(E’ solo un gioco e non un fuoco)
Ma mi spieghi cosa ti è venuto in mente, o Scratte, nel momento della transizione di lui da me a te, di pronunciare la frase: “Dammi l’indirizzo del blog di Lia. Voglio capire bene.”?
Non sono stupita, bada bene: sono una donna, sei una donna, con quella frase sei tutte noi. Vale la pena di capirlo proprio per questo, cosa diamine ti è venuto in mente. Capire quali meccanismi scattino nella testa di una donna che, quando tutto nasce, invece di essere felice decide di soffrire, di fare male se può e di farsi male quando sarà il momento. Sempre in guerra contro se stesso, il mio sesso. Una manica di pazze.
“Dammi.” Imperativo. Non “Mi puoi dare?” “Mi daresti?” “Ti scoccia se ti chiedo?”
No. Dammi.
Molto generoso e molto protettivo deve essere un uomo, per salvarti da te stessa nonostante la minaccia implicita di un simile imperativo: “Sennò dovrai spiegarmi per i prossimi mille anni perché non me lo dai.” Mille secondi bastano e avanzano come minaccia, per l’uomo medio. E’ fatica. E’ battaglia. E’ amore di tempra forte, dire: “No, e non chiedermelo mai più.” L’uomo medio ha tante virtù, ma non quelle che ho appena elencato.
E quindi ti sei trovata un osservatorio sui miei pensieri, venendotene qua sopra, come se nei pensieri ci fosse più verità che nella realtà. Come se ne avessi potuto trarre un qualsivoglia vantaggio su dei nemici immaginari.
Perché, insomma, io capisco che si possa cascare sui fatti privati del proprio uomo. Ma affacciarsi anche su quelli della sua ex denota una smania di controllo che va oltre i pur elevati standard femminili. Ma razionalizza, santo cielo: cosa ti aspettavi che ne venisse fuori? Cosa avrei dovuto fare io, a quel punto?
(Scenario 1: io non so niente, scrivo qui tranquilla, e ogni riferimento a SMP – pure il più innocente, o il più turpe, o una fantasia, una nostalgia, una risata – passa per il vaglio del tuo Ufficio Controlli che, immancabilmente, chiederà spiegazioni al pover’uomo che continuerà masochisticamente a mantenere il segreto nonostante la follia della situazione.)
(Scenario 2: il pover’uomo me lo dice alla prima occasione, che tu hai voluto l’indirizzo del mio blog, e una parte di me – reale, irreale o potenziale – deve censurarsi per i secoli dei secoli. Manco un cinema potrei più raccontare, se capitasse. Non senza prima avere chiesto il permesso a lui che, magari, lo chiede a te. Manco un incontro casuale, manco uno sfogo occasionale, assolutamente nessuna tenerezza, che ce ne siano in carne-ossa e letto o che capitino solo tra i pensieri. Perché tra i pensieri non c’è gerarchia, sai? Il reale e il sognato pesano nello stesso modo, o non pesano.)
Questa, Scratte, è da anni e anni la mia banalissima “stanza tutta per me”. Il mio spazio di libertà, il deposito delle cose da elaborare, il mio gioco preferito e il mio laboratorio di esperimenti di parole. E’ uno spazio pubblico, certo: ma chi è dall’altra parte dello schermo è un’ombra e io sono un’ombra per lui. Qui si viene per il piacere di sentirsi raccontare delle storie che sono mie come potrebbero essere di chi legge. Si viene per riconoscersi o per dissentire, per sentirsi simili o felicemente diversi.
Tu sei qui per controllare quello che penso, invece. Non hai altro scopo. Come una che ti entra nella linea del telefono, che ti mette un chip nel cervello, che si compra i dvd della tua vita per seguirne le mosse. Ed io lo so e, per mesi, ti ho protetto da te stessa decidendo che non avrei mai scritto nulla che potesse, anche solo per errore, dare problemi a quell’impiastro con cui stai. Ma che fatica, senti.
Infatti, per mesi, non ho scritto niente più.
