Più ancora del malessere che senti guardando i titoli dedicati all’ultima frase a effetto della Fornero (“Gli statali siano licenziabili“) ti rimane attaccato quello che ti trasmettono le tante persone brave, in buona fede – e spesso giovani – che applaudono convinti.
Non voglio parlare della perdita generale di diritti e garanzie costati tanto a chi ci ha preceduto, né di impoverimento generale, perdita di ammortizzatori sociali, queste cose qua. Lo faranno, benissimo, un sacco di persone. Voglio parlare della specificità del servire lo Stato e del fatto che, questa specificità, non la ricorda davvero più nessuno.
Il mio nonno paterno era un professore di scuola, poi preside, che durante il fascismo venne mandato al confino in Sardegna perché, liberale, non volle giurare fedeltà al Duce. Mia mamma, quando diventò professoressa di ruolo, tornò a casa emozionata, con gli occhi che le brillavano, perché aveva giurato fedeltà alla Costituzione ed era certa di essere ormai un soldato dei tempi di pace. Anzi: “Sono equiparabile a un colonnello“, mi disse, con la sua faccetta ingenua e pulita. Io avevo otto anni.
Ho girato un sacco di scuole, nella mia zingaresca carriera, e qualche volta mi è capitato di avere cattivi presidi, o presidi così così. Poche volte, ché la scuola continua ad essere un’istituzione fondamentalmente sana nonostante tutto, ma qualche volta è capitato. Mi è successo di vedere cose brutte, di sentirmi chiedere di dichiarare cose non vere, di ricevere pressioni fatte di quieto vivere e non solo. Non mi è successo solo nella scuola di Stato, bada bene: mi è successo lì come nella scuola privata come all’università. La differenza, quando mi è successo nella scuola statale, sta tutta in quello che ho pensato guardando il dirigente che avevo di fronte: “Tu non sei il mio datore di lavoro. Il mio datore di lavoro è lo Stato.” Non si ha idea di quanta forza – e di quanto senso di responsabilità – ti dia un pensiero del genere, fino a quando non lo si prova.
Tu sai, semplicemente, che finché hai ragione – finché la legalità è dalla tua parte – non sei ricattabile, non ti si può intimidire, nessuno ti può fare niente. Tu lavori secondo coscienza e non temi nulla. Non rendi conto a nessuna gang, nessun gruppo di potere, nessuna dirigenza manipolatoria, non devi piegarti a nessuna logica che non sia quella dell’etica del tuo lavoro.
Perché poi, bada bene, non è vero che non siamo licenziabili: lo siamo, se siamo in torto marcio, e comunque ci si può rendere la vita molto difficile. Ma succede a livello di singoli casi. Non di sistema. Perché – attenzione – noi non dobbiamo a nessun Pinco Pallino la nostra assunzione. Nello Stato, il lavoro non viene concesso. Lo si vince. E lo si vince per pubblico concorso. La differenza con il settore privato è tutta lì. Noi non siamo designati a dito, non abbiamo figure a cui essere grati e non dobbiamo lealtà personale a nessuno. A nessun dirigente, a nessun ministro, a nessun governo. Noi abbiamo un contratto nazionale e rispondiamo alla legge. E ha senso, questa cosa. Ha moltissimo senso. Dovremmo saperlo, siamo il Paese che ha appena avuto Berlusconi, come si fa a non vedere come si potrebbe esercitare potere su di noi, una volta che siamo senza garanzie?
Avrà tutte le storture del mondo, un sistema in cui chi serve lo Stato risponde allo Stato e non a Pinco Pallo, ma sono storture molto più innocue di quelle che ci sarebbero altrimenti. E non mi pare un caso che la specificità della funzione pubblica sia riconosciuta in tutti i paesi che conosco. E’ una garanzia per la democrazia, pensa che concetto roboante. Perché, in un modo o nell’altro, facciamo tutti un lavoro che ha una forte ricaduta sociale.
Lavorare per lo Stato vuol dire essere al servizio di cittadini che sono tutti uguali davanti alle istituzioni. E questo è possibile a condizione che non ci si possa ricattare. Se li metti nelle mani dei singoli dirigenti, il nostro destino e la nostra sussistenza, il momento dopo ti si aprono dei baratri di discrezionalità in quello che fai. Succederebbe ovunque, figuriamoci in quella fucina di ogni mafia che è il nostro Paese.
Non mi spiego come sia possibile che un concetto tanto semplice, una realtà tanto evidente e importante, passi in secondo piano davanti alle parole d’ordine della lotta agli ipotetici fannulloni, davanti al caso del cugino che si è trovato male col tale impiegato, davanti a inefficienze che, se pure esistono (e certo, spesso esistono, ma altrettanto spesso sono cazzate date in pasto a un’opinione pubblica avvelenata) contano infinitamente meno del non sapere a chi deve obbedienza il servitore dello Stato che hai davanti. O chi deve compiacere.
Aggiungo un’ultima cosa, che riguarda in modo specifico il mio settore. La scuola si trova spesso alle prese con docenti che danno evidenti segni di squilibrio e/o di incapacità di gestire il rapporto con le classi. E’ il nostro caso classico di gente che “dovrebbe essere licenziata” e non si può. Bene: a me va benissimo che non si possa.
L’impazzimento, per gli insegnanti, è una malattia professionale, non diversa da quelle che possono prendere gli operai che respirano amianto. Giustizia e civiltà vogliono che l’operaio e l’insegnante non vengano buttati in mezzo a una strada, quando si ammalano. Il pubblico impiego, un tempo, prevedeva che i docenti inabili all’insegnamento venissero destinati ad altro incarico. Questa possibilità è ormai in via di estinzione e, anzi, si parla di tenerci in cattedra fino a 67 anni.E di licenziarci, ovviamente, se arrivati a 60 schiodiamo. Quando, per dire, in Germania ti riducono le ore di insegnamento frontale quando ne compi cinquanta, destinandoti, appunto, ad altri incarichi.
Allo stesso tempo, tutti i professori d’Italia – scuola e università, è lo stesso – hanno la consegna di promuovere quanta più gente è possibile, di selezionare il meno possibile. Portiamo avanti, quindi, gente che non è solo meno preparata di chi l’ha preceduta: è anche meno strutturata, meno capace di gestire le frustrazioni, meno consapevole dei propri limiti. Prepariamo cittadini sempre più fragili a cui lasceremo un mondo con sempre meno garanzie.
Mi pare che, spesso, siano proprio questi ragazzi, questi giovanotti, i più accaniti fautori dei licenziamenti altrui. Senza accorgersi di applaudire alla costruzione di un mondo di lupi in cui non è affatto detto che i lupi siano loro.
