L’antefatto:

Pupina e il suo fidanzato Israel decidono di comprare casa. La trovano, nel centro storico della città spagnola in cui vivono, firmano il contratto e danno inizio ai lavori di ristrutturazione. Questo, una settimana fa. Sabato scorso passano – lei, il fidanzato e un’amica comune – sotto ‘sta futura casa e, nella strada accanto, c’è un ragazzino che sta picchiando un gatto.

lingua

Il fatto:

Il ragazzino avrà 14 anni, è piccoletto e visibilmente gitano. Hai presente i gitani spagnoli? Stanziali in Spagna da secoli, creatori di ogni folklore e portatori di uno storico brutto carattere e di regole etiche molto specifiche, diciamo così. Gente fatta a modo suo. Gitani, insomma.

Mia figlia, del tutto indifferente alla specificità gitana di cui sopra, parte decisa in difesa del gatto e insulta pesantemente lo zingarello: “Subnormal de mierda“. Lo zingarello si offende e le risponde per le rime. E poi ancora. E poi ancora. E poi ancora. Il gruppetto di mia figlia vorrebbe allontanarsi ma lo zingarello è proprio furioso e non smette di seguirli e di insultare la mia soave creatura. Arriva a chiamarla “Chupapollas!”, insulto greve che non andrebbe mai rivolto a una giovin signorinella e, a questo punto, il fidanzato Israel reagisce, essendo isso spagnolo y muy spagnolo, e stampa lo zingarello contro un muro, attento a non fargli male ma deciso a farlo stare zitto. Allo zingarello viene una crisi di nervi: “Questa è la mia strada! E’ il mio territorio! Tu mi hai toccato e sei morto, adesso chiamo tutti i miei parenti e ti faccio uccidere!!” e comincia a suonare a tutti i citofoni gridando aiuto e convocando l’intera comunità gitana del centro storico.

Scende la nonna dello zingarello. Discutono, lei fa per portarselo via, il fidanzato di Pupina si distrae un attimo e, in quel momento, sbang: lo zingarello prende un bastone e lo fa calare con tutte le sue forze sulla crapa di Israel, il quale cade a terra di spalle sanguinando come l’urna di san Gennaro. E, una volta a terra, si ritrova con lo zingarello che – sempre armato di bastone – conclude l’opera e, nonostante la differenza di età e di forma fisica tra i due, ne fa polpette. In ospedale, dove lo portano in ambulanza, il bilancio sarà di sei punti in testa, una costola incrinata e contusioni varie. Tutto questo lo apprendo in diretta, raggiunta dalla telefonata di mia figlia in piena crisi di nervi quando me ne stavo mollemente adagiata sulla spiaggia di Finale Ligure.

faca

Le conseguenze:

Il ragazzino viene fermato dalla polizia, portato davanti al giudice dei minori e condannato per direttissima a sei mesi di servizio sociale. Mia figlia e Israel decidono che non ci vogliono abitare, nella casa accanto a quella del gitanello che per poco non li ha fatti fuori e che di sicuro non vede l’ora di completare l’opera, magari con l’ausilio della famiglia tutta, e vanno all’agenzia immobiliare per rescindere il contratto e cercare un’altra casa in una zona diversa. Vengono accolti anche con una certa comprensione e si stabilisce che non dovranno pagare la penale e che rimborseranno solo i lavori di ristrutturazione fatti fino a quel giorno.

Siamo tutti molto dispiaciuti, ovviamente, e anche un po’ dubbiosi: mio padre ed io pensiamo che si potrebbe cercare di risolvere la faccenda con qualche metodo di diplomazia gitana in modo da tenersi la casa, ma i ragazzi non ne vogliono sapere. “Io non posso vivere in un posto dove, ogni volta che rincaso, mi devo assicurare che non ci sia il gitano con qualche cugino sotto al mio portone. E’ un miracolo che non gli abbia rotto la testa, a Isra. Quello è pazzo, non voglio averci a che fare.”

Io, tra me e me, penso che non tutto il male viene per nuocere: mia figlia è terribilmente linguacciuta, quando vuole, e mi sono chiesta spesso come mai nessuno le abbia mai dato due sberle fino ad ora. Il fatto che si sia messa a litigare con un gitano mi pare un errore strategico di portata notevole e sono persino stupita che non sia saltato fuori qualche coltello. Poteva andare molto, molto peggio. “Le servirà di lezione e imparerà“, penso, ché questo lato del carattere della mia bimba mi ha sempre dato delle preoccupazioni. E rifletto – non per la prima volta – sulla mancanza dell’istinto di segnalazione-pericolo che sembra caratterizzare mia figlia e, con lei, un po’ tutta questa generazione di ragazze cresciute in città come Milano e convinte che al mondo ci sia un modo giusto di comportarsi che si contrappone a un modo sbagliato, e che il solo fatto di avere ragione le protegga da ogni pericolo. La donna del Sud che è in me la rimprovera assai, la Pupi, e per una serie di motivi che – me ne rendo conto – sono difficili da teorizzare a una ragazza della sua generazione.

