Non posso fare a meno di guardare l’India paragonandola all’Egitto, ché le somiglianze sono talmente tante che non puoi non notarle ogni minuto. E quindi, per forza di cose, finisci col vedere le cose che non si somigliano in termini di differenze tra i due paesi, anziché come caratteristiche proprie, e il risultato è che non sono mai completamente qua. Una parte di me è in Egitto, mentre gira per Madras.

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Intanto, sono rimasta profondamente sconcertata al mio primo tentativo di comprare le sigarette. Perché non riuscivo a capire dove le vendessero e, quando poi ho cominciato a intravederle dietro le vetrinette di certi chioschetti del tè, i pacchetti non erano mai più di tre o quattro e le marche erano ignote, e io chiedevo la Marlboro e loro mi guardavano strano.

E alla fine ho capito – ma ce ne ho messo, per capirlo, ché il mio cervello si rifiutava di prenderne atto – che qui il tabacco americano non lo trovi, se non in pochissimi posti e con etichette arabe o da duty free, e che in giro trovi quasi solo tabacco inglese, oltre che locale, e che – per farla breve – ti devi fumare le Benson & Hedges.

Le Benson & Hedges, e solo chi fuma può capire la portata del mio smarrimento.

Non solo: le benedette Benson & Hedges te le puoi fumare, appunto, ma solo per strada.

Perché in India è proibito fumare letteralmente dappertutto, compresi i posti all’aperto. Nel senso: sei in un bel giardino di un bel bar seduta ai tavolini, e non puoi fumare. Devi alzarti dal tavolo e, assieme ad altri tossici come te, raggiungere dei posacenere appartati davanti ai quali si rimane in piedi, ché il povero fumatore da bar/ristorante non ha diritto manco a uno straccio di panca, e non ti dico il mio sconcerto.

Perché una tende ad associare il divieto di fumo a contesti e regole tendenzialmente asettiche, a una modernità salutistica e ricca, e fai una fatica immane a rassegnarti a non poterlo fare in mezzo al caos dell’India, tra i fumi delle macchine e tutto l’insieme sgarrupato e l’afa, il casino, gli odori e i colori e questo tripudio di umanità dove però tu, e forse solo tu, sei continuamente richiamata all’ordine e devi controllarti e non puoi fumare. Nemmeno ALL’APERTO.

Altro che Egitto.

Il mio sconcerto non ha limiti, davvero.

Sono molto severi anche sull’alcool, con buona pace di chi associa il proibizionismo alcoolico ai paesi arabi, e bere una birra in India è più difficile che farlo in Egitto. Perché anche qui, come in Egitto, i posti in cui puoi farlo sono abbastanza contati. Ma, a differenza dell’Egitto, qui non puoi piazzarti nel bar – una volta che lo hai individuato – e rimanerci fino a quando ti pare (e fumando). Qui, oltre a non farti fumare, ti permettono di bere fino alle 23,30. E poi basta, poi si chiude.

Come nei pub inglesi dove andavo da piccola, uguale.

Coprifuoco.

Altro che Egitto, appunto.

E, quindi, succede che sono in un paese apparentemente caotico ma, in realtà, molto disciplinato, e questo paese è l’India. E mi chiedo come sia possibile tutta questa disciplina nel casino apparente che mi circonda e mi rispondo che forse è la differenza tra Africa e Asia, questa. L’Asia è in stretto rapporto con la disciplina, si sa. Oppure è la differenza tra Mediterraneo e resto del mondo, chennesò, e quindi qui le prendono sul serio, le regole, e non c’è manco nessuno che voglia fare il simpatico a tutti i costi, come tra Napoli e l’Egitto e il Mediterraneo tutto, e sono anzi molto seri, questi indiani che vedo a Madras, gentilissimi e ottime persone e tranquilli e ospitali ma molto seri, e molto impegnati a farsi pacificamente gli affaracci propri.

In Egitto gli stranieri hanno una sorta di bonus che gli consente di fare ciò che gli pare, capricci inclusi. Qui, mi sa proprio di no.

Mi sento un po’ come se l’India volesse fare di me una personcina ammodo, e – come dire – mica me lo aspettavo.