Le fornisco una notiziola: in un mondo di lupi già ci stanno tantissime persone, precari, partite iva, piccoli imprenditori. A casa mia quando ci stanno tempi duri da affrontare, i sacrifici li fanno tutti, cane compreso. Qui invece i sacrifici li devono fare sempre gli “altri”, e per “altri” di solito si intende chi è già con l’acqua alla gola. Le chiedo: questa P.a. elefantiaca ed assolutamente inefficiente ce la possiamo permettere?
Mah: non vedo come rendere tutti più precari possa migliorare le condizioni generali del paese. Questo, senza tornare nel merito del senso democratico e costituzionale delle norme che regolano il pubblico impiego sia in entrata che in uscita.
Quanto al “ce lo possiamo permettere?”, faccio notare che il 93% del gettito fiscale, in Italia, viene dal lavoro dipendente. http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/22/gli-evasori-sono-gli-altri-recentemente-mi-sono/147133/
Ci si permette quasi tutto, grazie al fatto che abbiamo stipendi al di sotto delle medie europee e paghiamo ogni centesimo di tasse.
Detto questo: migliorare l’efficienza si può e si deve. Con intelligenza, consapevolezza del significato delle cose, attenzione al bene comune. Non solo quello dei servitori dello Stato, ma anche di chi usufruisce del loro lavoro.
Belle parole ma non bastano, non rispondo. Concretamente, quale è la proposta per evitare che i professori/insegnanti non-malati insegnino ai nostri ragazzi che si può anche fregarsene del proprio lavoro e comunque vivere contenti?
Quale è la proposta per permettere ai cittadini di capire se la persona che hanno di fronte allo sportello e che gli pone tanti paletti assurdi lo fa perché non ha voglia di faticare o perché è il suo dirigente ad essere un incapace?
Come facciamo a pagare meglio gli insegnanti capaci dando soddisfazione al loro maggior impegno e magari migliori risultati formativi?
Temo che Lia per questo non abbia una risposta.
Designati a dito? Forse in qualche azienda paternalistica. Mai sentito parlare di test di selezione del personale? Sono nati molto prima dei famigerati test per l’ammissione a Medicina e non basta certo studiare l’argomento per passarli. Le selezioni del personale mettono alla prova ben altro. Cosa che andrebbe fatta anche nel pubblico impiego. Onde evitare che certi “pazzi” vi entrino, vinicitori o meno di concorso tematico. Quanto a stipendi (sottopagati) e tasse (all’ultimo centesimo), non mi risulta che gli studi circolati in questi giorni fossero relativi alla scuola, o alla P.A., ma a tutti i dipendenti italiani. Infine: è democratico che tutti i lavoratori dipendenti debbano rispondere a qualcuno mentre quelli della P.A. e della scuola in particolare non debbano rispondere di fatto a nessuno? ah no dimenticavo, loro rispondono allo Stato!
Giustissimo. Chi fa selezione del personale non si domanda neppure (e figuriamoci se lo verifica) se la persona che verrà assunta ha le competenze tecniche e professionali per svolgere le mansioni alle quali sarà destinata, ma solamente se è abbastanza priva di umanità da non assentarsi dal lavoro neppure se suo figlio sta morendo e abbastanza priva di senso di classe da riportare al padrone ogni pettegolezzo che sente sui colleghi. Ma d’altra parte chi fa selezione del personale viene dalla Bocconi e non ha nemmeno idea di che cosa significhi essere professionisti competenti, basta vedere la sufficienza con cui questa persona parla degli aspiranti studenti di Medicina che come tanti ciula “studiano la materia” anziché allenarsi a mostrare al mondo di esser dei nazisti cocainomani.
Alzi la mano chi vorrebbe Broccoli come insegnante del proprio figlio. In nome del “bene comune” delle attuali e prossime generazioni di studenti io non lo vorrei.
@Broccoli: io non sono un selezionatore, sono stato un selezionato, abile, arruolato, valutabile e licenziabile nonchè un “ciula” che ha molto, molto brillantemente studiato (non alla Bocconi)
Io ne alzo anche dieci, di mani.
E, mentre lo faccio, contemplo la mentalità di Mal: che, dai prof prossimi venturi, non si aspetterà competenza nella propria disciplina (manco gli è venuto in mente che la Broccoli possa essere il genietto che è) ma un rassicurante, grigio benpensantismo che, ovviamente, la Broccoli non possiede e si vede da lontano. :)
Ma a te cosa dà diritto di pensare che i laureati di adesso siano poco preparati? Cosa ti fa pensare che i nuovi professori siano tutti benpensanti?
Ma ai tuoi studenti insegni che più si generalizza, meglio è?
No, ritiro questo commento: avevo letto male.
Vedi la risposta sotto di Broccoli e poniti almeno il dubbio. A volte non basta essere brillanti, ci vuole ben altro che evidentemente Broccoli, fine conoscitore di Samois, non ha e per questo “vade retro” da qualsiasi figlio
Allora sei stato a Samois e t’hanno messo il marchio. E’ una dinamica assai nota, ahimè.
A Mal, almeno conoscitrice… però vedo che hai colto… per cui vattinne un po’ retro dalle figlie, che io ai figli non ho mai neanche pensato di avvicinarmi!
Io credo sia sbagliatissimo inneggiare al licenziamento, sempre e comunque.
Pero’, non trovo neanche giusto che ci siano delle categorie di lavoratori “intoccabili”
Parliamo di insegnanti. Anch’io sono figlia di insegnante ed ho vissuto di riflesso tutti i pellegrinaggi di mia madre per vari paeselli dell’entroterra siciliano, dove a farti pressioni non erano solo i presidi a volte un po’ rompiballe ma anche e soprattutto i figli dei mafiosetti locali.Conosco bene la sensazione di “vincita al lotto” quando si entra di ruolo e credo che nessuno dovrebbe essere licenziato perché malato o magari con qualche problema nel rapportarsi con la classe. So che ci sono insegnanti bravissimi e preparatissimi, come lo sei tu e come lo sono tanti altri che ho avuto la fortuna di conoscere. Ma ci sono purtroppo tanti insegnanti veramente ignoranti e menefreghisti, persone che hanno scelto questa professione/missione per motivi che non hanno nulla a che vedere con la formazione dei giovani, gente che non dovrebbe stare dietro un cattedra ad insegnare perché totalmente incompetente e impreparata. Che si fa in questi casi? Cosa dovrebbe fare lo Stato? Cosa fa un genitore che si rende conto che l’insegnante di lingua del proprio figlio non e’ capace di coniugare un verbo, per esempio?
