Ma perché mi sono incazzata tanto, io, non lo so. Perché non prima, perché non mai. Perché così esageratamente tanto, poi. Che diavolo mi ha preso. Cos’è che non riesco a mettere a fuoco? In quale esatto momento, o fidato blog che tutto sa, sono passata dalla blanda comprensione di un impiastro alla sete del suo sangue?

Sarà stato perché, per cinque giorni, mi ha parlato solo ed esclusivamente di Scratte? Secondo me è per quello, ché i patti tra me e lui erano che lui mi adorava e io mi lasciavo adorare. Cosa c’entra che per cinque giorni mi parli di un’altra? E il mio narcisismo? E il mio protagonismo? Come è possibile che ci siano degli spazi nei suoi – peraltro non immensi – pensieri non occupati da me? Ora lo ammazzo.

Amici maschi: “Vabbe’, ma è che il problema di Scratte era di attualità.”

Amiche femmine: “Crucifige!

Io: “Crucifige!

O forse è stato perché, smarrito in un ruolo da sultano che non gli si addiceva, ha voluto esagerare e ci ha messo in competizione. Oh, quale ingenuità. Un uomo può permettersi la competizione tra due donne a condizione che ne voglia solo una (in genere quella che perde, ché piange più forte ed è sessosa). Se le vuole entrambe è un pazzo imprudente ed è ovvio che il suo futuro sia quello di essere trasformato in bistecca. Una volta che sei carica di adrenalina, l’altra donna dà poche soddisfazioni, ti giri dove c’è più carne. Gnam.

Insomma, non ne sono sicura. Vediamo se, continuando a scrivere, ne vengo a capo.

‘Sta cosa della competizione, torniamo un attimo lì. Lui che è tanto impiastro da dirmi che, mentre ancora vivevamo insieme – per questioni pratiche, per mia cortesia, per arrivare alla scadenza di un affitto suo e non mio – lui si portava la Scratte dagli amici che conoscevano me. Aaargggh!!! E guarda che glielo avevo detto: “Fa’ quello che vuoi ma sii attento, ché le donne so’ territoriali e io, gli amici tuoi sposati che mi portano le amanti in casa, non li sopporto, non mi piacciono, mi sembrano dei casinisti privi di grazia. Fate ‘ste cose senza offendere nei dettagli, ché i dettagli sono la cosa più importante che c’è.” Gliel’avevo detto, eh. Ma non lo aveva capito, lo so.

Lo apprendo, alzo le spalle, mi tolgo solo lo sfizio di fargli portare me negli stessi luoghi in veste di amante, stavolta, per vedere com’è giocare il ruolo opposto. Baci e abbracci, risate, farinata, vino, balli. Le nostre mani che si sfiorano di continuo a beneficio del pubblico, io che faccio l’amante ufficiale in società, lui tronfio come un tacchino che fa la ruota, stanze piene di mogli e amanti degli stessi uomini, un’età media di una decina di anni più di me, che già non ne ho pochi.

Ed io che li guardo, tutti ‘sti sessantenni, e penso che devi avere un mondo proprio piccolo, proprio stretto, per non riuscire a metterle nemmeno in due stanze diverse, le tue donne, e mi sento addosso la paura di invecchiare, di morire, di diventare così per forza, di esserlo senza saperlo, e questo mondo asfittico in cui più ti disprezzi e più ti abbracci, più ti fai male e più stai insieme. Bevo, rido, ballo, alterno i ruoli di chi offende chi con la propria presenza e, in fondo, mi chiedo che diavolo ci faccio in queste storie fatte di rivincite così meschine, piccole, facili, banali da piangere. Lo bacio tanto, andiamo da lui, e certo che un uomo diventa più desiderabile, quando ti decidi a guardarlo attraverso il desiderio di un’altra. Tutto il desiderio che, da sola, non sentiresti mai. “Grazie, Altra“. Mai essere ingrate, per le emozioni regalate.

Di fondo, però, mi sono divertita ma non l’ho perdonato. Glielo avevo detto, di non farlo mai. Sono territoriale, sono una donna, hai confuso i territori, hai sconfinato. Mi hai offeso e, ora che abbiamo pubblicamente offeso anche lei, devi morire. O pensavi che mi bastasse offendere solo lei? Stupido maschio, ci speravi.

