Mi pareva di essere un’idiota: io che insistevo col chiedere dove fosse il Monumento alla Memoria e alla Verità, dedicato alle vittime degli orrori salvadoregni, e nessuno che sembrasse sapere di cosa stessi parlando. In tutta San Salvador. In albergo mi avevano guardato straniti. Il tassista non ne aveva mai sentito parlare. Alla centrale dei taxi, quello che dà le informazioni voleva spedirci a un fantomatico monumento alla Pace vicino all’aeroporto. I passanti, niente. I poliziotti, meno ancora. E io sempre più irritata e sempre più testarda: ma che diavolo, non me lo sto sognando, deve esistere per forza. La Rough Guide lo dava all’interno di un parco e ci eravamo stati e avevamo chiesto e un sacco di gente, tutta assorta a guardare partite di calcio tra donne, ci aveva assicurato che lì non esisteva nulla di simile. C’era da credergli, erano lì.


E il tassista che mi proponeva di andare a guardare la mirabile facciata di non so quale basilica, piuttosto. “Ma cribbio, è un muro lungo ottantacinque metri, non potete averlo perso e comunque non mi interessano le basiliche, e che senso ha che non sappiate dov’è il vostro monumento alla MEMORIA, che memoria è, ma si rende conto?”

Torniamo al parco. Lo giriamo in lungo e in largo e, siccome la testardaggine paga, alla fine lo troviamo. Esattamente alle spalle di quelli che guardavano la partita e che ci avevano assicurato che non esisteva. Sono incazzata, offesa, avvilita, me la prendo col tassista e lui mi giura che è mortificatissimo, davvero non sapeva che esistesse, e guarda ‘sto muro a bocca aperta e pure io. E’ un muro che contiene 30.000 nomi di morti ammazzati, non finisce mai.

Serve, come dice la targa qui sotto, a dare “a migliaia di madri e parenti uno spazio dove ricordare le persone amate e rendere loro omaggio”.

Ed è toccante, tristissimo, vedere tanti di questi nomi messi in risalto, sottolineati grattando la lapide, evidentemente nello sforzo, da parte di queste madri o comunque delle persone che li amavano, di farli emergere dalla massa, di evidenziarne l’identità. Tanta gente che cerca di rendere speciali i propri morti, almeno su quel muro. Guardo e mi sento straziata.




E’ tutto molto ordinato. Si dividono per annate e, nello stesso anno, in omicidi e sparizioni.

Poi, quando pensi di avere visto un sacco di orrore, c’è la zona del muro dedicata ai massacri. Voglio dire: quelle scritte in piccolo non sono nomi di persone. Sono nomi di luoghi in cui i militari e gli squadroni della morte hanno massacrato la popolazione.


Pensi, a questo punto, di avere visto tutto? No. Mancava una sezione.

Li stanno ancora cercando, quei bambini lì. Come lo so? Lo so perché uscendo dal parco, accanto al taxi parcheggiato, noto questo cartello a cui, prima, non avevo fatto caso:

Ci sono ancora i tizi di prima, la partita di calcio femminile. Chi diavolo sono, io, per giudicarli. Io non ero qui, in quegli anni. Loro sì. Forse lo fanno per continuare a vivere. Rimuovere, guardare la partita e, il monumento, non metterlo nemmeno a fuoco. Invisibile, altro che Memoria.