Vorrei che ci fosse più attenzione all’argomento del post: fermo restando che anche nello Stato si è licenziabili, e da un pezzo, quale bene comune si tutela (ovunque nel mondo) facendo in modo che chi serve lo Stato non debba temere Pinco Pallo ma la legge? E come si preserverebbe questo bene comune, se venisse a cadere questo presupposto?
veramente tutti, non solo “chi serve lo stato”, non dovrebbero temere pincopallo.
al di là di questo, tutti – volenti o nolenti – siamo al servizio dello stato, non solo i dipendenti statali.
o lo stato è altro che i suoi cittadini?
e al di là ancora, quella per cui stai scendendo in campo altro non è che una guerra fra poveri.
perché sono i popoli in miseria (e la contrapposizione delle miserie) a mantenere gli imperi.
Grandissima Lia. Non ho altro da dire.
Io sono uno di quei giovani (ma mica tanto giovane, ormai) che inneggiano alla Fornero, o quantomeno a questo specifica dichiarazione.
Il discorso è bellissimo, alato, pieno di entusiasmo per il proprio lavoro. Ma questo vale per Lia. E’ Lia che non va licenziata perché ispirata e pronta a lavorare bene. Gli insegnanti in Italia però sono un milione circa. Ce la sentiamo di mettere la mano sul fuoco per tutti?
Prima come studente e poi come insegnante, ne ho visti tanti di colleghi completamente disinteressati al loro lavoro, protervi, offensivi, oppure pigri, o anche semplicemente menefreghisti, perché il lavoro in classe era solo un complemento di altre attività. Ho visto anche gente assunta a dieci anni di distanza dal concorso, quando ormai, da anni, faceva tutt’altro e non aveva più neanche i rudimenti del mestiere (se mai li aveva avuti).
Non dico che sono tanti. Sono pochi, ma sono comunque troppi, e non parlo delle vittime di burn out. Non vogliamo fare niente? Non rivolgiamo neanche un pensierino agli studenti vittime di un insegnante incompetente e dannoso? E non si dica che gli insegnanti sono licenziabili anche ora: è più un caso di scuola che un’eventualità reale.
E va bene, siamo servitori dello stato, è un grande onore. Ma verificare ogni tanto se questo onore ce lo meritiamo è così assurdo?
Mi dispiace, questa difesa degli insegnanti (che peraltro non sono tutti gli statali), va rigettata. Noi insegnanti abbiamo un potere sui nostri studenti, ma praticamente nessuna responsabilità: una pessima combinazione. E infatti la scuola italiana sarà anche sana, ma è anche classista e alle superiori si perde per strada uno studente su cinque (quasi uno su due in scuole particolarmente martoriate).
Gli insegnanti vanno aiutati in tutti i modi a fare bene il loro lavoro, ma come in qualsiasi situazione lavorativa, bisogna poter affrontare la realtà senza paure né paraocchi: il licenziamento, anche se non estemporaneo, deve poter essere una possibilità, perché c’è una differenza tra quello che è fatto bene e quel che è fatto male.
L’autoreferenzialità e la retorica non ce le possiamo più permettere: erano improponibili trent’anni fa, adesso sono semplicemente fuori dal mondo. Lo ripeto, mi dispiace molto, ma percepisco tra l’approccio di questo post e quello dei “giovani” (almeno quelli che la pensano come me) un abisso insanabile, e un forte problema di persistente immobilismo.
Verifica dei risultati? Valutazione del merito? Non servono, uqbal! Perchè noi abbiamo la SANTA MADRE SCUOLA STATALE PUBBLICA NAZIONALE UNIVERSALE a cui si accede per CONCORSO PUBBLICO! Concorso che, notoriamente, è SANTO, INFALLIBILE, INAPPUNTABILE, INOPPUGNABILE, INDIVISIBILE e… poi lo pulisco io! No! Si pulisce da solo!
Prova ad andare in una qualsiasi scuola privata, poi possiamo discutere del valore della scuola pubblica.
Nella scuola privata lavorano gli stessi insegnanti della scuola pubblica. Insegnanti che lavorano contemporaneamente da una parte e dall’altra, insegnanti che aspettano solo di entrare in ruolo, insegnanti in pensione che continuano nella privata. E in ogni caso, docenti abilitati esattamente allo stesso modo.
Già, il CONCORSO PUBBLICO! Fortuna che abbiamo il CONCORSO PUBBLICO! Altrimenti pensate a come la Scuola e l’Università pubblica sarebbero infestate da imbecilli raccomandati! Rabbrividisco! Pensatele, le nostre università, se non fossero pubbliche, immaginatele, ridotte come… come… come Harvard, Stanford, Princeton… un incubo! Fortuna che domani potrò frequentare l’Università Pubblica Nazionale Statale degli Studi di Canicattì istituita con Decreto Regio Imperiale Dipartimentale Ministeriale il 9 agosto 1865 da Sua Maestà Emanuele Alberico Filisburgo di Sardegna e Fribogna, e in particolare i corsi della Professoressa Rita Baldracchina Sticazzi vincitrice di Concorso Pubblico Nazionale Interregionale Diocesano, Concorso Pubblico svolto da Commissione Pubblica – Una, Santa, Cattolica e Apostolica – costituita dallo Zio, dal Nonno, dai Padri legittimo e biologico e dall’Amante della Sorella dell’Esaminanda Pubblica, suddetta Baldracchina Sticazzi. In fede, Cocogno da Molfetta.
Assistiamo alla fine di un’epoca. Cominciai i miei studi per insegnare, ed ora sono emigrato, pur con tutta la voglia di ritornare, appena possibile. E da lontano, osservo una società in cui è già cominciata la guerra tra poveri, e l’affanno a trascinarsi reciprocamente verso il basso, cosicché dal mal comune, se non mezzo gaudio, almeno un poco ne venga comunque. Ma le cause stanno altrove, lontane e profonde, e se non restiamo umani – come fu detto altrove – non ci sarà riforma che tenga.
Sono la Laura che ha commentato anche sul blog di Scorfano&Disagiato.
Ed oltre a ribadire quanto sia bello questo post, voglio dire che la penso esattamente come Ibrahim.
Restiamo umani, che è meglio. (Altrimenti, mi metto a dire che conosco gente laureata che non sarebbe preparata per insegnare. Ma non per questo, vale a dire non ispirandomi a loro vado a riformare il Sistema. Le riforme sono un qualcosa di necessario, col tempo; e i sistemi, ovvio, si cambiano da dentro. Ma non attraverso operazioni di livellamento verso il basso).
Sinceramente, st’uscita della Fornero, che pure stimo, mi pare un po’ “ideologica”, e non mossa da autentico pragmatismo.