Ma non è stato solo quello, ché alla donna di mondo ci so giocare e, di confusi pasticci, ne ho la collezione appropriata per la mia età. Io l’avevo già risolta a suo tempo, ‘sta faccenda. Lasciandogli qualche conto da pagare, facendolo correre un po’ sotto al mio portone. Era una roba vecchia, tutto sommato. Perché volerlo morto tanti mesi dopo?

Deve esserci stato qualcosa d’altro, forse che ho preso paura. Tanta. Quando me lo sono visto tornare senza più una donna ufficiale, tutto solo da me, tutto da spupazzare. L’ho accolto, sono stata a sentirlo e, per giorni, non ho più scritto un rigo del progetto che sto scrivendo e che mi deve cambiare la vita entro settembre dell’anno prossimo.

Sto facendo una cosa importante, io. Ma sono anche la donna meno multitasking del pianeta e, se mi concentro nei cazzi di un altro, perdo di vista i miei. Riesco a seguire una trama alla volta, è davvero un mio limite. Poi, vabbe’, vivendo le cose una alla volta finisce che le vivo intensamente, tutte. Ma non è detto che sia un bene. Succede che, alla fine, mi tocchi ammettere di avere vissuto intensamente delle stronzate. E di avere trascurato le cose mie.

Interno sera. Ristorante. Lui, per l’ennesima volta: “Io vendo questo, quello, metto a posto quell’altro e ti raggiungo ovunque andrai“. Io che mi chiedo se davvero lo voglio, mi rispondo che certo non a tempo pieno e poi mi dico che comunque è ozioso chiederselo, ché tanto sta solo sognando. E ancora: “Oppure finisco comunque a dovere lavorare dove sta Scratte. Accetterei, ché così faccio soldi, ma il problema è che lì c’è Scratte, quella mi ammazza.” Io: “Bah, secondo me ti ripiglia. Fatti perdonare.” Lui: “No, perché [censura], [censura], [censura]” Io ascolto, mi concentro, soffoco la voglia di sigaretta e mi applico.

Interno giorno. Mattina, casa sua, lui che mi fa la spremuta. Lui: “Forse mi spostano il lavoro in una grande città lì vicino.” Io: “Be’, per il lavoro è meglio, lì si fanno più affari.” Lui: “Eh, ma poi non posso più fare pace con Scratte.” I miei coglioni che, memori della concentrazione della sera prima,  cadono fragorosamente a terra: “Tonf!

Cosa è successo in quel momento? Cosa mi ha fatto tornare a casa mia con la consapevolezza, profonda, di non volerlo vedere mai più e, anzi, di volergli fare male come tassa aggiuntiva? Che corda mi ha toccato, finalmente, dopo che non era riuscito a toccarmene nessuna per i tre anni in cui ci sono stata più o meno svogliatamente insieme? Ma sai che non ne ho idea? Il biasimo per una narrazione troppo sconnessa per meritare attenzione, certo. Il senso estetico ferito dalla trama dilettantesca del racconto su cui mi stavo applicando. Ma solo quello?

Sono tornata a casa, ho preso il pallottoliere della nostra vicenda assieme e mi sono messa a fare conti mai fatti prima.

Il blog, il maledetto blog, torniamo sempre lì. Ma come ha potuto darne l’indirizzo all’altra e costringermi all’autocensura, manovrarlo facendomi scrivere cose che avrebbero rivelato a Scratte ciò che lei non sapeva e che lui non aveva le palle di dirle, facendo lanciare i sassi a me per nascondere le sue manine? “Hai fatto bene a scrivere questo e quello, così le si abbassa la cresta.” Ma cosa credi che sia, il tuo sicario? Non c’è calcio in culo diretto a lei che tu non possa prendere raddoppiato, ché tu, qua, sei ancora più abusivo di lei e certamente più in cattiva fede, con più smania di controllo di lei. E, se proprio devo sbranare qualcuno per manifesto proposito censorio, perché mai dovrei mangiarmi solo lei, quando tu sei tanto più succulento oltre che colpevole? Le chiavi di casa mia, a quell’agnellone sacrificale di Scratte, chi gliele ha date se non tu? Oh, quanto te ne devi pentire. Oh, quanto devi maledire il momento in cui lo hai fatto. Quelle chiavi le avevi tu, tua era la responsabilità, tuoi saranno i calci in culo. Rasente i muri, voglio vederti camminare. Idiota.