Che non si litiga con gli sconosciuti SOPRATTUTTO se sei con un uomo, per esempio. Che, se proprio devi, litighi da sola e non metti nessuno in condizione di doverti difendere. Perché, non ci sono santi, se sei una donna e ti ritrovi davanti un tizio aggressivo, è difficile che le cose trascendano oltre il paio di sberle, rigorosamente da prendere e portare a casa. Se sei con un maschio si trascende, invece. E se gli rompono la testa, al tuo fidanzato, è colpa tua che lo hai messo in condizione di doverti difendere, appunto.

Io non lo so: queste cose me le diceva da bambina quel concentrato di maschilismo che era mia nonna. Avevo sette anni quando mi raccontò di una signora per cui due tizi avevano litigato e uno era morto e l’altro era finito in galera e ancora ricordo il tono di disprezzo con cui mia nonna mi spiegava che era tutta colpa di lei, della signora, e che una donna non mette degli uomini in condizione di finire così. Sono passati 40 anni e ancora me lo ricordo. Ed era una strano maschilismo, il suo: un maschilismo che riconosceva alle donne un notevole potere ed imponeva loro di gestirlo con estrema prudenza, di responsabilizzarsene al massimo.  Codici di comportamento del sud Italia di 40 anni fa, ma ancora utili assai. E mi stupisce sempre che mia figlia manco ci pensi a ‘ste cose, e quindi ho pensato, tra me e me, che magari stavolta imparava e che da una vicenda spiacevole poteva venirne fuori una lezione positiva, buona da investire per il futuro.

Conclusione:

Appreso che il conto per i lavori ammontava a 4400 euro che doveva risarcire in totale perdita, mia figlia ha preso i piedi ed è andata, senza fidanzato, nella strada dei gitani alla ricerca del patriarca (sì, c’è un patriarca) per parlamentare e proporre un armistizio.

Arriva, trova due gitani, chiede del patriarca e spiega chi è. I gitani si incazzano da morire: “Tu?? Tu sei quella per cui quel povero bambino nostro ha passato tanti guai??? Ma se l’avessimo visto, il tuo fidanzato che lo spingeva contro un muro, saremmo scesi con i coltelli e lo avremmo ucciso, è ovvio!!!”

E come reagisce la soave bambina in visita diplomatica in territorio zingaro due giorni dopo avere visto il sangue? Si mette a strillare come un’aquila. Già. Che lei ha ragione, che loro hanno torto, che il suo fidanzato non ha fatto niente, che il loro bimbo è un pazzo furioso e che “Anche se siete zingari dovete ragionare non poteeeeete essere irrazionaaaaaaaaali!!!!!!

Io non lo so.

Quando me lo ha detto mi sono dovuta stendere.

Per farla breve: alla fine di molte discussioni, urla e pianti e drammi vari, i gitani si sono placati e le hanno detto di non preoccuparsi di niente, che la proteggono loro. Si sono persino salutati con due baci.

Tutto è bene ciò che finisce bene? Col cavolo.

Mamma, io non la voglio la loro protezione. Non concepisco che mi si debba proteggere, non voglio vivere accanto alla camorra. Che roba è?? Pago i 4400 euro pure se non ce li ho. Ce ne andiamo in un’altra zona. Quelli ragionano solo con l’istinto, io ho bisogno di vicini razionali. Non ci voglio avere a che fare, con ‘sti codici. Ma ti rendi conto che erano indignati perché io avevo sgridato un ragazzino per difendere un animale, cosa per loro inconcepibile? Sono matti, io non ci sto.”

E io: “Va bene, ma tu non puoi pensare che il mondo funzioni in base a categorie di giusto o sbagliato uguali per tutti. Io mi sentirei tranquilla dopo una promessa di protezione, tu invece ti indigni perché volevi che ti dessero ragione. Non funziona così.

Sì, mamma, ok. La teoria la conosco, lo so cosa vuoi dire. Ma non sono capace. Ero andata lì decisa a mordermi la lingua e ho finito con l’urlare, invece. Non riesco a metterla in pratica, la teoria. Divento matta. Io sono cresciuta a Milano, sarà questo. Me ne vado in un’altra zona e amen.”

E io, ok, capisco. Ma mi sembra così strano, così contro la genetica, così profondamente bizzarro avere una figlia per tanti versi così diversa da me… Cos’è? La diversa provenienza geografica, la diversa generazione, un temperamento semplicemente diverso, che roba è? A me avrebbe fatto piacere scoprire un margine di pace con gli zingari. Mi avrebbe intrigato, la cosa. Mi avrebbe deliziato l’offerta di protezione. Lei rabbrividisce, invece.

Non lo so cos’è. Non credo nemmeno che una di noi abbia torto e l’altra ragione. Io forse sono meglio equipaggiata per certi aspetti della vita di quanto non sia lei, e lo sono fin da bambina. In compenso, se tutti ragionassero come mia figlia la camorra si estinguerebbe per mancanza di adepti e di carisma.

Non lo so. So che la guardo, certe volte, e penso: “Boh.”