E poi, in generale, un conto è scocciarsi di un collega fannullone, un altro è mettersi superbamente in cattedra e dire “gli tolgano il posto di lavoro”.
The Rat Race » Al servizio dello Stato | Haramlik
[…] Rat Race all over again Al servizio dello Stato | Haramlik. (parole […]
Splendido post, Lia.
Purtroppo, mi sto accorgendo di uno strano fenomeno che accade oggi nel nostro Paese: si sta alzando il livello del dibattito, notizia magnifica. Si sta anche allargando la base di chi partecipa al dibattito (rispetto ad appena un anno fa), ed è anche questa una cosa magnifica.
Questo però determina un aumento consistente di lettori che non afferrano ciò di cui si parla. Da qualche tempo ho la sensazione di non saper più esprimermi, tanto vengo fraintesa. O meglio: molti lettori si fermano alla lettura più superficiale, banale e scontata di ciò che si scrive. Sembra di parlar turco, anzi egiziano – LOL.
Qui tu NON hai detto che i concorsi son fighi; NON hai detto che gli statali son santi; NON hai detto che sono intoccabili. Hai detto: “Gli statali hanno l’opportunità unica di non esser servi di nessuno, di non dover obbedire ai capricci di un padrone, di poter dire di no a ordini illegali o sporchi o immorali”. Questo diritto significa che lo statale è al servizio del Paese e basta, e non di un pezzo di merda che lo ricatta col licenziamento.
Di questo diritto alcuni ne fanno magnifico uso, altri no. Ma è un diritto sacrosanto che difende tutti noi.
E’ un discorso complicato e di un certo qual livello, non tutti i lettori sono in grado di decodificarlo. Ma se continueranno i tempi duri, la gente farà scuola velocemente. E’ l’unica consolazione.
Un abbraccio
Bellissimo commento, Debora.
ok Debora, il diritto è chiaro, ora passiamo al dovere: chi valuta se lo statale sta servendo il Paese? Il pezzo di merda abbiamo capito no, nè è quello che ci auguriamo per nessun lavoratore, statale o no che sia (pur non essendo questa la realtà attuale delle cose). I colleghi no, dato che pare alzino tutti la manina solidale qualsiasi cosa faccia. Gli utenti no, zitti e muccia, io sono vincitore di concorso. Allora? Io non mi sento in un mondo democratico sapendo che c’è chi gode di diritti inalienabili cui non corrispondono doveri controllabili. Perchè i diritti senza doveri ledono i diritti di altri. E non appartengono alle democrazie, piuttosto alle oligarchie.
Il problema é di ordine morale, non pratico. In Italia ci si ricorda molto spesso di quali sono i diritti dei lavoratori, ma quasi mai dei doveri. Detto questo trovo che togliere la tutela ai lavoratori pubblici sia un discorso che in Italia finirebbe a schifio, esattamente come sono finiti a schifio i concorsi pubblici, spesso taroccati. Mia madre (persona di altri tempi dalla morale intoccabile, e non lo dico perche mia madre) ha vinto un concorso in piena regola per il ministero degli esteri e poi é stata licenziata perche scomoda facendo un controconcorso e inserendo dei parametri interni tutti balordi. Mia madre era scomoda perche pretendeva che nelle riunioni a Bruxelles (in cui lei rappresentava l’Italia) i capi gli dicessero quali posizioni difendere, mentre le risposte erano sempre di comodo, tipo fai quello che fanno i francesi… Dopo 13 anni di battaglie legali ha vinto in cassazione e ha ricevuto un rimborso giá di per se ridicolo, che alla fine gli é valso solo il 20% del dovuto dopo aver tolto tutte le spese legali e senza ricevere nessun indennizzo morale. ‘E stata licenziata a 57 anni e non ha mai più trovato lavoro. Ingiustizie ce ne sono sempre state e ce ne saranno sempre.
Adesso c’é una intera generazione che vive di precariato e che non ha nessun diritto sociale, mentre dall’altro ci sono servitori pubblici che questi diritti li hanno e molto spesso non onorano il loro dovere verso lo stato. Ripeto, tutto ció ha innumere eccezzioni, in tutti i sensi, ci sono quelli che onorano il loro dovere, e ci sono quelli che sono entrati con concorsi pubblici taroccati e non fanno una mazza. Come si può uscire da un dilemma e divisione sociale se la societá ha perso il senso della morale e del dovere? I diritti devono valere per tutti (anche per i giovani tutti precari), ma anche i doveri. Ci deve essere la possibilità di licenziare quelli che stanno li e non fanno un cavolo, ma se si apre la possibilità di licenziare i servitori pubblici ci dovrebbero essere delle regole che vanno oltre il buon senso, ma entrano nel campo della morale. In un paese dalla morale dubbia, queste decisioni finiranno in tragicommedia alla pulcinella.E qualsiasi decisione si prenda, sia decidendo verso l’abolizione dell’articolo 18, che mantenendola, si fa un torto a una intera generazione!
Vengo da una famiglia con un mucchio di gente che quel giuramento l’ ha fatto. E concordo con te e con Debora, è difficile in un discorso che tocca temi attuali, concreti e dolorosi, rimanere sul punto della questione perché le derive sono presenti e tentatrici. Per esempio abbiamo anche la denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale nell’ esercizio delle proprie funzioni. A cui non posso fare a meno di mettere accanto Bolzaneto e altri casi del genere.
(Io non l’ ho fatto, faccio la libera professionista e sto bene uguale. Il non aver padroni lo pago di tasca mia, ma va bene. Anche se sto facendo un paio di concorsi nel mio settore proprio per capire se dopo tanti anni da libera, un’ istituzione possa permettermi di farlo meglio il mio lavoro).
La questione è complessa, ma vorrei anche io dire la mia. Molto spesso il fatto di essere servitori dello stato implica molti doveri oltre ai diritti. Soprattutto il dovere di esserne degno non solo nel momento di superare il concorso, ma anche in ogni momento della vita lavorativa. La legge ti dice ció che non puoi fare, molte volte, ma non quello che dovresti fare. Poi il concorso non seleziona il ‘senso dello stato’ ma solo le capacità. Non sono sicuro che sia richiesta la fedina penale pulita, come invece mi é stata chiesta all’atto della mia assunzione in ditta privata. Poi un ultima cosa, mi sa che sarebbe meglio sentirsi ‘soldato semplice’ che ammiraglio, quando si viene assunti dallo stato.
L’accenno di mia mamma all’essere un colonnello si riferiva al tipo di inquadramento dei docenti, e comunque fu molto tenera.