Ecco, parliamo di quello, della buona o cattiva fede. Io mi accorgo che tendo, quando di uomini si tratta, a una tolleranza direttamente proporzionale alla disistima. Funziona così: io contemplo l’uomo che dovrei biasimare, mi dico che è cretino e che, in quanto tale, non gli è dato di avere comportamenti etici. Non ci arriva, non può. E tuttavia me lo figuro fondamentalmente buono, l’uomo idiota che osservo. Bada bene, è tutto inconscio: io, a livello razionale, non credo affatto che l’uomo sia buono di fondo. Tendo a pensarlo degli uomini che ho davanti, però.

Io, quindi, tendo a pensare di avere di fronte a me un buon idiota che, se si comporta male, è perché manco capisce ciò che fa. E che di conseguenza va perdonato, come si perdonano gli esseri incapaci di intendere e di volere.

Però, ecco, stavolta ho pensato che forse non è del tutto così. Che forse, fermo restando che non parliamo di un genio, succede che non parliamo nemmeno di una persona buona. Che non è detto che uno, solo perché non sa essere etico, sia necessariamente un rozzo tenerone da accogliere. Magari uno può essere pure uno stronzo, benché scemo. Non ci avevo mai pensato. Stavolta mi è venuto il dubbio, ecco. E mi è passata la voglia di rivederlo. Ché qua possiamo provare della tenerezza per uno scoiattolone che corre appresso alla sempiterna ghianda che gli sfugge, eroe mignon di una felicità che insegui e non acchiappi mai, innamorato di tutte le donne e del proprio tondo ombelico perché la vita corre più di te e tu stai lì, con la lingua da fuori, a inseguirla mentre gli anni e l’esistenza ti fottono. E questo è bello, questo mi diverte, questa è la sfiga umana, qua siamo tutti fratelli e sorelle e possiamo solo provare a giocare insieme, dietro a ‘sta ghianda che non si fa acchiappare.

Ma, ecco, quello che è successo qua è un’altra cosa. Qui non si sta giocando insieme. Qui vorrebbe giocare solo uno. Non va bene.

Cosa mi ha fatto, esattamente? Non lo so. Forse niente. Forse mi sono offesa io per quello che ha fatto a Scratte, e non perché sia buona, ma perché Scratte è tutte noi, è lo specchio di ciò che ti può succedere se lo prendi sul serio, un uomo così. E non mi basta sapere che io, questo errore, non l’ho mai commesso. Avrei potuto. Avrei, quindi, potuto pentirmene, starci male, rimanerne ferita. Non importa che non sia successo: il merito è mio, non suo. E lo scampato pericolo mi fa sentire addosso tanta di quell’adrenalina, adesso,  da non trovare pace se non gli gonfio simbolicamente la faccia a schiaffoni. Madonna, pensa che rischio ho corso. Che paura. Quanti calci, gli devo dare.

Cosa farà, lui, adesso? Starà a chiedere perdono a Scratte, suppongo, e suppongo che lei lo perdonerà. Alla fine, le cose terribili che aveva letto nella chat che ha dato fuoco alla miccia di ‘sto casino, lei se le è scordate. Il suo problema ero diventata io. Il numero in cui eravamo. Con chi stava lui.

Si è concentrata sul minore dei problemi, Scratte, quindi ha voglia di perdonarlo. Lei saprà perché, e le faccio tanti auguri di cuore. Pesto com’è lui adesso, tra l’altro, non escludo che diventi un uomo migliore, almeno per un po’. Le mazzate fanno un mucchio di bene, agli uomini così: mi aspetto della gratitudine, Scratte. Una bottiglia di Lagrein andrà benone.

Io rivoglio indietro la mia couscoussiere, il mio pigiama, la mia gallabeya e forse qualcosa che adesso non ricordo. Le altre cose può tenerle, non mi servono. Le chiavi, magari le lascio da A. uno di questi giorni. Tanto non le ho mai usate, non ho mai saputo che farmene.

Mi perdonerai, SMP, per tutta ‘sta violenza che non ti aspettavi e che ancora nemmeno io mi spiego, dopo tante parole? Credo di sì. Ci metterai del tempo ma lo farai. Non smetterai mai del tutto di volermi bene, e ci mancherebbe altro.

Io, invece, non ti perdonerò mai del tutto, mi sa. Il blog, già. Il territorio. Il mio sempiterno maschilismo, per cui non riesco mai a  perdonarvi di non essere all’altezza di ciò che, secondo la mia mente primitiva e terrona, dovrebbe essere un uomo.