Perché è intollerabile, sai? Già da tempo non scrivo di scuola, ché i miei alunni sono sacri e non vorrei mai che si riconoscessero qua sopra. Non vivo in un paese interessante, non ho il polso quotidiano dei miei interessi politici, ho da giocare solo col privato e mi arrivano dei paletti pure su quello. Ma che volete, davvero? E non è importante avere o non avere, oggettivamente, cose censurabili da scrivere. La sola idea di dovermi chiedere se scrivo cose accettabili per qualcun altro è sufficiente a farmelo abbandonare, un blog. Ma non era la stanza tutta per me, questa? Ma che ci fa una nemica pronta a coglierti in fallo, qua sopra? Che ci fai tu? E come ti salta in mente di inventarti nemica, poi? Che vuoi? Cosa hai in quella testa da 15enne mezzo secolo dopo?
Alla fine, tutte le volte che ho dovuto scegliere tra il blog e le persone in carne e ossa ho sempre scelto il blog, ovvero me stessa. Non è mai successo che io riuscissi a censurarmi per proteggere un banale essere umano. Chi casca è l’essere umano, il blog continua a stare qua. Perché è il mio giocattolo, e non lo do a nessuno. Mi servirà ancora, quando voi sarete tutti spariti, e la mia libertà è incompatibile con voi, se voi vi mettete in competizione con lei. Vi faccio male. Pagandone poi tutto il prezzo per quanto salato sia, non c’è problema. E tu sei anche economica, a compararti con altri.
E adesso piangi, strepiti, ti strappi i capelli, inveisci, ti senti derisa e usata, hai una rabbia che vorresti uccidere tutti e non puoi fartene nulla, ti tocca tenertela. E mi dispiace pure, ma tra te e il mio blog scelgo il mio blog. Ti basta non aprirlo per farlo sparire dalla realtà. Se davvero la vita contemplasse il controllo reciproco dei pensieri, il mondo sarebbe un inferno. Appunto. Come diavolo ti è venuto in mente, dimmi, di stuzzicare un inferno che sarebbe stato solo tuo? Come hai potuto mancare così profondamente di saggezza?
Hai mai visto Harry a pezzi di Woody Allen? E’ la storia di uno che scrive e che è circondato dall’incazzatura di coloro che si sono riconosciuti nei suoi racconti: fidanzate, sorelle, cognati, tutti. Perché riconoscersi nelle descrizioni altrui è terrificante, è l’apoteosi della perdita di controllo su se stessi. E, per chi ha tanta mania di controllo da volere spiare gli altrui pensieri, non c’è nulla di più destabilizzante. Se io ti racconto, tu impazzisci. Se ti descrivo, tu immagini il tuo nome e cognome esposti alla pubblica derisione, dimenticandoti che sei Scratte. Perché tu sai che il tuo nome non è quello, e credi che per estensione lo sappiano tutti. E’ quello che succede a giocare con i pensieri, si perde il senso della realtà. Se metto una vignetta che ti raffigura, la cercherai nello specchio. Chi sei, come ti vedo, cosa so di te, cosa apprendono di te gli altri, chi sono gli altri, che impressione dai, dove sei finita tu adesso?
Scratte, mando qualcuno a cercarti? Come ci si sente ad essere qua per controllare e a non riuscire più a uscirne? Come ci si sente, come diceva una mia amica ieri, a farsi male con lo stesso coltello che si credeva di impugnare? Che ci fai, Scratte, ancora una volta su questo blog? Ma spegnilo, no? E asciugati gli occhi, ché tutto questo non è poi serio.
Smettila. Siamo vecchi, tutti. Abbiamo tempo solo per giocare, ridere, prenderci il buono che c’è.
Da me non saprai mai niente, perché non te lo meriti. Sei troppo seria, sei plumbea, mi viene la claustrofobia solo a pensare di parlarti. Non saprai mai se nel post qui sotto c’è la verità o un mio gioco. Non saprai se sono, sono stata o sarò a fare giri di giostra, se sono sua amica o non lo sono, se sono l’amante oppure no, se non ci sentiamo da mesi o ci sentiamo, se smettiamo di sentirci o continuiamo. Non lo saprai da me e non lo saprai da questo blog. Posso scrivere verità o bugie, tranquillizzarti o vedere come fai il botto e poi raccontarlo. Non saprai mai se, nei prossimi post, ogni volta che cito il tuo uomo dico la verità o ti prendo in giro. La smania di controllo, Scratte, è la peggiore nemica di una donna, e io sento di dovertelo insegnare. Faccio la prof, è più forte di me.
La vita non la controlli, dovresti saperlo meglio di chiunque. Comporta dei rischi, che comportano un cuore grande almeno quanto i pericoli che vuoi correre. Misura il tuo.