Essere servitori dello Stato implica soprattutto doveri, santo cielo. La quantità di motivi per cui io potrei andare in galera è infinito, i nostri errori sono più materia da denuncia che da richiamo. Il nostro codice di comportamento è scritto, le sanzioni pure.
Per tutto il mio precariato ho consegnato il certificato penale ogni due anni.
Io ho la fondata sensazione che ci si conosca molto poco. Eppure, nonostante tutto, le istituzioni italiane funzionano, sapete?
Le istituzioni italiane funzionano, il problema é che funzionano male. Credo che non ci siano dubbi che abbiano bisogno di riforme, per farle funzionare meglio. Chiunque abbia avuto esperienze all’estero é pienamente cosciente di tutte le deficienze italiane a riguardo. Riguardo al tuo discorso sul lavorare per lo stato sono d’accordo sui valori morali, non su quelli pratici. Giustamente tu (da persona che ha un alto concetto morale del lavoro) difendi la necessità di tutelarti contro PincoPallo che vuole licenziarti indiscriminatamente e ingiustamente (o per interessi suoi, mafiosi, politici o che sia), ma non prendi in considerazione il caso in cui PicoPallo (diciamo un dirigente statale) onesto e morale quanto te, voglia licenziare un fannullone, o uno che si nasconde disonestamente dietro alla tutela statale. Facendo cosí metti la categoria dei dipendenti tra quelli morali e i dirigenti fra quelli amorali. Ripeto manca più moralità nella nostra societá, in tutti i sensi. Riguardo alla tua frase: “Mi pare che, spesso, siano proprio questi ragazzi, questi giovanotti, i più accaniti fautori dei licenziamenti altrui. Senza accorgersi di applaudire alla costruzione di un mondo di lupi in cui non è affatto detto che i lupi siano loro.” il problema é che i giovani (quasi tutti in stato di precarietà) ti vedono come una privilegiata, inq uanto loro magari lavorano per lo stato lo stesso (sotto mentite spoglie) ma sono ricattabili, licenziabili e per di più peggio pagati di te. Io faccio l’esempio dell’università perche é quella che conosco meglio. La ricerca é fatta al 90% da gente sottopagate e precaria. Quelli che hanno il posto fisso lavorano bene o no un pó a loro discrezione, mentre i precari sono sempre sotto pressione dei capi. Questa dicotomia esiste da più di dieci anni, ed é questa che sta spingendo i giovani a essere i fautori del licenziamento facile nei confronti di un sistema che é pieno di falle. Non difendo ne te, ne loro, dico solo che é una questione complessa e che bisogna anche prendere in considerazione il punto di vista dei giovani che in questo momento hanno la peggio. Anche perché tutte le varie forme di contratti atipici pagano le tasse, ma semplicemente costano meno, perché non gli vengono fornite garanzie quali pensione, garanzie di invalidità etc… Io non ho visto in passato molti statali indignarsi sui contratti atipici, magari lo hanno fatto timidamente, ma non con la stessa veemenza con cui adesso vogliono difendere la loro posizione. Se un professore precario si ammala della stessa malattia di uno statale va semplicemente a casa e non percepisce più nulla. Quant’é grande questa ingiustizia? Non sará che é questa societá a due velocitá che crea il fatto che ci si scanni per ovvi diritti sociali?
Mi piace come scrivi da sempre: mi fai spesso ridere ,mi fai pensare come ora.dici delle cose importantissime che dovrebbero essere lette da tutt: giovani e non . Grazie di esserci. Un abbraccio
1) Tra “stare al servizio del primo baronetto locale” e “rispondere solo alla legge” (un po’ tipo Mussolini) ce ne passa. Esistono sistemi di rilevazione delle performance, degli obbiettivi e delle capacità abbastanza oggettivi. Per dire, che ne diresti di un concorso ogni 5 anni comune ai professori di ruolo e gli aspiranti tali, per cui se un prof di ruolo fa un punteggio troppo basso deve seguire corsi di (ri)formazione, se fa ancora un punteggio basso al concorso successivo perde il posto? Mi pare che con gli studenti funzioni così…
2) Tu parti dal presupposto che la pubblica amministrazione, e nello specifico la scuola, funzionino bene. Non è così. Per niente. E non è questione di mele marce o di impressioni. E’ proprio il sistema scolastico che, alla prova dei fatti, non funziona bene. Gli studenti italiani hanno livelli mediamente infimi nei test PISA. Ogni anno si leva il pianto greco per gli studenti usciti dal liceo e che puntano all’università che fanno strafalcioni grammaticali da prima media. La preparazione matematica e scientifica con cui si esce dal liceo è infima.
Ora, è tutta colpa della società, o voi lavoratori della conoscenza, inappellabili servitori dello stato, avete qualche responsabilità in proposito?
3) Non è questione di guerra tra poveri, stai tranquilla che se lo stato vuole tagliare hai davanti tanti statali precari che finiranno per la strada prima di te. E’ questione di migliorare il sistema. Che ne ha davvero tanto bisogno.
tobuto
A me va benissimo essere valutata mille volte, non è un problema. Anzi. Purché non sia per mezzo di pagliacciate tipo Invalsi, su cui puoi trovare analisi per tutto il web.
Disgraziatamente, da un po’ di anni a questa parte, i valutatori paiono parecchio più cialtroni dei valutati: guarda cosa ha fatto il Formez (roba privata, di Brunetta) negli ultimi concorsi.
Io non voglio fare una difesa cieca dell’esistente, pur ritenendo che l’esistente sia spesso molto meglio di come viene descritto all’opinione pubblica. Penso solo che non si possa e non si debba buttare il “bambino” della Costituzione e dei suoi principi fondanti assieme all’acqua sporca. E la tutela di chi lavora per lo Stato è uno di questi principi, e non essere ricattabili mette degli argini seri alla corruzione che, nel nostro paese, è un problema maggiore del singolo prof che insegna male.
Vorrei che le priorità fossero sane e al loro posto.
Quanto al livello dei nostri studenti: probabilmente mi leggi per la prima volta, sennò sapresti che, da anni, sono disgustata per un andazzo generale che spinge ognuno di noi, dalle elementari alla laurea, a promuovere chiunque e a qualunque costo. Io posso avere tutta la preparazione del mondo, ma per bocciare chi non studia o non sa ci vuole molta, molta fatica.
Nella scuola privata è quasi impossibile, pena il posto di lavoro. Nello Stato va un po’ meglio, ma neanche tanto. Almeno si può ancora scegliere se essere un professore serio, nei limiti delle indicazioni governative, o se calare le braghe del tutto.
Per il momento, si può scegliere.
