(Continua da questo post che analizza una famosa mappa.)

cartina

Giovanni Fontana è uno abituato a sentirsi accusare di malafede e ha quindi elaborato tutta una sua prassi di reazione, quando gli succede, che spiega dettagliatamente in questo post.

Fontana è anche una delle persone più autoassolutorie e meno logiche tra quelle che popolano la rete: ha scritto un intero post su quanto sia sbagliato accusare la gente di essere in malafede, e lo ha scritto per difendere il fatto che, nei giorni scorsi, è andato in giro ad accusare me di essere in malafede. Sì, mi rendo conto che c’è un corto circuito logico, ma tant’è.

A differenza di Fontana, io non ho una grande familiarità con questa accusa: sono stata accusata di molte nefandezze, da quando ho un blog, ma sulla malafede c’è un po’ di vuoto. Non ho quindi trucchetti retorici da mettere a disposizione di chi legge e, anche se li avessi, mi annoierebbero alla seconda riga.
Il punto è un altro, ed è che la risposta di Fontana alla polverizzazione – fatta da Juan Cole e non da me – degli argomenti con cui il Nostro definiva “bugiarda” (è una mania!) la mappa che più graficamente illustra la perdita di territorio da parte dei palestinesi, consiste nel prendersela non con Cole ma con me, ficcandosi nelle stanzette dei social network e scrivendo quindi post trasversali sul suo blog in cui, mentre si gloria di battaglie dialettiche in cui fa solo la figura del pazzoide, ne approfitta per ribadire che sono bugiarda, in malafede, cattiva e, soprattutto, favorevole alle mutilazioni genitali.

Facendosi strada col machete nella selva del suo parlare benissimo di se stesso e malissimo di me, si riescono a trovare due frasi in croce dedicati alla questione reale della mappa. Queste:

La mia valutazione è che non ci fosse alcuna ragionevole possibilità che chi ha scelto quelle 4 cartine, pescandole fra le mille cartine possibili della Palestina, di cui 2 molto, molto precise (la 1 – una cartina che, al di fuori di quelle quattro immagini era ben poco diffusa, lo è molto più quello della land ownership -e la 4, una cartina praticamente inventata da chi l’ha disegnata, mescolando le varie zone di Oslo), dimostrando quindi una conoscenza storica e una capacità di selezione piuttosto approfondita, abbia deciso di metterle assieme nonostante usino criteri palesemente diversi senza accorgersene, abbia scelto come prima mappa fra le mille che ci sono quella più drammaticamente favorevole alla propria tesi (tanta Palestina, poco Israele), abbia scelto come ultima mappa fra le mille che ci sono quella più drammaticamente favorevole alla propria tesi (tanto Israele, poca Palestina), ci abbia appiccicato delle didascalie bugiarde, e infine abbia giustapposto tutte e quattro.

E’ una sciocchezza. Chi ha scelto quelle mappe ha messo semplicemente a fuoco i quattro momenti chiave della situazione territoriale palestinese: Mandato britannico, progetto di partizione, status quo tra il ’48 e il ’67 e attuale situazione territoriale palestinese. Quali altri momenti avrebbe dovuto scegliere, che mappe avrebbe dovuto selezionare? La cartina di Gerusalemme nel giorno in cui è nato Fontana?

Si discute la metodologia che è alla base della scelta delle mappe, che al principio vede disegnati confini ufficiali mentre nell’ultima riporta semplicemente la situazione sul campo.
Potrei capire questo discorso di accuratezza metodologica se stessimo analizzando una tesi di laurea o un articolo specialistico. Ma, come dicevo rispondendo a un commentatore nell’altro post, a uno specialista si richiede un procedimento metodologico con un filo conduttore la cui validità scientifica, però, non è detto che coincida con la situazione sul campo. Esempio: se faccio un insieme di mappe seguendo il criterio dei territori “ufficialmente” di Israele, sto usando una metodologia corretta ma, ahimé, basta andare a passeggio in Palestina per vedere che gli israeliani stanno, abbondantemente, anche fuori da quei territori. Nella mia inattaccabilità scientifica, quindi, ho dato un’immagine completamente falsa della situazione reale.