Una cosa, però, te la dico: non è mio, quest’uomo. Io ho altri progetti, che non contemplano la proprietà di nessuno. E, se proprio volessi possedere un altro essere vivente, mi prenderei un mastino napoletano. Cosa che non posso fare, ahimè: troppi vincoli, troppe responsabilità. Mi tengo la libertà e le sue ferite, il suo costo. E guarda che ci passo ore, su YouTube, a guardare i mastini. Ci ho messo il cuore, da anni, ma ho una vita sola e non posso.
Il tuo non è un mastino, è un’altra razza. Ma magari non ti piacciono nemmeno, i mastini.
Sta’ serena, datti delle priorità realistiche, ridi e prenditi il buono della vita. Sparisci da ‘sto blog, o diventa una lettrice disarmata e pacifica, come è sano che sia.
Lo sai, no, che le armi sono pericolose? Finisce che ti fai male, quando le hai sempre lì.
Merda Lia, quando ti ci metti affetti.
Alla povera Scratte, malgrado non la conosciamo e di per sé non avremmo nulla contro di lei, va il disappunto dei tuoi affezionati lettori, deprivati per mesi del piacere di leggere i tuoi post.
Per il resto… sei straordinaria, come al solito. Bentornata nella tua bellissima stanza tutta per te.
(Ciò detto, mi auguro di non avervi mai per nemici, te e il tuo quoziente intellettivo mastodontico…)
Mi hai fatto tornare in mente questa poesia della Szymborska. Come non dedicartela?
La gioia di scrivere
Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?
Ad abbeverarsi ad un’acqua scritta
che riflette il suo musetto come carta carbone?
Perché alza la testa, sente forse qualcosa?
Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,
da sotto le mie dita rizza le orecchie.
Silenzio – anche questa parola fruscia sulla carta
e scosta
i rami generati dalla parola “bosco”.
Sopra il foglio bianco si preparano al balzo
lettere che possono mettersi male,
un assedio di frasi
che non lasceranno scampo.
In una goccia d’inchiostro c’è una buona scorta
di cacciatori con l’occhio al mirino,
pronti a correr giù per la ripida penna,
a circondare la cerva, a puntare.
Dimenticano che la vita non è qui.
Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.
Un batter d’occhio durerà quanto dico io,
si lascerà dividere in piccole eternità
piene di pallottole fermate in volo.
Non una cosa avverrà qui se non voglio.
Senza il mio assenso non cadrà foglia,
né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.
C’è dunque un mondo
di cui reggo le sorti indipendenti?
Un tempo che lego con catene di segni?
Un esistere a mio comando incessante?
La gioia di scrivere
Il potere di perpetuare.
La vendetta d’una mano mortale.
Wislawa Szymborska
Barbara, ma quando mai? Evviva Scratte (un topino dei fumetti?) che ha portato Lia a scrivere questo post che leggo con diletto e compiacimento! Domenica fredda, la neve è ancora tanta su queste macerie, cac@arole. E se Scratte mi ha permesso ‘sto divertimento, che nessuno dei commentatori la critichi! Lia, ti prego, continua per la tua strada. Non per il bene che ti voglio (e te ne voglio) ma per quel po’ che ne voglio a me. Ho bisogno di te, ecco.
Grazie grazie grazie. Scratte…squitt squitt…
Diffusissima tra le donne, la mania di controllare i pensieri. Non ci ho mai provato: talvolta fatico a districare i miei, di pensieri.
Se Scratte voleva capire, di sicuro l’hai accontentata. Post straordinario per un ritorno esplosivo. Grazie
Enrica
Grandissima Szymborska. Barbara, grazie.
Signora lei dovrebbe acquistare bussola e tappetino e andare a vivere a Medina, visto che si da a letture di dubbio gusto come sh…f e. Se..ye. Legga piuttosto qualche librodi Magdi Allam
Questa è un po’ criptica. Che roba è “sh…f e. Se..ye”??
Dai Lia, ma e’ lo sceriffo !! (o forse non ho colto la tua ironia)
Carissima Lia, sei fantastica, ti giuro era un pò che non passavo sul tuo blog (a proposito dobbiamo sentirci), e mi sono fatto delle risate come non facevo da tempo. Sei una grande, una scrittrice meravigliosa e capisco la pressione che hai dovuto subire nell’autocensurarti. Sei sempre la migliore! :-)