Lia
Se sei disgustata dall’andazzo generale, perché dici che la scuola è “sana” e all’opinione pubblica si offre un’immagine peggiore del reale? Non noti il difetto di coerenza?
Hai argomenti a supporto del fatto che bocciare di più significhi fare una scuola migliore? Anche chi crede nella bocciatura (e io non sono tra quelli, ma il discorso sarebbe assai più ampio) generalmente parte dall’idea che una bocciatura è una sconfitta, non il trionfo dell’istruzione. Una bocciatura vuol dire che un ragazzo non sta imparando, e questo è un inizio, non una fine.
L’Invalsi non valuta te. Valuta gli studenti. Non voler capire questa differenza significa essere ormai in malafede, considerando quante volte l’argomento è stato dibattuto. Uno studente può andare male nonostante il professore e la sua bravura: perché mentre studia lavora, perché ha una famiglia disastrata, perché ha problemi di apprendimento non diagnosticati, perché è scemo, perché è superficiale. Il test Invalsi campiona queste situazioni e offre una batteria di dati statistici per capire come stanno andando le cose. Nient’altro. E invece niente. Non va più bene dire in astratto “Sì, io voglio essere valutato” e poi a) rifiutare ogni valutazione in concreto, b) rifiutare che dalle valutazioni siano tratte conseguenze.
Ma mi rendo conto, una volta di più, che non ci sono risposte, Lia, che lei possa offrire, se non per ribadire un orgoglio castale.
Non sono semplicemente in disaccordo con lei, penso piuttosto che il suo approccio sia il problema.
Continui a vedere le cose in bianco e nero; i prof devono essere completamente liberi da qualsiasi giudizio, o diventeranno necessariamente dei servi dei potenti, e chi non si piegherà verrà licenziato. Mi ripeto: ci sono vie di mezzo. Una su tutte? Il concorso all’ingresso. Non mi pare che il fatto che chi vuole diventare prof venga valutato e selezionato da qualcuno implichi che debba essere un servo per essere ammesso. Allora qual è il problema con valutazioni successive? Ok, quis custodiet ipsos custodes, ma i modi per non rimettere tutto all’arbitrio di qualche signorotto ci sono.
Altrimenti aboliamo direttamente i concorsi in entrata, perché non dovrei immaginare che i concorsi li passa solo chi vuole il potente di turno?
Aggiungo, scusandomi per il doppio post:
Sai cos’è veramente fastidioso del tuo discorso? Il tuo sentimento di proprietà nei confronti del tuo posto. L’ho vinto, è mio, me lo gestisco io, nessuno può sindacare l’utilizzo che ne faccio. Praticamente un diritto di proprietà.
tobuto
ma figurati. Quello che faccio è manifesto, esplicito, documentato in ogni passaggio. Altrettanto deve valere per i rilievi che mi vengono fatti. Per il bene del sistema, già.
Comunque, aggiungo, io provo sicuramente orgoglio per il fatto di essere al servizio dello Stato. Tanto, proprio. Credo che sia una cosa importante e di cui essere fieri, oltre che una responsabilità da meritare quanto più è delicato ciò che sei chiamato a fare.
Ci ho messo venti anni di gavetta, per farlo. Guadagno meno di 1400 euro al mese. A fine carriera guadagnerò quello che per i colleghi spagnoli è lo stipendio di ingresso, a parità di lavoro.
Tuttavia, è verissimo, a modo mio mi sento importante.
E non credere che non se ne approfitti, il Paese intero, di questo nostro bizzarro sentimento.
Lia, dispiace vedere che per appartenenza di casta non riesci a cogliere cosa sta cercando di dirti chi nei commenti di questo post non ha la manina alzata allineata (questa sì segno di grigio benpensantismo!). Quelli come te, preparati, orgogliosi, con alto senso etico e del dovere, devono scrollarsi di dosso gli altri, non fare quadrato con loro. Se lavoriamo in due ma il lavoro lo faccio solo io, oppure se il lavoro è ben fatto solo se fatto da me, non voglio che veniamo pagati 1400 euro al mese entrambi ma voglio 2800 euro io. Valà sono generoso, 2000: e 800 sono per l’altro di sussidio, ma si tolga dai piedi, perchè se non lavora è un conto ma se lavora male sta facendo pure danno!
Mah, la retorica da servitori dello stato mi convince poco. Alla fine gli insegnanti sono persone normali. Un po’ pigri (come tutti) un po’ ignoranti (non più della media) e ogni tanto c’è pure l’imbecille, o il caso umano (come succede ovunque). Solo che un insegnante non può essere licenziato praticamente in nessun caso, quindi vige una totale impunità per le persone che, per scelta o per necessità, ne vogliono approfittare.
Nella mia carriera scolastica me ne sono beccato circa uno all’anno, di professore totalmente inadeguato non dico a insegnare qualcosa, ma anche solo a rapportarsi decentemente con gli studenti. Certo la grande maggioranza dei miei prof era gente (mediamente) seria, alcuni perfino eccellenti, ma basta un pirla non licenziabile per far sì che un centinaio di ragazzi ogni anno escano dalla scuola media senza sapere una singola parola di inglese, epperò tutti con l’otto in pagella. O dalla liceo senza sapere cos’è il dna, ma il 9 in biologia.
Se il prezzo da pagare per rendere licenzibile gente del genere è che i professori seri dovranno stare attenti a non inimicarsi il preside, beh, non dico che necessariamente ne valga la pena, ma un pensierino ce lo farei…
Purtroppo vedendo la situazione nelle famiglie credo che rendere più facilmente licenziabili i prof non faccia altro che aumentare i casi in cui questi, per evitare rogne con il preside, diano 8 a chi non sa perfettamente niente e tarando il resto dei voti in base a quello. Adesso lo fanno quando non ne possono più sentire i versi animaleschi dei genitori davanti a un 6 del figlio, ma in futuro potrebbe diventare semplicemente la regola.
E chi ha detto che il licenziamento lo fa il preside? Perché non l’USP o il ministero direttamente o il corpo degli ispettori (che andrebbe un po’ riformato)?
Perché semplificare inutilmente?