Questa è una mappa divulgativa che serve a illustrare graficamente una situazione reale e inoppugnabile e ci riesce. Qualora volessimo scrivere un articolo scientifico, potremmo attingere alle mappe di questo sito, indicatomi dal bravo Fisico a Gerusalemme, e farci degli ottimi lavori che rimarrebbero, però, confinati tra le mura di qualche università. Ma qui stiamo cercando di fare capire un problema a gente bombardata da una propaganda mainstream che manipola tanto le informazioni come il linguaggio in cui vengono espresse, ed è fondamentale comunicare in modo chiaro. La cartina è storicamente corretta e compie dunque il suo scopo.

Per il resto, Fontana dice che il discorso di Cole non inficia il suo. Questa è una totale falsità il cui unico scopo è evitargli di rispondere delle sue affermazioni errate o manipolatorie:

1) “[…] le zone disabitate, cioè la maggior parte, come tutto il deserto del Negev (andato poi a Israele proprio perché disabitato)“. Balla. E balla sollevata da Goldberg, che Cole definisce “bizzarra affermazione” e a cui risponde: “Ma non era affatto vuoto, come non lo è adesso: ci vivono i beduini palestinesi, e sia loro che il deserto erano riconosciuti dalla Lega delle Nazioni e considerati parte integrante del Mandato palestinese.” Goldberg (seguito da Fontana) ripropone la vecchia storia della “terra senza popolo”, che dovrebbe fare sotterrare di vergogna chi ancora la nomina. Ma se fosse stato vuoto, il Negev, e ancora lo fosse, ti pare che gli israeliani starebbero a tutt’oggi lì a prendersi la briga di avvelenare la terra dei beduini? Ti pare che esisterebbe un piano di epurazione di massa?Ma rimando alla risposta completa di Cole, comunque, che non voglio ripetere qua.

2) “Se entrambe le parti avessero accettato la partizione […]” mia nonna avrebbe le ruote, caro mio. Non puoi fare le pulci all’unità metodologica nella selezione delle mappe per poi metterti a fare la storia coi se, e per giunta storia intesa come vecchia vulgata e ampiamente rivista dalla mai troppo citata storiografia israeliana recente nonché da Cole che fa notare, giustamente, che l’espansionismo israeliano fu animato dalla piena intenzione di annettere quanta più terra possibile a Israele. E sì che c’è un po’ di letteratura su, per dire, la Grande Israele. I se valgono sia in un senso che nell’altro.

3) “ Al contrario di ciò che sembra suggerire la mappa, non c’è alcuna evoluzione dal ’46 al ’67“. Eh? Ma che stai a dire? Come potrebbe, una sola mappa, raffigurare un’evoluzione territoriale di vent’anni? La mappa riporta una situazione da – a, non un’evoluzione. Questa non è un’obiezione, è una specie di insinuazione totalmente campata in aria sul senso di una semplice immagine. A che serve? Come pure non capisco a cosa serva dire che, però, se la guerra fosse andata diversamente avremmo un’altra mappa. Ovvio. E la pubblicheremmo. E quindi?

4) La supercazzola di Fontana sulla quarta immagine che, secondo lui: “[…] gioca sull’equivoco di cosa può voler dire “terra palestinese” nella maniera più brutale e menzognera, sostituendo a “cosa è terra palestinese” o “cosa la comunità internazionale considera terra palestinese”, addirittura “cosa gli israeliani considerano terra palestinese”. No, Fonta’, falla più semplice. L’ultima mappa mostra, semplicemente, “la situazione di oggi, che sorge dall’occupazione israeliana di Gaza e della Gisgiordania del 1967 e quindi dalla decisione di Israele di colonizzare intensivamente la Cisgiordania (una pratica illegale secondo le leggi sulle popolazioni occupate)“. Non te ne eri accorto? In buona fede?

Si autodipinge come paladino della verità, Fontana, e intanto diffonde la stessa, identica propaganda avvelenata diffusa dai vari Goldberg e altri scribacchini della propaganda che adora scatenare guerre su pretesti inconsistenti. Curioso.

