amici di questo mio improbabile fidanzato, Signore Molto Perbene, con tutta la valenza di conformismo alla genovese che può esserci nel termine.

E’ da molto tempo che porto avanti una specie di disintossicazione dall’islam e dai suoi annessi e connessi, e non mi mettevo alla prova sull’argomento da un pezzo.
Be’, la mia ipersensibilità sul tema è rimasta tale e quale, ho potuto comprovare, mentre deglutivo per soffocare le lacrime di impotenza, disgusto e affetto per l’Egitto che mi venivano su mentre guardavo quell’orrido essere che vomitava razzismo.
Perché ti passa tutto davanti agli occhi, di fronte a una scena simile: le facce di tanti arabi a cui devo qualcosa, fosse anche solo una risata. L’ingenuità dei miei ex studenti, la mia felicità di quando vivevo lì, l’ospitalità, le cose scoperte e imparate. La mia gratitudine. La marea di gratitudine che sento, che sentirò sempre, per quel pezzo di mondo che mi ha fatto da madre per una fetta della mia esistenza.

E la mia stessa vita, appunto: tanti anni, tante cose scritte, tanto coinvolgimento, cose belle e brutte accadute, tanta fatica, tutta quella passione, l’amore.
E poi vedermi, come da fuori, in una veranda da qualche parte a condividere la tavola col proprietario razzista di un bar di via Cesarea, che vorrebbe che gli dessi ragione mentre mi dice che gli arabi gli fanno schifo a pelle.
Che diavolo ci facevo, io, là?

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Non ho fatto i bagagli perché non volevo mettere in difficoltà SSG, né l’incolpevole padrone di casa.
Ho taciuto.
Ho aspettato pazientemente che finisse il weekend evitando altri contatti con l’abominevole razzista.

E poi sono stata comunque sgridata, ché SSG mi ha accusato di avere cambiato umore, da quel momento, e di essermi isolata, e che insomma, un po’ di senso dello spirito, che sarà mai qualche battuta infelice del suo amico e perché mai prendo così sul serio queste cose.

E mentre mi sgridava, SSG, mettendo nel suo discorso anche qualche commento sulla scarsa igiene degli arabi e su un mio presunto fondamentalismo islamico, mi sono resa conto che il mio giro turistico in questa Genova tanto perbene era finito, e che scendevo dal tram.

E’ stato bello, ricorderò quest’uomo con affetto, sono curiosa di sapere come sarà il prossimo.

Intanto mi godo la mia prima domenica di assoluta libertà da diversi mesi a questa parte, e mi sento un po’ come mi sono sentita sempre, come mi sento da quando sono nata: come una che ha fatto qualcosa di male, che non sa bene cosa sia né quando sia successo, ma che, sotto sotto, è contenta di averlo fatto.

Una ci prova, a diventare una brava bambina. Poi il karma la tradisce.