Non so in che scuola vivi tu Broccoli, ma quello che vedo io, e che sto attendendo di rivedere nei prossimi giorni, è un fioccare di 6 a gente che è vissuta tra il 3 e il 5.5 (bravo, hai notevolmente migliorato!) in alcune materie e tra il 5 e il 6 nelle altre; viceversa chi è sempre stato tra 7 e 8 o tra 8 e 9 o tra 9 e 10 prenderà rispettivamente 7, 8 e 9, con valutazioni corrette al ribasso. Dimenticavo i crediti. Chi viene “sospeso” con il 5 e rimedia poi la materia, prende gli stessi crediti di chi è stato da 6 o da 7 da subito e per tutto l’anno. Quale sia l’etica, la morale, il bene comune che si insegna con tutto questo, sinceramente mi sfugge. O meglio mi è chiaro: nella scuola è fesso chi fa il proprio dovere, allievo o docente che sia. L’unica soddisfazione, in entrambi i casi, è personale.
mmm… e non è che c’entrano qualcosa le ultime novità nella scuola, tipo l’Invalsi o come si chiama? Ora, non so esattamente come funziona perché ancora non ho figli che vanno a scuola (e cmq non vivo in Italia) quindi non vorrei dire una scemenza, ma in linea di principio se io fossi un’insegnante e sapessi che vengo valutata in base ai voti dei miei alunni, e i voti agli alunni chiaramente li do io… beh, forse dare tutti 10 sarebbe vanagloria, ma dare anche solo un’insufficienza sarebbe un po’ sadomaso.
Sì, hai detto una scemenza, e non fa piacere vedere che parli senza cognizione di causa. L’Invalsi non mette voti e non vengono diffusi i dati relativi alle prove delle singole persone (a meno che l’insegnante, che corregge le prove, non voglia farlo -e non so se ne avrebbe facoltà, ma non credo). Al limite ci sarebbe un dato di classe.
Ma se c’è una cosa che l’Invalsi non fa, come sa benissimo chi abbia speso cinque secondi a cercare di capire la cosa, è guardare i voti che gli insegnanti mettono. Su cosa faccia l’Invalsi ho già commentato e non mi ripeto.
ok Uqbal, grazie per il chiarimento. Se hai tempo, mi spieghi allora a che cosa serve l’Invalsi? E in che senso non vengono diffusi i dati, vuoi dire i risultati li sanno solo gli insegnanti? Allora non bastavano le verifiche e le interrogazioni normali? Boh, quando andavo a scuola io era più chiaro.
I dati possono anche essere usati singolarmente dall’insegnnte (anzi, forse sarebbe il caso che li usasse per capire meglio i suoi studenti), ma in generale vengono utilizzati per rilevazioni statistiche, aggregando i dati generalmente a livello di scuola o di classe, o, di contro, per unità più grandi (“il Sud”-“il Centro”).
Il test Invalsi serve per valutare le competenze degli studenti (delle classi) in un dato momento della loro carriera scolastica. Non “misura” quello che sanno o che hanno studiato (perché ogni classe fa testo a sé, in quello, anche se abbiamo uno dei sistemi scolastici più conformisti del mondo).
In Italiano, la disciplina che mi riguarda professionalmente, si propongono diversi testi da leggere e si fanno domande, chiuse o cmq a risposta univoca, cui si può rispondere solo se si è capito il testo.
E’ vero che ci sono domande di grammatica, ma sono concepite in modo tale che si possa rispondervi a prescindere dall’approccio seguito dall’insegnante.
La cosa più importante da capire è che l’Invalsi NON giudica gli insegnanti: nel momento in cui uno studente va male, il suo scarso risultato può dipendere da molti diversi fattori: è stupido, è stato assente per lungo tempo, ha cambiato parecchie scuole, viene da un retroterra sociale degradato. Può anche essere che va male perché ha un professore scarso, ma questo l’Invalsi non può rilevarlo. Tanto per dire: se il prof. è eccellente, ma è arrivato da poco, i risultati saranno cmq scarsi. Di contro, se il prof scarso è arrivato da poco , nel test risulteranno ancora pochi danni.
Però rimane il fatto che sapere a quale livello è la classe serve (se è in basso, il bravo insegnante si attiva di conseguenza).
E l’Invalsi non mette il becco nei voti dell’insegnante (anche perché la sua valutazione è parziale: non valuta la produzione scritta, ad esempio). Se un allievo risulta un po’ sotto la media Invalsi, ma lo fa in una scuola molto al di sotto della media, il prof. premia l’impegno e i risultati relativamente buoni con un voto che tenga conto di tutto questo. Ancora: un ragazzino che si trova un po’ sotto la media, ma partiva da zero ha fatto un bel cammino (da 3 a 5.5 è oro…anche se Mal, con cui pure concordo per il resto, non se ne rende conto), merita un buon voto, mentre uno bravo e sfaticato può ritrovarsi il buffetto di un voto un po’ più basso, senza che questo confligga con l’Invalsi.
Io i voti, per come sono in Italia li abolirei (non so quali fossero i tuoi tempi, ma la valutazione italiana di fatto è sempre la stessa). Ed è una delle più scombinate e superficiali del mondo, priva di qualsiasi oggettività o di prospettiva: in una interrogazione mille variabili possono influire sul giudizio senza che abbiano a che fare con la preparazione (basta SEMBRARE incerto anche senza esserlo davvero per perdere punti), e non è la stessa cosa essere interrogati a inizio quadrimestre o alla fine. Ma facciamo sempre finta che non sia vero e tiriamo avanti.
Oh, i tempi miei non erano fulgidi neanche un po’, anzi… Solo che gli esami c’erano alla fine della 5a elementare, 3a media e 5a superiore, quindi non riesco ancora bene a capire cos’è questa nuova prova fatta in tutte le classi prima della fine dell’anno.
Ma per il resto i miei tempi erano più o meno come questi, mi ricordo che in quinta superiore avevamo tutta la commissione interna per la maturità, se ci aggiungi poi che era una scuola privata e il presidente esterno un nonnetto che non vedeva l’ora di portare i nipotini in vacanza ti puoi ben figurare quanti geni facevano parte della mia coorte.
Per un po’ mi è anche rimasto il complesso, quando dovevo compilare qualche modulo e serviva il voto di maturità mi sentivo in imbarazzo a scrivere 100, perché sapevo da dove venivo e qual era il termine di paragone (chi è uscito col 60 era al secondo o terzo tentativo e quando faceva colazione al bar dava il borsellino in mano alla cassiera perché non era capace di contare i centesimi – mentre gli unici due bocciati credo che più che studenti fossero in realtà spacciatori sotto copertura). A pochissimi importava di dare voti realistici, perché nessuno voleva rogne, soprattutto non le voleva il preside, che ogni anno amava pubblicizzare il successo degli alunni di 5a alla maturità. Gli insegnanti volevano andare d’accordo col preside (tranne una… ehm…) e il nonno voleva andare al mare.
Ok ora basta, ché son già andata fuori tema.