Ma poi, sì, ovviamente io sto qua a parlare di mappe perché in realtà sono malvagiamente a favore delle mutilazioni genitali e Fontana mi ha smascherato. Io, di fronte a una linea di difesa tanto squallida, non dovrei nemmeno replicare o, al massimo, dovrei farmi bastare la risposta che già gli ho dato. Solo che lui continua. E continua. E continua. E allora la giudichi chi vuole, la conversazione alla base dell’accorata denuncia fontanesca.
Non si capisce quasi un cavolo perché il mio interlocutore (l’unico che ricordassi in quella discussione, peraltro: Fontana non mi era rimasto impresso) in seguito si cancellò da quel social network e i suoi commenti sparirono, quindi pare che io stia parlando da sola. Ma nasce dal fatto, come vedo rileggendola, che Fontana era intervenuto in un thread in cui io negavo che durante la rivoluzione al Cairo non ci fossero donne a Tahrir, per dire (chissà cosa c’entrava, poi) che però le donne egiziane erano infibulate.

Quello che io faccio nel thread, è: cercare di distinguere tra circoncisione femminile e infibulazione; cercare di contestualizzarla; riportare alcune credenze o convinzioni anche di segno opposto tra loro  (dall’idea che la pelle possa crescere indefinitamente, se non viene tagliata, a quella secondo cui l’eliminazione della pelle renda addirittura più sensibile la parte esposta) che certo non ho elaborato io e che si limitano a esistere.

Come dico chiarissimamente in quel thread:

L’argomento è sviscerato su milioni di libri, articoli, saggi. Lo puoi vedere da una prospettiva antropologica, medica, socioeconomica, multiculturale, uniculturale, come vuoi. E’ complesso, è antico come l’uomo, ha sfaccettature anche insospettabili. Io, che sono in una posizione strana avendo dedicato all’Egitto anni della mia vita (e spero di dedicargliene ancora molti, spero di tornare a viverci), cerco, quando se ne parla, di apportare una testimonianza che non sia il semplice sovrappormi a ciò che si trova su Google. Quanti sanno che nella campagna profonda la gente crede che quel pezzo di pelle cresca fino ai piedi, se non lo tagli? Quanti sanno che, effettivamente, esiste una vulgata sull’incremento del piacere femminile togliendo quel pezzo di pelle? Per me, il valore aggiunto del vivere in un luogo consiste nello scoprire queste cose, non nel riaffermare ciò che già penso o so. I giudizi, poi, stanno nella coscienza di ognuno, compresa la mia. Ma la prima necessità, il primo imperativo è quello di chiedersi cosa passi per la mente delle persone su cui ci si interroga. E, siccome non credo nell’esistenza dei mostri, io cerco di spiegarmelo. Anche perché mi pare più utile, come approccio, della semplice emissione di un giudizio, peraltro scontato. Questo è il mio tipo di sguardo e non ne ho un altro: se serve a qualcuno, bene, sennò pazienza.

E’ un approccio analogo, mi pare, a quello di studiose che a me sembrano più serie di Fontana.

E poi, infine, il pianto di Fontana, i singhiozzi perché gli ho chiesto come avesse fatto a vedere quella mappa attaccata al muro della sede di una ONG “all’epoca della prima guerra di Gaza” (cit.), quando non risulta che la mappa fosse allora disponibile, almeno in rete.

La spiegazione è che, secondo Fontana, la prima guerra in questione è del 2008. Ah, vabbe’. Io sapevo che era del 2006, invece , e a ‘sto punto mi chiedo come il Nostro definisca quella del 2006: una partita a pallone? Una sfida a scacchi? O se l’è proprio scordata?

Ma vabbe’. Fontana afferma che lui non sapeva di Cole, non sapeva di Goldberg, non sapeva di Sullivan, non sapeva delle polemiche precedenti sulla mappa, non era a conoscenza di The Atlantist e non aveva manco usato Google, come si può logicamente concludere.

Il suo post è stato un caso di solipsismo cartografico.

Vabbe’. Ne prendo atto ma, a questo punto, permettimi di suggerirti una cosa. La prossima volta, prima di partire lancia in resta contro una delle immagini più diffuse sulla rete globale, fa’ una bella cosa: studia.