Non sono d’accordo con Lia – a livello pratico – sul fatto che il dipendente statale, in nome della sua integrita’, giuramento… – possa sfanculare richieste non in linea, provenienti dai piani alti. Ti arriva la telefonata della segreteria del sottosegretario, Bene, li mandi affanculo, vinci la battaglia, al momento, poi vanno direttamente a tampinare il tuo capo, risultato: sei segnato/a – basti pensare all’episodio Ruby (nipote di Mubarak) rilasciata dalla questura sulla base della famigerata telefonata, la commissaria non la voleva rilasciare poi e’ arrivato il gran capo e le cose sono andate come sappiamo/
cmq quello che s’è visto da tutti i commenti (compresi i miei) è che è ormai impossibile fare un discorso a livello di idee. Il discorso nel post era che, rispondendo le insegnanti direttamente allo Stato, queste sono tenute a seguire principi che sono sanciti anche nelle leggi dello Stato (tenute, appunto, non solo libere di farlo) e questo principio impedisce che i fatti della scuola siano influenzati da piccoli (a volte nel senso che son quisquilie, a volte nel senso di pusillanimi) interessi locali e privati. A livello pratico, questo principio non solo non è sempre applicato, ma può comportare anche molti difetti nel sistema. Ma a livello di idee conta che il principio sia applicabile.
Cambiare il principio, sottoponendo gli insegnanti più direttamente ad autorità e interessi locali, si ridurrebbero forse alcuni degli inconvenienti dell’attuale sistema, ma l’errore andrebbe a finire nel principio e sarebbe quindi irrimediabile, perché non ci sarebbe neppure la possibilità teorica dell’indipendenza delle insegnanti da interessi che con l’istruzione e l’educazione non hanno niente a che vedere.
Di idee si parlava appunto, non dei 4 e degli 8 del mio compagno di banco né del prof di storia che avevo in seconda media.
Sì, era questa l’idea di fondo del post. La risposta di fondo del post era, per parte mia, che essere sottoposti a controlli non è una dichiarazione di sfiducia e non è un delitto di lesa maestà, soprattutto se a controllarti sono altre persone che, come te, sono dipendenti pubblici che sono stati selezionati con lo stesso principio ispiratore e condividono con te la responsabilità e il riconoscimento di quel che fanno.
Ma per molti insegnanti l’idea stessa di rispondere di quel che fanno sembra un complotto intollerabile. E questo è IL problema.
Quoto uqbal. Era questo il senso di tutti i miei interventi. Ma temo che in Italia giudicare i giudicanti sia impossibile, insegnanti o magistrati che siano, in nome di malintesi pseudo-diritti costituzionali di pochi che fanno violenza ai diritti di tutti. Casta di Stato contro Stato.
La differenza, o Mal, tra gli interventi di uqbal e i tuoi sta nel fatto che uqbal dice cose sensate e tu no. Ora gli insegnanti per te sarebbero I GIUDICANTI? Ora ho capito, sei un altro di quelli traumatizzati da quando il prof. di scienze ti ha messo 2 solo perché nel compito avevi scritto che l’intestino si trova in testa.
E sui magistrati hai ragione, toghe rosse, tutti contro Berlusconi. C’avevamo l’uomo della provvidenza e ‘sti magistrati tanto hanno detto e tanto hanno fatto che alla fine lui si è offeso e ora ci tocca arrangiarci senza di lui. Ma non ti preoccupare, per me torna.
No Comment. Off Topic.
Broccoli, ma quante baggianate stai sparando a casaccio? Quando non sai più che pesci pigliare (vedi i commenti sull’Invalsi), da persona adulta, potresti anche ammettere che l’interlocutore un po’ di ragione ce l’ha, anziché cercare di deviare il discorso su temi che non hanno nulla a che vedere con l’argomento di cui si parla. Senza parole! Fuori tema, 4.
Noooooo :'(
Già, è vero, il commento sui mkagistrati era così azzeccato, e il mio invece nooooo :'(
E pure sull’Invalsi a un bel momento l’ho piantata lì ma quel che so (esami di terza media/invalsamati dettati pari pari dagli insegnanti che volevano evitare di beccarsi loro stessi i 4 dei loro alunni) cozza tanto con quelle spiegazioni, però almeno erano spiegazioni e mi pareva carino accettarle.
Posso recuperare il debito o mi metti il sei rosso maetro?
A volte, comunque, mi sveglio con le voglie di tailleur Chanel. Chissà che sarà mai. Purché non sia giallo, però.
E nemmeno marrone o ancora beige.
No, nessun recupero e nessun sei rosso, sei radiata da tutte le scuole del Regno!
E uottabbaut il tailleur Chanel?
I post era sul tailleur Chanel. Sei andato fuori tema. Gnègne gnegnègne!
E’ sempre colpa dei prof e della scuola:
http://www.ilcorpodelledonne.net/?p=12455
Galatea risponde (e meno male!):
http://ilnuovomondodigalatea.wordpress.com/2012/06/16/don-milani-il-merito-e-la-meravigliosa-scuola-dove-non-si-boccia-note-a-margine-di-una-insegnante-cattiva/
Spero che possa smettersi di cianciare
http://noi-nuovaofficinaitaliana.blogspot.it/2012/07/atlad-over-40.html
Trovo semplicemente incredibile che persone sane di mente possano applaudire a un post così pieno di luoghi comuni. Si rivendica, niente meno, una presunta superiorità dello statale che non deve rispondere a nessuno, se non alla Legge, manco un maestro di scuola fosse un magistrato di cassazione, sul povero cretino che lavora per aziende private.
Io li invidio, gli Statali. Li invidio perché sanno accontentarsi del minimo della retribuzione in cambio del minimo del lavoro (che grazie a vent’anni di sindacati imbelli è diventato l’assioma della Pubblica Amministrazione). Si respirasse quest’aria di superiorità, le giovani menti brillanti farebbero la fila per i concorsi, mentre è dimostrato che chi ha intelligenza e ambizione si confronta col mercato del lavoro reale, dove non si ringrazia chi assume ma dove conservare il posto significa produrre valore per chi ci retribuisce. Questi sono i valori che, banali e semplici, vorrei insegnaste ai miei figli. E invece cosa devo supporre, che spendiate le ore di lezione tessendo il mito dell’uomo libro che non deve rendere conto a nessuno? Bell’esempio.
E vi invidio anche perché in questo momento, se voglio portare a casa lo stipendio con cui pagare, tra l’altro, i libri di scuola per mio figlio, devo sbattermi a lavorare, con tutto che è agosto, perché altrimenti i conti non tornano e l’azienda comincerà a chiedersi chi mandare in cassa integrazione. Ma voi tranquilli, giocate pure agli uomini liberi. Statali dei miei coglioni.